Il successo delle sinistre nelle seconde elezioni regionali del 15 giugno 1975…
Bruno Somalvico
Direttore editoriale di Democrazia futura
In questo terzo scritto Somalvico descrive l’anno zero del sistema radiotelevisivo misto partendo dal contesto politico caratterizzato due mesi dopo l’approvazione della legge di riforma della Rai, dalla vittoria delle sinistre alle elezioni regionali del 15 giugno 1975. Un contesto che favorisce ora equilibri più avanzati ovvero “La spinta alla deregulation fra istanze imprenditoriali e obiettivi di superamento del monopolio e allargamento della libertà di espressione e dello spazio pubblico”. L’autore ripercorre i mesi estivi e autunnali del 1975, caratterizzati da un lato da “L’approvazione della Convenzione tra il Ministero delle Poste e Telecomunicazioni e la Rai” dall’altro da quello che definisce l’inizio de “Il valzer di sequestri/dissequestri degli impianti delle nuove emittenti radiofoniche e televisive”, un valzer destinato a proseguire per quasi un decennio. Nel frattempo il nuovo CdA in base a quando indicato dalla nuova Commissione parlamentare bicamerale, delibera i “primi passi di attuazione della Riforma in seno alla Rai” in un quadro in cui operano ormai oltre un centinaio di nuove emittenti. Il 1975, più che della riforma Rai ,andrebbe ricordato come l’anno zero di formazione di un sistema misto ancora privo di regole chiare e di certezze per chi intenda investire nel settore, nonostante le speranze e le istanze di apertura sorte dopo le due sentenze della Corte Costituzionale nell’anno precedente e l’avvio della “stagione dei cento fiori”.
Il nuovo clima che si respira da ormai un anno dopo la vittoria del no all’abolizione della legge sul divorzio comincia a dare i suoi frutti. Nella crescita generale della società italiana, l’acquisizione di una piena cittadinanza passa anche per la certezza di diritti e doveri, garantiti da una legislazione adeguata a un paese moderno. A giovarsi della mobilitazione civile sono le forze della sinistra che hanno un successo straordinario alle elezioni regionali del 15 giugno 1975. Come è stato osservato da uno storico contemporaneo.
“Mentre nel 1972 il PCI scontava l’attacco dei gruppuscoli estremisti che riuscivano a bloccarlo, anche se i voti di protesta si erano dispersi in tante piccolissime liste, nessuna abbastanza forte da mandare propri rappresentanti in Parlamento. A distanza di soli tre anni, contro tutte le rosee previsioni di democristiani e missini, il quadro si rovescia completamente”.
Nelle elezioni amministrative del giugno 1975 il PCI cresce di ben il 5,60 per cento salendo addirittura al 33,46 per cento attestandosi a meno di due punti percentuali dalla DC, ferma al 35,27 che ha una perdita secca del 2,46 per cento. Sale anche di oltre un punto e mezzo percentuale il Partito socialista all’11,97 per cento e dell’1,2 per cento il MSI-Destra Nazionale al 6,43 per cento. In calo dell’1,36 per cento i socialdemocratici al 5,61 per cento seguiti dai repubblicani in lievissima crescita al 3,17 per cento. Quasi dimezzati i liberali al 2,47 per cento mentre fanno in loro ingresso quattro consiglieri regionali di Democrazia Proletaria e quattro del Partito di Unità Proletaria per il Comunismo.
L’affermazione del Partito Comunista e più in generale delle sinistre è significativa. In Piemonte, Liguria, Marche e Lazio nascono giunte rosse fra comunisti e socialisti che vanno ad affiancarsi a quelle già esistenti sin dalla prima legislatura a partire dal 1970 in Emilia Romagna, Toscana e Umbria.
Sono soprattutto le grandi città ad essere investite di un vero e proprio terremoto politico: Torino, Milano, Genova, Bologna, Firenze, Roma e persino Napoli hanno un sindaco socialista o comunista e sono governate da giunte rosse che costringono la DC e il MSI all’opposizione, con l’appoggio spesso di repubblicani e socialdemocratici, malgrado il diverso orientamento delle segreterie nazionali. Insieme PSI e PCI arrivano oltre il 45 per cento per cento che potrebbe salire al di là del 50 per cento se PRI e PSDI decidessero di aggregarsi allo schieramento delle sinistre come hanno fatto nei capoluoghi regionali.
…ma comunisti e socialisti rimangono divisi sulla scelta delle strategie politiche per governare
I fautori più convinti dell’alternativa di sinistra si trovano tra le file del Partito socialista dove sono cresciute le correnti della sinistra insoddisfatte dei governi di centro sinistra che non sono riusciti a realizzare riforme incisive e non hanno neppure fruttato voti al PSI.
