25 aprile 1945, l’Italia è liberata dai nazisti e dai fascisti di Salò. In Italia inizia una nuova era, quella della libertà e della democrazia, e quella data oggi rappresenta lo spartiacque fra le due ere.
Per noi cittadini italiani di oggi la democrazia e la libertà sono come l’acqua, come la corrente elettrica, come l’aria che respiriamo, tutti beni che fanno parte della nostra vita e della cui esistenza ci accorgiamo soltanto quando ci vengono a mancare. E questa festa ci deve far riflettere su questa semplice verità e soprattutto ci deve far ricordare gli uomini che, spesso con il sacrificio della propria vita, combatterono per la loro dignità di uomini ma anche per la nostra libertà.
Alcuni anni fa raccontai la storia di uno di questi uomini in un mio romanzo che si intitolava “Hai visto passare un gatto nero” (Marsilio Editore e Reality Book). Questo uomo si chiamava Alessandro Brucellaria, ma tutti lo chiamavano Memo, il suo antico nome di battaglia, quando comandò le Brigate Garibaldi sulla linea gotica fra la Versilia e la Lunigiana.
Decisi di scrivere questo libro il giorno che mi incontrai con il Memo a Carrara e lo vidi nel suo ambiente. Questo uomo, alto e curvo e dal viso scavato, si muoveva con le sue gambe malferme nella sua città, salutato e riverito da tutti. Persino dalle nuove generazioni, di solito così immemori. Al suo passaggio era tutto un “ciao, Memo” a cui lui rispondeva con un cenno del capo e con un gesto della mano. Uno dei quei ragazzi lo fermai e glielo chiesi: «Ma chi è questo signore che hai appena salutato?». Mi rispose, sorpreso della mia domanda: «E’ il Memo, il nostro eroe».
Mi innamorai del personaggio, della sua ruvida umanità, della sua grande passione civile che lo aveva accompagnato per tutta la vita. Del suo amore per la sua terra, per quel marmo che sta sopra le teste dei carrarini e che ai carrarini da secoli dà lavoro, ricchezza, orgoglio e anche sangue e morte. Mi incantò per i sogni di ragazzo che alle soglie della morte ancora inseguiva: il suo comunismo svanito che era rimasto per sempre nel suo cuore. Ma anche nella sua condotta di vita.
Seppi che dopo la Resistenza, lui che avrebbe potuto chiedere onori, cariche e prebende per aver comandato le Brigate Garibaldi nella zona gotica, dove si combatté metro per metro fino all’ultimo istante, lui che aveva liberato Carrara per tre volte, precedendo sempre gli Alleati che per due volte lo avevano fatto tornare indietro, quando tutto finì tornò al suo umile lavoro nel marmo e continuò a interessarsi di politica come semplice militante.
E poi siamo in tempi strani. Sono passati ottanta anni da allora, si dice, bisogna capire anche le ragioni degli altri, di quelli che scelsero l’altro campo. Io penso però che si debba capire soprattutto le ragioni di coloro che fecero la scelta giusta e che dettero la libertà, la democrazia e la dignità all’Italia e agli italiani. Mentre gli altri stavano dalla parte di quello che si era alleato con Hitler, portatore di orrore.
Quel giorno decisi di raccontare la vita di Memo come in un romanzo, come se dovessi raccontare una favola alle prossime generazioni, quelle a cui forse più nessuno racconterà la storia dei nostri Padri, come faceva Memo alle scolaresche che andavano a trovarlo alla sede dell’ANPI di Carrara, dove aveva allestito un piccolo museo della Resistenza.
E dedicai il libro “A Memo e a tutti coloro che furono nella parte giusta”.
Oggi, in questo ottantesimo anniversario, al governo sta un partito che ha nel simbolo la fiammella, ereditata dal partito nostalgico del vecchio regime e, nella seconda carica dello stato, siede un personaggio che non ha mai nascosto le sue simpatie per il fascismo.
Anche a livello linguistico (la lingua è lo specchio del pensiero) la parola Resistenza, che evoca un fatto storico fondante della nostra repubblica, e stata sostituita con la parola resilienza, che hanno scovato in un angolino del dizionario tecnico, e che sta a significare la resistenza passiva dei metalli.
Anche la visita recente di re Carlo è stata commentata e raccontata come una visita di cortesia, mentre aveva significati ben precisi, nella scelta della data, innanzi tutto, nel riferimento esplicito al valore dei partigiani e nella visita a Ravenna, la città liberata dall’Ottava armata comandata dagli inglesi, dove combatterono anche molti italiani.
Io festeggerò il 25 aprile con al collo il fazzoletto tricolore che mi ha lasciato mio Padre, agli altri consiglio: se volete continuare legittimamente a governare, comportatevi come una destra moderna e abbandonate ogni nostalgia per un regime condannato dalla Storia e festeggiate con noi quella che Franco Antonicelli chiamò la Festa Grande di Aprile. Perché è la festa della rinascita dell’Italia.