OGGI HO VINTO DUE SCUDETTI
Che anno quell’anno! Quel 1974 fu un anno vietato ai cardiopatici, a coloro che non reggevano le emozioni. Per più di dieci anni l’Italia aveva visto accelerare lo sviluppo e la modernizzazione. Sembrava di essere sulla pista di Monza: aumentavano gli stipendi, la gente lavorava, firmava cambiali, si riempiva la casa di elettrodomestici, si costruivano case dappertutto e le città venivano invase dalla lamiera mobile della automobili. Consumate… comprate… erano le parole d’ordine e gli italiani compravano… consumavano… firmavano cambiali a pacchi. Poi i paciosi anni Sessanta finirono con le contestazioni studentesche, con l’autunno caldo e con la bomba di Piazza Fontana. E l’incantesimo si ruppe per sempre.
Si consumava soprattutto benzina per far viaggiare le automobili che avevano invaso città antiche, che non le avevano previste. Un giorno qualcuno chiude i rubinetti: il petrolio costa sempre di più e non ci possiamo più permettere certi lussi. Non ci possiamo più permettere le automobili, ma non possiamo neppure più permetterci questo consumo sempre più massiccio di energia derivata dal petrolio… E allora stop! Come stop? Ci dicevamo. E le nostre automobili come le facciamo camminare? Come possiamo tornare ai tram, alle carrozze a cavallo, alle biciclette… A Bologna e in tutte le città piatte, la bicicletta va bene, ma in città con salite e discese come Roma, con distanze divenute enormi per le periferie che avevano raddoppiato il tessuto urbano, provate voi a pedalare…
Fummo tutti travolti da una vecchia parola che faceva soggezione, austerità, che per renderla più autorevole tradussero in inglese: austerity! Ragazzi, c’è l’austerity… vuoi mettere con ragazzi c’è l’austerità?! Nessuno l’avrebbe presa sul serio. La domenica tutti a piedi, la sera prima delle 23 tutti a dormire, per questo si chiudevano le trasmissioni televisive, i cinema spengevano le luci alle 22, il tempo per mandare gli spettatori a casa, gli uffici pubblici alle 13 e quelli privati alle 17. La sera non usciva più nessuno, le strade erano buie e a Roma i monumenti come il Colosseo, i Fori e San Pietro non erano illuminati. Mancava soltanto il coprifuoco del tempo di guerra che permetteva la circolazione dopo una certa ora ai medici, alle levatrici e ai preti che andavano a portare l’estrema unzione ai moribondi. I più anziani che avevano vissuto gli anni di guerra, rimanevano turbati e rabbrividivano cogliendo quelle analogie.
Gli italiani consumavano meno, non facevano più le gite domenicali con le automobili che rimanevano parcheggiate sotto casa, però stavano crescendo dal punto di vista civile. Reclamavano leggi che prendessero atto dei mutati costumi sociali. E finalmente si riparò con il divorzio a quella piaga sociale che era diventata la indissolubilità del matrimonio. Ma il mondo cattolico più retrivo e più refrattario ai cambiamenti e che aveva un atteggiamento clericale anche sulle leggi civili, sulle quali volevano imporre il loro credo religioso, ricorsero al primo referendum abrogativo della storia d’Italia.
L’Italia era tutta un dibattito, da una parte per la crisi del petrolio e dall’altra su divorzio sì o divorzio no. Chi voleva abolire il divorzio votava sì, chi lo voleva mantenere votava no.
In questa Roma buia noi laziali eravamo illuminati dalla luce di una squadra meravigliosa che avrebbe dovuto vincere lo scudetto l’anno prima e che ora stava volando verso il primato. Noi laziali non ci fermò nessuno, non ce la fece neppure l’austerity: quando giocava la nostra Lazio andavamo allo stadio in tutti i modi, in bicicletta, persino a piedi. Arrivammo persino a organizzare dei pulman e lo stadio era sempre stracolmo. Una volta ci facemmo prendere dall’entusiasmo e ci attardammo a festeggiare e, quando uscimmo, il pulman se ne era andato e tornammo a casa a piedi, dove arrivammo a notte, stanchi ma felici perché la nostra Lazio aveva vinto ancora.
Che anno ragazzi, quel 1974… e che Lazio! Pulici Petrelli Oddi Martini Wilson Nanni Garlaschelli Frustalupi Chinaglia Re Cecconi D’Amico. Una di quelle formazioni che non si dimenticano e che potevamo imparare a memoria e magari raccontare ai nostri figli e ai nostri nipoti. Provate a dire a memoria la formazione della Lazio di oggi… una formazione che cambia ad ogni partita e anche durante la stessa partita.
E arrivò questo fatidico 12 maggio del 1974. La situazione dell’austerity è migliorata, in quanto è permessa la domenica la circolazione delle targhe alterne e quindi rimane più facile trovare il modo di arrivare allo stadio, o perché hai la targa giusta, o perché hai due macchine una con targa dispare e l’altra con targa pari, o perché trovi qualche laziale con cui fare lo scambio. Comunque quel giorno ci sarei andato anche a piedi, partendo all’alba e ritornando a notte. Quel giorno in cui la Lazio si giocava il primo scudetto della sua storia contro il Foggia. Quella domenica era targa dispari: la mia! La giornata cominciava bene. La mattina presto, insieme a mia moglie andammo a votare per il referendum. Per la strada vicino al seggio incontrammo una coppia di anziani coniugi con un cartello che diceva: “votiamo NO perché vogliamo stare insieme senza obblighi di legge”. Un signore voleva denunciarli ai carabinieri perché facevano propaganda davanti al seggio. Gli feci notare che la legge dice che bisogna essere distanti cento metri, e i due coniugi con il cartello erano a una distanza superiore. “Se vuole la misuriamo” gli dissi. Ma il signore se ne andò travolto dal ridicolo e bofonchiando maledizioni all’indirizzo dei profanatori della morale.
