Sembra che si dicesse così in guerra e forse era vero ed anche comprensibile.
Più strano e preoccupante appare però quando ciò avviene nella pacifica dialettica democratica, dove si suppone che quel che si sostiene sia anche rappresentativo di quel che si pensa, si propone e si vorrebbe ottenere.
Il catalogo delle “trincee” verbali tese a drammatizzare la situazione e ad attirare per un momento la attenzione sta crescendo a vista d’occhio ed esse si accumulano nella percezione del cittadino impedendogli di cogliere la pur momentanea realtà delle cose.
L’ultima, che attualmente primeggia, è l’evocazione della “rivolta sociale”, cui il compagno Landini ha affidato la propria recente auto rappresentazione.
Ovviamente chiunque può invocare qualunque cosa (anche la pioggia o il bel tempo) ma normalmente ciò avviene nella chiarezza dei rapporti e della funzione eventualmente svolta.
Per essere chiari: io posso invocare la pioggia ma quasi nessuno penserà che posso determinarne l’arrivo.
Ma Landini è il Segretario Generale del più grande Sindacato italiano.
Partecipa attivamente alla gestione di molte centinaia di migliaia di rapporti e contratti lavorativi.
È, per la sua parte, responsabile delle condizioni di vita della maggioranza delle famiglie italiane.
Insomma, deve battersi al meglio per quella enorme fetta di popolo italiano che rappresenta. Ed è pagato per questo.
È troppo preparato per non sapere che il concetto di “rivolta sociale” è esattamente l’opposto di quel che ci si aspetta da lui.
La cosidetta rivolta sociale è quella dei Moti di Reggio Calabria, guidata da Ciccio Franco al dannunziano grido “boia chi molla!”. Essa consisteva nella ipotizzata ribellione dell’intera società contro ogni forma di potere e di regolamentazione.
Non per caso, allora nel 1971, la CGIL fermamente vi si oppose..
E, poiché certamente Landini queste cose le sa, di tutta evidenza ha scelto la trincea da cui iniziare la sua prossima battaglia che sarà politica e non sindacale.
Il criterio della scelta non è l’efficacia né la possibilità di svolgere un ruolo il quel prosieguo.
La trincea è stata scelta soltanto in base a un criterio di immediata visibilità: obiettivo che è stato in effetti raggiunto con citazioni virgolettate in prima pagina e nei talk show.
Ma Landini non è, purtroppo, il primo ad avere adottato questa logica di fasulla comunicazione e non sarà, purtroppo, l’ultimo.
Si sceglie cosa dire non in base a quel che effettivamente si ritiene o a quello che si vorrebbe ottenere ma soltanto in base alla sua supposta efficacia comunicativa.
Un perfetto esempio è la canizza scatenatasi dopo i gravissimi fatti del rione Corvetto in Milano.
La drammatica morte di un giovane ha portato, in virtù delle azioni ribellistiche seguenti, a scontrarsi sul tema della immigrazione e della sua gestione.
Le due posizioni emerse (entrambe con virulenza) sono state “fermiamoli o espelliamoli” contro “accogliamoli ed integriamoli!”.
Ma se lo stesso episodio iniziale fosse successo a Scampia, Napoli o a San Basilio, Roma si può davvero ritenere che non avremmo assistito anche lì a moti di protesta e scontri con la polizia?
E cosa avrebbero detto gli eventuali esegeti e commentatori?
È certamente difficile ammettere che lo Stato ha perso il controllo su vaste zone del territorio, consegnate di fatto una diffusa criminalità intermedia. Ancora più difficile è prospettare soluzioni ed assumersi responsabilità.
Ma certo non giova attribuire quanto sta avvenendo al colore della pelle di qualcuno dei protagonisti dei fatti.
Questo serve solo a ottenere una efficacia comunicativa a brevissimo raggio, che è del resto l’ obiettivo vero di chi la pratica.
E così si spiega il comportamento di chi si proclama in prima linea contro la attuale deriva fascista come di chi intimamente gioisce per le difficoltà respiratorie dell’arrestato nella camionetta della polizia.
Non credono mica a quello che dicono.
Si esprimono così solo per conquistare un briciolo di luce mediatica.
E in guerra, come dicevamo, ogni buca è trincea.
Sarebbe una cosa soltanto ridicola e non molto grave se non fosse che, per antica legge fisica, ogni spostamento verso il basso assume forza crescente dal passaggio che lo precede.
L’effetto valanga si applica perfettamente a ogni comportamento umano se inserito nella catena comunicativa in cui ormai viviamo.
Prepariamoci dunque al peggio e a dover rimpiangere persino gli attuali protagonisti della sceneggiata.
Nei giorni scorsi è riecheggiato per le strade italiane uno slogan che nemmeno il susseguirsi dei decenni ha evidentemente cancellato del tutto.
“il presidente Mao ce lo ha insegnato,
uccidere un fascista non è reato”
A ben poco ci servirà il sapere che chi lo grida non ha mai nemmeno preso in mano il Libretto Rosso, non sa nulla della Lunga Marcia e della cosiddetta Rivoluzione Culturale.
Ormai anche Mao Tse Tung (con tutto il bene e il male che storicamente ha prodotto) è cristallizzato in uno slogan che certamente non proviene da lui.
Egli,semmai, avrebbe sostenuto (citando Confucio) che “Non importa di che colore sia il gatto, l’importante è che prenda i topi”.
Ma i nostri gatti, ahimè, sono ormai interessati solo a miagolare gli uni più forte degli altri.
E, di catturare i topi non gliene frega più niente.
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