Ma ben poco entusiasta della prospettiva di sostituirsi alla DC come fulcro della coalizione è invece proprio il PCI che è cresciuto grazie alla fiducia via via conquistata anche nelle fasce del ceto medio progressista, e che con il suo segretario Enrico Berlinguer rilancia l’idea dl compromesso storico avanzata dopo la sconfitta del governo delle sinistre di Salvador Allende in Cile con il golpe delle forze armate e l’inizio della dittatura militare di Augusto Pinochet.
I socialisti sin dall’autunno 1975[1] si pronunceranno invece decisamente per il definitivo superamento dell’esperienza dei governi di centro-sinistra.
La spinta alla deregulation fra istanze imprenditoriali e obiettivi di superamento del monopolio e allargamento della libertà di espressione e dello spazio pubblico
In questa delicata fase di transizione politica, la questione radiotelevisiva continua ad essere uno fra i temi al centro dell’opinione pubblica. Nonostante i partiti dell’alleanza di centro sinistra in fase di esaurimento e il PCI che hanno sostenuto la Legge di riforma, prefigurando i nuovi equilibri politici della seconda metà degli anni Settanta nella stagione dei cosiddetti governi di unità nazionale, siano piuttosto compatti nel sostenere il mantenimento di un regime di monopolio dell’emittenza radiotelevisiva perlomeno in ambito nazionale, accontentandosi della realizzazione di un regime di pluralismo interno al monopolio. In effetti, fatte salvi all’estrema destra i missini, al centro larga parte dei liberali e un ristretto numero di esponenti dell’ala destra della Democrazia Cristiana, e, a sinistra, radicali, una sparuta minoranza di repubblicani e socialisti e alcuni gruppi di estrema sinistra, in questa fase di transizione la classe politica rimane ancora sostanzialmente ostile alla nascita di un vero e proprio sistema radiotelevisivo misto, che del resto in Europa esiste solo nel Regno Unito e in Finlandia.
Ma come già detto, il nuovo clima – che si respira dopo il referendum sul divorzio e ora con l’affermazione delle sinistre nelle grandi aree urbane – spinge invece in questa direzione, vuoi per favorire sotto il profilo imprenditoriale un settore, quello dell’editoria dei quotidiani e dell’informazione, rimasto piuttosto asfittico e in mano per lo più a editori cosiddetti “Impuri”, perché impegnati in altri settori, vuoi per assicurare all’Italia un allargamento dello spazio pubblico e della libertà di espressione e quindi dei principi sanciti dalla Costituzione all’Art. 21 attraverso la realizzazione della “libertà d’antenna”[2] perorata da figure come Eugenio Scalfari e Indro Montanelli attraverso il superamento del regime di monopolio e la realizzazione del “pluralismo esterno”. La necessità di disciplinare con chiarezza non solo la Rai ma l’intero nascente sistema emerge di fronte al susseguirsi da un lato, di provvedimenti disciplinari ristrettivi se non di chiusura e disattivazione degli impianti, dall’altro di interventi della magistratura, per lo più di pretori, che spesso chiamano in causa la Corte Costituzionale.
Il 16 giugno 1975 alle 14.00, ovvero alla chiusura della mezza giornata di voto amministrativo, inizia a trasmettere Radio Roma, emittente nata da una costola di Radio Parma. È la prima emittente privata della capitale con la voce di Michele Plastino destinata ad acquisire rapidamente una certa notorietà[3]. Anche a causa di questo successo, ma soprattutto sull’onda del risultato elettorale, il nuovo Consiglio di Amministrazione di Viale Mazzini decide di affrontare subito l’obiettivo del decentramento ideativo e produttivo assegnato alla concessionaria dalla Legge di Riforma. Il 3 luglio 1975 il Consiglio di Amministrazione della Rai decide
“la costruzione di una Terza Rete televisiva dedicata ai programmi regionali e al “decentramento”.
Una settimana dopo, il 10 luglio 1975 Il pretore di Ragusa Paolo Occhipinti deposita una sentenza destinata ad aprire la via alle televisioni radiodiffuse su reti terrestri. A pochi giorni dalla nascita, l’emittente di Carmelo Rocca Teleiblea[4], che il 16 marzo aveva trasmesso la partita di calcio di serie D Modica-Ragusa, era stata “invitata amichevolmente” a smettere le trasmissioni da parte di un agente dell’ESCOPOST. Al rifiuto di Rocca scattava dunque la denuncia per contravvenzione alla legge 14 aprile 1975 n. 103 (che riafferma, come è noto, il monopolio Rai). Il pretore Occhipinti, però, rileva che su questa legge
“pende un ragionevole dubbio di incostituzionalità”,
e perciò l’ha rimanda alla Corte costituzionale. Quattro giorni dopo il 14 luglio 1975 I carabinieri consegnano a Domenico Chiesa, responsabile di Radio Bra onde rosse, l’ordinanza di sequestro dell’emittente. Posta sotto sequestro, Radio Bra onde rosse l’indomani è costretta ad interrompere le proprie trasmissioni caratterizzate da un dichiarato orientamento di sinistra[5].
