A 60 ANNI DALLA MORTE DI MARILYN MONROE

La stella, l’angelo del sesso, la bambola di carne, la dolce, la tenera, l’ingenua, la maliziosa, la disarmata, la sensuale, l’innocente Mar­ilyn nasce il primo giugno 1926, sotto il segno dei Gemelli.

Il suo primo nome fu Norma Jean Baker e nacque figlia sol­tanto di sua madre: un’origine comune a tanti grandi dello spettacolo (Chaplin,  Totò, Anna Magnani…) e forse, come diranno gli psicanalisti, una forte spinta a riscattarsi, a crearsi un nome grande, immenso, che cancelli il ricordo della mancanza di un nome legittimo. Le misero il cognome Baker perché così si chiamava il primo marito da cui sua madre si era separata dopo avergli dato, e lasciato per sempre, due altri figli.

Il secondo marito, un certo Mortenson, se l’era svignata prima che Norma Jean nascesse e, probabilmente, che venisse concepita. Chi era il  padre naturale di Norma Jean?

La mamma da bambina le mostrò la foto di un bell’uomo con i baf­fetti che assomigliava tanto a Clark Gable. Per anni Norma Jean tenne la foto di Gable, che le sorrideva con l’ironia del Red Butler di Via col vento, accanto al letto, per mostrarla alle amiche, come quella di un padre segreto, da non rivelare a nessuno. Marilyn, nonostante vivessero e la­vorassero ambedue a Hollywood, conobbe Gable sul set de Gli spostati: un film tragico perché doveva essere l’ultimo di Marilyn e perché Gable doveva morire, per infarto, dodici giorni dopo la fine delle riprese.

La piccola Norma Jean nacque orfana di padre e per di più in una famiglia in cui si era insinuato tragicamente il tarlo della pazzia. Il nonno Monroe, da cui prenderà il nome d’arte, quando Norma Jean nacque era già morto in un mani­comio. La stessa fine faranno la nonna Della e la mamma Gladys e Marilyn temette ed attese la follia come si teme e si attende un evento ineluttabile per tutta la vita.

La mamma Gladys lavorava a Hollywood in uno stabili­mento cine­matografico, come addetta al taglio della pelli­cola negativa. Non poteva quindi badare alla piccola Norma Jean, né poteva affidarla alle cure della nonna Della che aveva già dato segni di squilibrio mentale. La affidò quindi in adozione a dei vicini di casa, i quali, privi di figli propri, allevarono la piccola con affetto e con il rim­borso spese di un dollaro al giorno.

La mamma andava a trovarla tutti i sabati ma talvolta sol­tanto per poche ore, perché aveva anche la propria vita a cui tenere dietro. La nonna, invece, che abitava a pochi passi, andava a trovarla di fre­quente e si dimostrava molto pre­murosa, finché un giorno non tentò di soffocarla nel sonno. Norma Jean aveva poco più di un anno ma l’episodio peserà moltissimo sulla sua vita futura. La tormentosa in­sonnia, che Marilyn combatté con ogni sorta di sedativi fino a diventare una tossicomane incurabile, fu probabilmente un regalo della nonna pazza. Marilyn aveva paura di addormentarsi quasi te­messe un sonno senza ritorno: lo hanno dichiarato tutte le persone che vissero con lei e che furono testimoni delle sue tormentate veg­lie notturne.

Gladys, anche se talvolta si comportò come una mamma distratta, coltivava il sogno di prendere finalmente con sé la piccola Norma Jean, unica superstite della famiglia: il padre morto, la madre in manicomio, gli altri due figli rimasti con il padre, il secondo marito sparito.

Quando finalmente ci riuscirà, resterà con la sua piccola per poco, perché la follia in agguato afferrerà anche lei e la cos­tringerà a vi­vere il resto dei suoi giorni, tranne qualche breve intervallo, in ospedali psichiatrici.

