Ma quale censura? Anzi, una meritoria azione di risparmio dei soldi pubblici di un paese che ha tanti problemi, ed in cui c’è grossa crisi.
E poi chi si crede di essere questo Scurati per chiedere ed ottenere con regolare contratto dalla tv di stato 1800 euro per un minuto di monologo?
1800 euro, mil-le-ot-to-cen-to… manco fosse Cristiano Ronaldo, Fiorello o, che so io, Taylor Swift. Ma per favore. Anzi, cari connazionali italiani, il discorso ve lo pubblico io, sul mio profilo social, cosi vi fate un’idea di quanto sono faziosi questi intellettuali di sinistra.
Tecnicamente il populismo si definisce come l’atteggiamento o la prassi politica che “rappresenta” il popolo inteso come una grande massa e ne esalta i valori, i desideri e sentimenti collettivi o popolari, comprese le paure e le frustrazioni. Di queste prassi e di questi atteggiamenti la storia dell’umanità è piena.
La peste di Milano ad esempio era dovuta alle scarse condizioni igieniche del periodo.
I governanti del tempo lo sapevano benissimo, ma sapevano altrettanto bene che risolvere il problema era difficile, se non impossibile in quel periodo storico e con quelle condizioni sociali.
Era decisamente più semplice individuare un responsabile su cui canalizzare la paura e l’odio della folla, sapendo altrettanto bene che il problema non si sarebbe risolto. Il responsabile per la politica spagnola di allora era l’untore, uno stragista ante litteram che spargeva il virus nelle città, non i topi che infestavano le città nel 600.
In tempi più recenti si è parlato spesso di populismo, atteggiamento e prassi assieme, dicendone il peggio possibile, salvo ammettere che spesso i problemi da cui deriva erano e sono tutt’altro che immaginari. Alcuni si sono spinti ad ipotizzare che la stagione del populismo, europea e americana era la conseguenza della stagione neoliberista e del pensiero unico che ne sorreggeva le politiche.
In questa ottica la stagione del populismo si afferma come la reazione ad un’idea distorta di merito che nel tempo ha generato una frattura sociale tra i vincitori e i vinti della grande trasformazione digitale e tecnologica meritocrazia e spinge verso una nuova stagione in cui lo Stato torna al centro del dibattito pubblico. La politica populista al potere, chiamata alla mediazione, resta tale nell’atteggiamento e non nella prassi….
Il populismo di oggi non è più quello dell’untore di manzoniana memoria, ma quello vittimista dei NO VAX, dei Trump, del presidente argentino con la motosega, dell’uno vale uno. La crisi del “pensiero” di oggi è il portato di 30 anni di “pensiero unico”, la risposta è oggi come allora rappresentare il popolo, i sentimenti e soprattutto le paure e le frustrazioni.
In questa ottica Antonio Scurati è l’intellettuale parassita ed esoso che vuole 1800 euro al minuto per un monologo noioso che parla di cose passate. Matteotti è roba di 100 anni fa ed è stato un uomo politico. I politici come è noto sono tutti uguali, a meno che non siano social e sintonizzati con umori e frustrazione della gente. Di questi tempi, tra l’altro, un intellettuale, un virologo, un ricercatore ricco è uno scandalo, un calciatore o una cantante o una influencer no. I cittadini non hanno tempo per queste cose, i problemi sono altri, e con la cultura non si mangia.
Quale sia l’agenda e la scaletta delle priorità dei problemi per la Giorgia nazionale non è del tutto chiaro. Uno di questi però è sicuramente è fare in conti con il passato da cui proviene. Meloni è sicuramente una donna intelligente, più aspetta a farlo e peggio sarà per lei, perché a Dio piacendo anche l’opposizione prima o poi ritroverà un minimo di capacità politica e di senso. A meno che la Meloni sia proprio convinta del fatto che 1800 euro a Scurati per un monologo di un minuto sia davvero uno scandalo per una RAI, impresa a cui lo Stato delega il servizio pubblico, chiamata dalla maggioranza di destra a cancellare l’egemonia culturale della sinistra.