Entrammo al seggio, mia moglie ed io, tenendoci per mano e sulla scheda facemmo una croce bella stampata sul NO. Sono passati 40 anni e il nostro matrimonio è sempre in piedi. Il divorzio è servito ad altri, non a noi.
Mia moglie ci preparò dei panini e partimmo per lo stadio, io e i miei due bambini Massimiliano e Silvio, che non volevano mancare alla festa. Sciarpette regolamentari e bandierina biancoceleste. Un solo biglietto, posto numerato tribuna Monte Mario destra, e tre persone, un adulto e due bambini che devono entrare. Parcheggio riservato, perché con noi c’era un amico romanista che lavorava all’Aci e aveva diritto a un posto al parcheggio riservato. Oltre all’ingresso allo stadio. All’ingresso con Vittorio, così si chiama l’amico, ci dividiamo i miei bambini: Silvio è piccolo, meno di un metro, ha diritto ad entrare gratis, Massimiliano più grandicello si abbassa ma l’addetto al controllo lo fa passare, ridendo perché non vuole rovinare la festa a nessuno. Due ore prima dell’inizio della partita lo stadio è già pieno come un uovo. Il sospetto è che sia stato venduto il doppio dei biglietti, una sensazione che diventa certezza quando nei posti numerati si scatenano vere e proprie risse fra persone che hanno lo stesso biglietto. Ma poi al fischio d’inizio, come per incanto, ognuno trova il proprio posto, magari sulle scale, uno sopra l’altro. Lo stadio è un muro biancoceleste, le bandiere non sappiamo dove depositarle e impediscono la visuale. Ma non fa niente, la vittoria è certa, lo vuole il dio del pallone, il mitico Eupalla inventato da Gianni Brera. Prima della partita, come sempre, il sor Umberto fa il suo giro di campo, sembra un papa benedicente sulla sedia gestatoria, i tifosi urlano il suo nome, gli tirano baci. Lui è commosso e piange. La partita comincia, il primo tempo finisce che le squadre stanno ancora sullo zero a zero. Comincia il secondo tempo e il gol tarda ad arrivare. Al 51’ Garlaschelli crossa e un difensore del Foggia sfiora la palla con la mano. L’arbitro Panzino, quello che qualche settimana prima aveva dato un paio di rigori alla Juve, indica il dischetto del calcio di rigore. Giorgione Chinaglia deposita la palla in un silenzio agghiacciante, Rincorsa e fortissimo tiro centrale che per sua fortuna il portiere del Foggia non intercetta, evitando così di finire in porta con tutto il pallone. E’ gol e noi laziali ci sentiamo già campioni d’Italia ma manca più di mezz’ora alla fine della partita e il Foggia non sta certamente a guardare anche perché se noi ci stiamo giocando lo scudetto loro si giocano la retrocessione. A ogni fischio di arbitro ci sono tentativi di ingresso in campo da parte di spettatori che vogliono festeggiare e impadronirsi delle magliette dei giocatori, la partita volge alla fine e un pareggio rimanderebbe all’ultima giornata l’assegnazione dello scudetto. Ma, come dice il poeta, “anche la notte più lunga eterna non è”, e la partita finisce. Quello che avviene dopo il fischio finale è indescrivibile. Maestrelli, lo abbiamo visto dopo nel filmato, si sente male. I giocatori vengono aggrediti dagli spettatori, portati in trionfo e spogliati di tutto, maglietta e calzoncini. Il ritorno a casa è lunghissimo, perché una teoria di macchine strombazzanti cerca di farsi largo in un muro compatto di tifosi con sciarpe e bandiere.
La sera, a casa nostra viene a cena con la sua compagna Angelo Tonello, il segretario organizzativo della Lazio, che ci porta la bandiera biancoceleste che è salita sul pennone dello stadio Olimpico, ce la affida in custodia per qualche giorno. Che farne? Idea: la portiamo a Renzo, l’amico laziale dell’ultimo piano che la appende al suo balcone. La bandiera copre praticamente tutta la facciata del palazzo. E i romanisti? Fanno pippa, che devono fare?
C’è un’altra partita scudetto ancora in gioco in quel 12 maggio del 1974: il referendum. I seggi sono aperti, come sempre, anche il lunedì, fino alle 14. Alle 16 i risultati parziali ci fanno capire che il No è stato un grande muro eretto contro chi voleva far fare all’Italia un passo indietro. Ci precipitiamo in festa a Piazza Navona, il luogo di Roma dove si sono celebrate le lotte per i diritti civili. Se non portasse quel bellissimo nome antico, Piazza Navona dovrebbe essere ribattezzata Piazza dei Diritti Civili. La festa dura tutta la notte. Incontro un uomo con bandiera laziale e con un cartello dove c’è scritto: “oggi ho vinto due scudetti”. Noi laziali abbiamo vinto due scudetti. L’Italia uno. Meraviglioso e indimenticabile 12 maggio del 1974.