Per Norma Jean si spalancarono le porte dell’orfanotrofio: un’altra esperienza che la segnerà profondamente. Racconta F.L. Guiles in Norma Jean: la vita di Marilyn Monroeche quando Norma Jean lesse la scritta “Orfanotrofio di Los Angeles” sulla porta dell’edificio si rifiutò di entrare e si mise a gri­dare con tutte le sue forze: «Non sono un’orfana!». Da quel giorno Norma Jean imparò ad obbedire, a marciare in fila, a vestirsi come le sue compagne, a farsi scandire la vita dai ritmi del collegio senza il calore che pure una famiglia che percepisce un dollaro al giorno, in cambio della cura e della custo­dia, può dare.

Del collegio, nelle interviste sulla sua infanzia Marilyn rac­conterà cose terribili, forse esagerate e puntualmente smen­tite dai respon­sabili, ma che certamente denotano quanto questa esperienza abbia pesato sulla sua vita e sulla sua for­mazione.

 Dopo alcuni anni di collegio, finalmente Norma Jean ap­proderà ad una vita normale, nella famiglia di Grace, un’amica della mamma che si era incaricata di farle da tu­trice.

E’ a casa di Grace che prende contatto con la vita, con una scuola normale, che cresce e comincia a sentirsi donna. I ragazzi comin­ciano a guardarla, qualcuno si fa avanti e la invita a ballare. Uno di questi, Jim Dougherty, prende a fre­quentarla assiduamente, tanto che Grace, che forse sente il peso e la responsabilità di una ragazza cresciuta così in fretta dentro casa e che non è sua figlia, con­tribuisce con i suoi consigli a trasformare il flirt in un matrimonio.

Quando Norma Jean si sposa ha appena sedici anni e Jim soltanto quattro di più. La vita matrimoniale scorre serena, Jim lavora come operaio e Norma Jean fa del suo meglio per tenere in ordine la casa, finché non arriva la guerra a portare via Jim insieme a tanti altri giovani americani. Per guadag­narsi di che vivere e, soprattutto, per vincere il tedio di una vita da trascorrere in casa dei suoceri, Norma Jean va a la­vorare come operaia in una industria di guerra. Il suo compi­to è quello di impacchettare i paracadute. Il lavoro la distrae e la diverte, è un po’ il suo debutto in società. Un giorno viene scelta da un fotografo come modella per un calendario di propaganda bel­lica.

Quelle fotografie in divisa da operaia mentre armeggia in­torno ai pezzi di un aeroplano riveleranno subito una diva della fotografia, capace d’instaurare con l’obiettivo un rap­porto istintivo e imme­diato. Gli addetti ai lavori la noteranno subito e Norma Jean pren­derà il volo, catturata dall’allettante mondo delle fotomodelle che è un po’ I’anticamera del cinema, il luogo dove alloggiano le vere stelle. Ben presto la ritroviamo con André de Dienes, il primo grande fotografo della sua vita, un giovane ungherese emigrato che la fece scarrozzare per l’Ovest in lungo e in largo alla ricerca di ambienti che ricordassero l’America dei pionieri e degli indiani.

André è un bel giovane, romantico e pieno di passione per la foto­grafia e le belle ragazze. Con lui Norma Jean fa la sua prima es­perienza professionale e trascorre la sua seconda luna di miele. Al ritorno, scrive a Jim per chiedergli il divorzio. Non ci saranno problemi perché il loro era stato un matrimonio fra ragazzi, ora cresciuti.

In quegli anni (siamo nell’immediato dopoguerra) Hollywood vive un periodo d’intensa ripresa. Le grandi compagnie cinema­tografiche vivono i loro momenti magici e stipendiano eserciti d’impiegati, autori, produttori, registi, lettori di copioni, talent-scouts ed attori grandi e piccoli, realizzati e in attesa di debutto. Ogni compagnia, accanto alla scuderia dei purosangue, alimenta una pingue scuderia di puledrini pronti al debutto, molti dei quali non ap­pariranno mai davanti ad una macchina da presa se non per il loro primo provino.

Il suo provino con la Twentieth Century Fox Norma Jean se lo con­quistò con le copertine delle più importanti riviste.