PS. Il monologo di Scurati, quello che potrebbe passare alla storia non tanto per forma e contenuto quanto per la polemica che ha scatenato, parla di Giacomo Matteotti e del brutale assassinio di regime di cui fu vittima. Matteotti era un “politico” vero e faceva in solitaria opposizione al governo fascista. E se il nostro paese oggi è la democrazia che conosciamo lo deve anche a coloro che come lui sfidarono il regime, a costo della vita. Quest’anno ricorre il centenario della morte di Matteotti. Ecco il testo di Antonio Scurati che pubblichiamo volentieri:
“Lo attesero sotto casa in cinque, tutti squadristi venuti da Milano, professionisti della violenza assoldati dai più stretti collaboratori di Benito Mussolini. L’onorevole Matteotti, il segretario del Partito Socialista Unitario, l’ultimo che in Parlamento ancora si opponeva a viso aperto alla dittatura fascista, fu sequestrato in pieno centro di Roma, in pieno giorno, alla luce del sole. Si batté fino all’ultimo, come aveva lottato per tutta la vita. Lo pugnalarono a morte, poi ne scempiarono il cadavere. Lo piegarono su se stesso per poterlo ficcare dentro una fossa scavata malamente con una lima da fabbro. Mussolini fu immediatamente informato. Oltre che del delitto, si macchiò dell’infamia di giurare alla vedova che avrebbe fatto tutto il possibile per riportarle il marito. Mentre giurava, il Duce del fascismo teneva i documenti insanguinati della vittima nel cassetto della sua scrivania.
In questa nostra falsa primavera, però, non si commemora soltanto l’omicidio politico di Matteotti; si commemorano anche le stragi nazifasciste perpetrate dalle SS tedesche, con la complicità e la collaborazione dei fascisti italiani, nel 1944. Fosse Ardeatine, Sant’Anna di Stazzema, Marzabotto. Sono soltanto alcuni dei luoghi nei quali i demoniaci alleati di Mussolini massacrarono a sangue freddo migliaia di inermi civili italiani. Tra di essi centinaia di bambini e perfino di infanti. Molti furono addirittura arsi vivi, alcuni decapitati. Queste due concomitanti ricorrenze luttuose – primavera del ’24, primavera del ’44 – proclamano che il fascismo è stato lungo tutta la sua esistenza storica – non soltanto alla fine o occasionalmente – un irredimibile fenomeno di sistematica violenza politica omicida e stragista. Lo riconosceranno, una buona volta, gli eredi di quella storia? Tutto, purtroppo, lascia pensare che non sarà così», sottolinea lo scrittore passando dagli anni bui del fascismo alla storia attuale. Il gruppo dirigente post-fascista, vinte le elezioni nell’ottobre del 2022, aveva davanti a sé due strade: ripudiare il suo passato neo-fascista oppure cercare di riscrivere la storia. Ha indubbiamente imboccato la seconda via. Dopo aver evitato l’argomento in campagna elettorale, la Presidente del Consiglio, quando costretta ad affrontarlo dagli anniversari storici, si è pervicacemente attenuta alla linea ideologica della sua cultura neofascista di provenienza: ha preso le distanze dalle efferatezze indifendibili perpetrate dal regime (la persecuzione degli ebrei) senza mai ripudiare nel suo insieme l’esperienza fascista, ha scaricato sui soli nazisti le stragi compiute con la complicità dei fascisti repubblichini, infine ha disconosciuto il ruolo fondamentale della Resistenza nella rinascita italiana (fino al punto di non nominare mai la parola “antifascismo” in occasione del 25 aprile 2023).
Mentre vi parlo, siamo di nuovo alla vigilia dell’anniversario della Liberazione dal nazifascismo. La parola che la Presidente del Consiglio si rifiutò di pronunciare palpiterà ancora sulle labbra riconoscenti di tutti i sinceri democratici, siano essi di sinistra, di centro o di destra. Finché quella parola – antifascismo – non sarà pronunciata da chi ci governa, lo spettro del fascismo continuerà a infestare la casa della democrazia italiana».