25 LUGLIO 1943: FU UNA COSA SERIA?

25 luglio 1943: ore 17,15: nella sala del Mappamondo di Palazzo Venezia a Roma inizia l’ultima seduta del Gran Consiglio del Fascismo, istituito da Mussolini nel 1922. La sua composizione è stata via via ampliata fino a raggiungere gli attuali 31 membri: ne fanno parte i ministri fascisti, i vertici delle organizzazioni del partito compreso il suo segretario, il comandante della milizia volontaria di sicurezza nazionale, e due (De Bono e De Vecchi) dei quadrumviri capi di due delle quattro colonne che più di venti anni prima avevano effettuato la marcia su Roma che aveva segnato l’inizio del regime fascista.

In quella sala c’è il meglio e contemporaneamente il peggio del Fascismo: ci sono politici raffinati come Dino Grandi, Presidente della Camera dei fasci e delle corporazioni, e c’è Roberto Farinacci, l’ex squadrista duro e puro, c’è Galeazzo Ciano che ha avuto la fortuna di sposare la figlia del Duce ed ha fatto rapidamente carriera (ministro degli Esteri) e con lui Luigi Federzoni, vecchio nazionalista monarchico già presidente del Senato. Erano stati convocati da Mussolini per l’esame della situazione che è molto grave: le truppe alleate sono padrone ormai dell’Italia meridionale e di parte di quella centrale.
Il 19 luglio Roma è stata bombardata: migliaia di morti, ancora non si sa esattamente quanti. Mussolini ha incontrato Hitler a Feltre per illustrargli le difficoltà per l’Italia di continuare la guerra, ma ha ottenuto dall’alleato solo assicurazioni di una vittoria vicina.

E’ormai chiaro ormai che per l’Italia si tratta di una guerra perduta: lo sanno i fascisti, dentro e fuori la sala del Mappamondo, tutti preoccupati per il loro futuro certi che il regime fascista non potrà sopravvivere alla sconfitta. Lo sa Vittorio Emanuele III: è lui in base all’articolo 5 dello Statuto del Regno il comandante delle Forze Armate che con l’incarico conferito a Mussolini di formare nel 1922 il suo primo governo ha dato l’avvio al regime fascista, consapevole che tutto questo nel caso di una sconfitta bellica può costare la corona a lui e a tutta la famiglia regnante. Già da lungo tempo sta cercando una soluzione alternativa con esautoramento da ogni carica di governo di Mussolini e degli altri fascisti e la costituzione di un governo per comporlo di suoi fedelissimi che apra la strada di una pace separata con gli alleati cosa che anche Giuseppe Bastianini ha tentato attraverso un amico inglese ma senza alcun risultato. Il Monarca e gli esponenti fascisti hanno dunque in comune un problema: porre termine alla guerra senza troppi danni per loro stessi salvando il salvabile.
Uno dei pochi a pensare diversamente è Farinacci che medita un colpo di stato tutto fascista con l’appoggio dei tedeschi per continuare la guerra al loro fianco.

Il re intanto procede celermente, anche attraverso i contatti del ministro della Real Casa Aquarone, nella realizzazione dei suoi piani.

Il 22 luglio Vittorio Emanuele incontra Mussolini nella sua residenza di Villa Savoia (ora Villa Ada) che gli comunica i risultati dell’incontro con Hitler. Il re invita Mussolini a dimettersi: ne ottiene il rifiuto ma insieme la piena consapevolezza che il duce sa che le ostilità nei suoi confronti sono ormai iniziate.

Dal 22 al 25 luglio l’attività del re si intensifica: consulta molti esponenti della democrazia liberale prefascista da Bonomi a Soleri, da Croce a Nitti, ma tace sulle sue intenzioni che sono in realtà ben precise: costituire un governo militare che abbia buone possibilità di trattare la fine della guerra senza danni per la monarchia. Grandi aveva sperato in un approccio diverso, magari di vedersi affidato, con l’appoggio di Federzoni, l’incarico di formare un governo di transizione postfascista con la collaborazione dei fascisti monarchici ed in questa chiave aveva predisposto un ordine del giorno da presentare al Gran Consiglio che era in sostanza una sottolineatura dei poteri del re come comandante supremo delle Forze Armate: lo sottopone ai colleghi del Gran Consiglio ma solo quattro mostrano di condividerlo.
Quando alle 18:15, con un breve ritardo sull’orario stabilito, iniziò la seduta del Gran Consiglio non c’era uno solo degli intervenuti (dieci erano assenti) che mostrasse di essersi posto il problema di quale sarebbe dovuta essere la linea politica del successore di Mussolini ammesso che il duce avesse perso la partita.

La discussione durò fino alle 2,30 del mattino del giorno 26: con 19 voti favorevoli otto contrari e un astenuto (il segretario del partito fascista Carlo Scorza): fu approvato l’ordine del giorno presentato da Grandi e dai suoi amici politici pensarono di aver avuto partita vinta tanto più ne furono convinti quando il giorno dopo Mussolini fu arrestato all’uscita dal colloquio con il re a Villa Savoia da lui chiesto per informare il sovrano ( che naturalmente ne era già al corrente) dell’esito della riunione del Gran Consiglio. Poche ore per studiare il comunicato diffuso dalla radio (i giornali uscivano quando potevano): “sua maestà il re ha accettato le dimissioni da capo del governo, primo ministro segretario di Stato, del Cavaliere Benito Mussolini, e ha nominato capo del governo, primo ministro segretario di Stato il maresciallo d’Italia Pietro Badoglio” cosa che aveva in realtà già fatto il giorno prima.

“Sciaboletta” (così era chiamato Vittorio Emanuele III per la sua bassa statura) aveva avuto partita vinta su tutti, amici e nemici: un governo militare gli dava le garanzie migliori per la sopravvivenza della monarchia, quando ancora gli amici di Grandi andavano ipotizzando un governo composto da ex fascisti monarchici: Federzoni chiese in proposito come avrebbe considerato la cosa il Vaticano, sperando di averne un aiuto ma non ebbe alcuna risposta certa. In Vaticano il cardinale Maglione, Segretario di Stato per i suoi rapporti di amicizia con Raffaele Guariglia vicino al Re, sapeva benissimo come stavano realmente le cose.

Grandi e gli altri esponenti fascisti che avevano votato il suo ordine del giorno erano stati ingannati da un re che aveva abilmente utilizzato le loro paure e le loro ambizioni così come aveva fatto credere ai vecchi liberali che la sua era una scelta antifascista mentre era solo una decisione opportunistica.

Qualunque studioso, se qualcuno gli raccontasse tutta la vicenda si chiederebbe se quella seduta del Gran Consiglio fu una cosa seria sotto il profilo politico o non piuttosto una riunione di uomini preoccupati per il proprio futuro.

43 giorni dopo (8 settembre 1943) fu firmato a Cassibile in Sicilia un armistizio senza condizioni. Badoglio sua maestà e i loro sodali se ne andarono subito dalla capitale secondo un piano elaborato da tempo. A Roma i nazisti presero il potere: nove mesi da dimenticare (ma è difficile).


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