Ci arrivò naturalmente cambiata fisicamente, soprattutto con i capelli che dal castano rossiccio erano diventati biondi do­rati e da crespi e ribelli erano diventati ondulati ed ordinati.

Il provino ha esito positivo e Norma Jean ottiene un con­tratto di settantacinque dollari alla settimana. Non le rimane che attendere il suo primo film e prendere un nome d’arte. Sceglie Marilyn Monroe: il cognome è quello della famiglia materna (I’unica che ha avuto, sia pure per poco), e poi così si chiamava un famoso Presi­dente degli Stati Uniti, quello della famosa “Dottrina di Monroe”  tanto citato nei film di in­diani; il nome è invece un omaggio ad una grande attrice del momento, Marlene Dietrich. Del resto la mamma non l’aveva chiamata Norma Jean in omaggio a due attrici della sua giovinezza, Norma Talmadge e Jean Harlow?

Ma Marilyn non è tenuta in grande considerazione alla Fox, soprat­tutto perché non gode della stima di Zanuck, il favo­loso mega-pro­duttore di Hollywood, che la considera sol­tanto una graziosa ragazza priva di talento artistico.

Partecipa a qualche film in particine secondarie che al mon­taggio vengono in gran parte tagliate ed a nulla valgono le protezioni influ­enti che si assicura usando le armi che pos­siede in abbondanza. Purtroppo non piace a Zanuck, che alla Fox è il capo supremo e in­contrastato, ed è quindi, dopo un anno di attesa, costretta a cercare la gloria altrove. E la gloria arriva grazie ad un famoso agente, Johnny Hyde, che si sarebbe innamorato di lei e che per lei avrebbe abbando­nato la moglie, dopo tanti anni di vita matrimoniale felice e tranquilla.

E’ Hyde si può dire che crea il personaggio di Marilyn Mon­roe e lo impone al cinema americano. Con Hyde, Marilyn partecipa ai suoi primi film importanti, come Giungla d’asfalto, Eva contro Eva.

E’ Hyde che fa assumere al suo volto l’aspetto con cui farà il giro del mondo, facendole correggere il naso quasi a patati­na e facendole sfinare il mento. Alla fine del loro sodalizio, Hyde è talmente cotto che lavora esclusivamente per lei e desidera soltanto, dato che è molto ammalato di cuore, finire i suoi giorni avendo Marilyn ac­canto come moglie.

Ma Marilyn lo rifiuta, rinunciando così ad una cospicua eredità, che l’avrebbe resa tranquilla per tutta la vita. Come amante sì, ma come marito no: dopo la prima esperienza matrimoniale fallita, Marilyn teme il matrimonio o forse vuole riservarlo ad un amore vero e travolgente, come sarà quello per Joe Di Maggio.

Hyde, deluso e amareggiato, muore improvvisamente, las­ciando Marilyn sola di fronte all’ira di Hollywood che ormai la vede come responsabile della perdizione e della morte di Hyde, mentre se avesse accettato di sposarlo ora ne sarebbe la vedova rispettata e compianta.

Hyde le lascia in eredità qualcosa che vale più del suo capi­tale: un’immagine, un nome ed il ritorno, a condizioni ben più vantag­giose, alla Fox che finalmente ha capito di avere in mano un’autentica bomba che finora non è scoppiata sol­tanto per insipi­enza dei produttori e dei registi che non hanno saputo accendere la miccia.

Il film in cui appare per la prima volta la Marilyn Monroe che conosciamo e che abbiamo amato, desiderato ed ammi­rato è Niag­ara, un mediocre film di cui restano, indimenti­cabili, il suo corpo avvolto in un leggero e attillato imper­meabile bagnato ed il suo pro­cedere ancheggiante, che fu poi ribattezzato prosaicamente “sculettamento” .

E come “sculettava” Marilyn nessuno “sculetterà” più!

Il rilancio pubblicitario, dopo il boicottaggio che era seguito alla morte di Hyde, avverrà grazie ad una foto in cui Marilyn appare nuda ripresa dall’alto, sdraiata di fianco su una grande coperta di velluto rosso: la quintessenza della bellez­za e del sesso. L’aveva fatta alcuni anni prima in un mo­mento di bisogno, senza pensare che un giorno sarebbe fini­ta nelle mani di un ricattatore. I dirigenti della Fox in un primo momento caddero nella disperazione più nera, temettero cioè che la pubblicazione della foto avrebbe distrutto, agli occhi di un’America perbenista, l’immagine di Marilyn Mon­roe e avrebbe fatto buttare al macero l’ultimo film in cui aveva lavorato.

Poi, fortunatamente, decisero di giocare d’azzardo: acquis­tarono la foto dal ricattatore ma non per distruggerla, bensì per tirarne alcune decine di migliaia di copie e distribuirle gratuitamente in tutta l’America come pubblicità al film. Fu un trionfo e Marilyn che aveva fascino e talento cinema­tografico da vendere, poté affermarsi grazie ad una foto da calendario per la quale aveva posato in cam­bio di cinquanta miseri dollari.

Da quel momento le offerte cinematografiche fioccano anche perché Marilyn è diventata la prima donna della Fox, soprattutto dopo il trionfo de Gli uomini preferiscono le bionde in cui, in coppia con Jane Russel, dimostra tutto il suo grande talento, in una parte che la impegna nella reci­tazione ma anche nel ballo e nel canto. Marilyn canta così bene che Zanuck, il quale evidentemente stenta a superare la disistima nei suoi confronti, ritiene che sia stata doppiata da una vera cantante.

Quando conosce Joe Di Maggio, il primo grande amore della sua vita, e il più duraturo, Marilyn non sa niente di lui. Non sa che è stato il più grande giocatore di baseball, idolatrato dalle folle, uno dei miti americani dei primi anni del dopoguerra.

Di Maggio, ritiratosi dallo sport prima del definitivo declino atletico, è ora un tranquillo signore che gestisce un ristorante a San Francisco frequentato dagli sportivi, e non desidera altro che ac­casarsi con una brava ragazza che gli dia dei figli e divida con lui una rispettabile vita borghese.

Joe prende a farle una corte discreta ma assidua. La va a trovare sul set e lei lo ricambia andando per la prima volta in uno stadio quando Joe scende di nuovo in campo per una gara di beneficenza. Si amano, si lasciano, poi si amano di nuovo ma Joe non si accon­tenta di una relazione con una famosa diva: vuole una moglie e questa deve essere Marilyn. Ciò che non le dice è che questa moglie la vuole a casa perché non accetta di dividerla con tutti nell’immagine cinematografica.

Il fidanzamento dura più di due anni. Marilyn è innamorata, però “fiuta” le vere intenzioni di Joe e, soprattutto, capisce che questo matrimonio potrebbe ostacolarle la carriera nel suo momento magico. Ma alla fine lo sposa.

L’America accoglie bene questo matrimonio: un grande atleta che sposa la grande diva, chissà che bei bambini americani, forti, biondi, sani e robusti nasceranno! Ma Marilyn, anche se si sottopor­rà a numerosi interventi chirurghici, non conoscerà mai le gioie della maternità. Troppi aborti mal fatti nella prima gioventù, dirà una sua amica.

Il viaggio di nozze si svolge in Giappone da dove Marilyn sarà in­dotta a volare a Seul, in Corea, in visita di conforto alle truppe americane colà dislocate, dove constata anche a rischio della prop­ria incolumità fisica, che la sua popolarità è oramai arrivata a livelli parossistici. Ora come non mai rappresenta piena­mente il sogno femminile americano, con la sua testa dorata e le sue curve morbide, la sua aria innocente e maliziosa in­sieme, la sensazione di dolcezza che emana: un sogno che ben presto conquisterà il resto del mondo e diventerà il sogno di tutti. Ma il matrimonio annega ben presto nella noia. Gli sposi sono andati a vivere a San Francisco, dove Joe ha i genitori e il suo ristorante e dove coltiva il pro­getto segreto di trasformare Marilyn in una casalinga.

Marilyn per un po’ cerca di assecondare i desideri di Joe e passa – come dice Norman Mailer – molti pomeriggi nel retrobottega del ristorante, dove i clienti si affacciano furtivamente per ammirarla. Il richiamo della macchina da presa divi­ene, però, sempre più forte mentre il suo amore per Joe si sta spegnendo. E poi come casalinga è proprio un disastro!

La lite definitiva – quella che li porterà al divorzio, perché a Joe Di Maggio rimarrà legata per sempre – pare che sia avvenuta una sera a New York quando Joe la vide girare la famosa scena di Quando la moglie è in vacanzacon le gonne alzate dall’aria che proviene da una grata comunicante con la metropolitana. La scena veniva girata in esterni davanti a migliaia di curiosi che si lasciavano andare ai commenti più salaci. Joe Di Maggio, che aveva sempre ben mascherato la sua gelosia italiana, quella sera si irritò moltissimo e le fece una scenata, che era molto di più di una normale scenata fra innamorati e che durò un’intera notte. Il mattino dopo il loro matrimonio era finito per sempre.

Del resto, quando lasciò definitivamente  Joe Di Maggio, Marilyn aveva già conosciuto Arthur Miller ed era stata certamente attratta dal fascino sottile dell’intellettuale, proprio ora che sentiva il bisogno di scrollarsi di dosso l’immagine di “bambola di carne” in cui la pubblicità tendeva a rele­garla. Ora si sente un’attrice completa ed una donna intelli­gente, dai sentimenti profondi. Ha preso a frequen­tare lo studio di Strasberg,  il maestro dei più grandi at­tori americani, a cominciare da Marlon Brando,  che nutre per lei la massima stima e che vuole  dare un’anima ed una mente al più straordinario corpo d’America.

Arthur Miller, anche se ora è un po’ a corto d’ispirazione, è un fa­moso commediografo, quello che ha meglio rappresen­tato l’America degli anni Cinquanta con opere importanti come Morte di un commesso viaggiatore, Uno sguardo dal ponte, Il crogiolo.Miller è felicemente sposato da molti anni ma Marilyn metterà subito in crisi il suo matrimonio. I due si frequentano, fanno grandi conversazioni, lui è attratto dalla bellezza di lei mentre Marilyn è tutta compresa nel suo nuovo ruolo di attrice intelligente ed impeg­nata.

Nel 1956 Miller chiede il divorzio a sua moglie ed annuncia il ma­trimonio con Marilyn. L’America accoglie bene anche questo nuovo matrimonio di Mar­ilyn (ormai da lei accetterebbe tutto!), sembra addirittura entusiasta: il Cervello Americano sposa il Corpo Americano. Pare un accoppiamento perfetto, studiato a tavolino nei minimi par­ticolari o, addirittura, combinato da un computer. Se dal matrimo­nio con Joe Di Maggio gli americani si aspettavano bambini belli, biondi, forti e sani, dal nuovo matrimonio con Arthur Miller si as­pettano bam­bini sempre belli, biondi, forti e sani ma anche intelli­genti.

Arthur comincia ad occuparsi anche degli affari della mo­glie: sor­veglia, cioè, la realizzazione dei film, la difende di fronte personalità troppo forti come Laurence Olivier, con cui avrà un tempestoso rapporto ne Il principe e la Ballerina, ne giustificherà i sempre più intollerabili ritardi sul set. Con lei a fianco porterà avanti il progetto di diventare scrittore di cinema; scriverà il sog­getto de Gli spostatiintorno al quale si riuscirà a mettere in piedi un cast formidabile: Marilyn, insieme a Clark Gable e Montgomery Clift, di­retti dal grande John Houston. Ma il film costerà per colpa di Marilyn, la cui insonnia e le cui nevrosi sconfi­nano sem­pre più verso la follia, molto più del preventivato e non in­casserà abbastanza da recuperare le spese (quattro milioni di dollari nel 1961!). E poi sarà il suo ultimo film, come lo sarà per Clark Gable che morirà, per infarto, pochi giorni dopo la fine delle riprese. Per Marilyn sarà un altro trauma: la per­dita del “padre segreto” della sua infanzia appena conos­ciuto.

Il matrimonio fra Miller e Marilyn, che appare così perfetto e così felice, è profondamente minato dall’aggravarsi delle condizioni psi­cofisiche di lei. L’insonnia è diventata insop­portabile e Marilyn fa ricorso a tutti i farmaci di cui riesce ad impadronirsi, alcuni dei quali, in combinazione con altri, capaci di provocare una miscela dannosa dirompente.

Marilyn è ormai una tossicomane irreversibile e Miller tenta dis­peratamente di salvarla, trascurando il suo lavoro e i suoi affari (nei cinque anni di vita con lei, che poi racconterà nella commedia Dopo la caduta, riuscirà soltanto a scrivere il copione de Gli spostati).

Una gravidanza annunciata sembra aprire uno squarcio di luce in un cielo tempestoso ma tutte le speranze rientrano quando si scopre che anche questa gravidanza Marilyn non potrà portarla a termine. La depressione diventa ancora più forte, tanto che è costretta a girare A qualcuno piace caldoin condizioni pietose, suscitando le ire del regista Billy Wilder, che pure era un suo grande ammiratore, e dei partner Tony Curtis e Jack Lemmon. Eppure A qualcuno piace caldorisulta uno dei suoi migliori film. Ormai le è suffi­ciente trascinarsi davanti ad una macchina da presa, do­po una not­tata insonne, per riprendere tutto il suo vigore e ritrovare il suo fas­cino. Il momento peggiore dell’unione con Miller e delle condizioni psico-fisiche di Marilyn coincide con la lavorazione de Gli spos­tati, durante la quale Marilyn – che nel frattempo ha trovato modo d’innamorarsi di Yves Montand, il quale però l’ha trattata come “un capriccetto” qualsiasi – viene anche ricoverata d’urgenza in un clinica di Los Angeles dove tentano di disintossicarla.

All’uscita dall’ospedale riesce portare a termine il film ed a trovare la forza per lasciare Arthur Miller il quale, da parte sua, sembra ess­ersi defilato da tempo.

Ora è sola a ricominciare tutto da capo, in lotta soprattutto con se stessa e con la sua salute mentale. Lo spettro della follia che si è ab­battuto sulla sua famiglia ora deve essere più ossessionante che mai. Il lavoro non può essere un rifugio anche perché sente che non tro­verà mai più la forza di sos­tenere la fatica di un altro film.

Per un po’ trova rifugio in Joe Di Maggio che non ha mai cessato di amarla e che vorrebbe tornare con lei. Ma il pas­sato non ritorna. Ritorna, invece, sempre più allarmante la depressione psichica che costringe Di Maggio a far la ri­coverare di nuovo in ospedale. Ad al­cuni amici confida di pensare sempre più spesso al suicidio e di essere tentata dalla vista di una finestra aperta.

Gli ultimi istanti di vitalità e di illusione li vive nel gruppo che fa capo ai Kennedy in cui è stata introdotta da Frank Sinatra. Di Robert (ma si dice anche del presidente John) diventerà anche l’amante e sarà la sua ultima storia d’amore.

Il 5 agosto del 1962 viene trovata morta sul letto della sua casa, il bellissimo corpo nudo appena avvolto in un len­zuolo. Forse aveva perso il conto delle pillole ingerite per conquis­tare quel sonno che tanto la terrorizzava, o forse aveva volu­to dimenticarlo.

Le indagini, piuttosto frettolose non fanno pensare ad altro che al suicidio. Anni dopo si comincia a mormorare il nome di Robert Kennedy, come quello dell’ultima persona a cui Marilyn avrebbe telefonato qualche ora prima di morire. Un tentativo disperato di comunicare con qualcuno a cui Kennedy non avrebbe risposto.

Si chiude così, a trentasei anni, la travagliata esistenza di Norma Jean, la figlia di una pazza e di uno scono-sciuto che assomigliava a Clark Gable, una tenera, dolce, delicata ragazza che aveva paura del buio.


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