L’approvazione della Convenzione tra il Ministero delle Poste e Telecomunicazioni e la Rai
Per il governo non c’è tempo da perdere. La situazione rischia davvero di sfuggire di mano al controllo del Ministero delle Poste e Telecomunicazioni. Pertanto, con Decreto ministeriale Poste e Telecomunicazioni 16 luglio 1975, è approvato il Regolamento di attuazione della Legge 14 aprile 1975, n. 103 concernente “Nuove norme in materia di diffusione radiofonica e televisiva”. E soprattutto si arriva a determinare una decisione in merito allo standard per le trasmissioni televisive a colori. Il 1° agosto 1975, il Comitato interministeriale per la programmazione economica emette una Delibera relativa ai tempi e ai modi dell’introduzione delle trasmissioni televisive a colori. Seguirà infine, prima della pausa estiva, il 7 agosto 1975 l’approvazione ed esecuzione della nuova Convenzione tra il Ministero delle Poste e Telecomunicazioni e la RAI. Con la nuova Convenzione, tramite D.P.R. 11 agosto 1975, n. 452 in vigore dal 2 ottobre 1975[6], il Ministero delle Poste e delle Telecomunicazioni
- concede alla RAI, per sei anni, il servizio pubblico di diffusione radiofonica e televisiva circolare in esclusiva e il servizio di radiofotografia circolare non in esclusiva,
- indica il sistema tedesco PAL come standard televisivo a colori dopo anni di lotta per il predominio industriale.
L’Art. 9, oltre all’assegnazione alla concessionaria di tre reti radiofoniche e di cinque canali della filodiffusione prevede
“tre reti televisive per la diffusione circolare via radio di altrettanti programmi”,
precisando altresì che:
“una di tali reti è idonea anche ad una separata e contemporanea utilizzazione per la diffusione di programmi articolati in ambito regionale”
L’Art. 17 indica infine che
“entro tre anni dall’inizio dei lavori tale rete dovrà essere estesa sino a servire tutti i capoluoghi di regione e non meno del 55 per cento della popolazione nazionale”.
Per parte sua durante la stagione estiva la Direzione tecnica della Rai esegue le ennesime “Prove tecniche di trasmissioni televisive a colori. Al rientro dalla pausa estiva, il 10 settembre 1975, in attuazione delle raccomandazioni della Commissione parlamentare di vigilanza, si riunisce un’Assemblea straordinaria degli Azionisti per aggiornare lo Statuto sociale. In base all’approvazione de Regolamento di attuazione della Legge di Riforma n. 103, il 30 settembre 1975 il presidente del Consiglio Regionale della Lombardia, il socialista Sergio Marvelli, insedia il Comitato Regionale lombardo per i servizi radiotelevisivi (antesignano dell’attuale CoReCom).
La Rai sta preparando il suo nuovo corso di cui si inizieranno a vedere i frutti solo l‘anno successivo. In quest’anno zero del nuovo servizio pubblico la radio come al solito funge da apripista nell’apertura a nuove problematiche. È certamente segno dell’avvio di una nuova stagione per il servizio pubblico l’attenzione per la storia delle donne: dal 30 settembre 1975 ha inizio il ciclo Cittadina donna, ritratto di protagoniste del femminismo dalla fine del Settecento a oggi[7].
Il valzer di sequestri/dissequestri degli impianti delle nuove emittenti radiofoniche e televisive
Con la ripresa delle attività e della nuova stagione calcistica nascono nuove emittenti e con esse le polemiche e i provvedimenti giudiziari. Fra le nuove radio il 15 settembre nasce l’emittente locale RTL Radio Trasmissioni Lombarde, fondata da Leonida Sporchia: dieci anni dopo 1985 verrà rilevata dall’imprenditore Lorenzo Suraci, il quale a sua volta, nel giro di pochi anni, la farà diventare uno dei più apprezzati network nazionali. Sei giorni dopo, il 21 settembre, è la volta di Punto Radio, fondata sei mesi prima a Zocca da Marco Gherardi, che annovera tra i propri disc jockey la futura rockstar Vasco Rossi suo amico d’Infanzia[8].
Ma nei giorni in cui oltre Oceano a fianco delle televisioni via cavo, iniziano le trasmissioni del primo canale premium a pagamento HBO, in Italia l’attenzione maggiore si concentra naturalmente sul lancio di ulteriori nuove emittenti televisive: il 20 settembre 1975 Il pretore di Pescara ammette la possibilità che una televisione via cavo, Teleadriatica, riprenda le partite di calcio del Pescara. Il 15 ottobre 1975 alcuni giornalisti, tutti provenienti dalla RAI e desiderosi di conquistarsi uno spazio autonomo, danno vita a Radio Milano Centrale. Inizialmente trasmettono dibattiti politici cui partecipano, insieme ai conduttori, sindacalisti e casalinghe. In un secondo tempo aumentano invece gli spazi musicali. Direttore responsabile è Mario Luzzatto Fegiz.
Il 10 ottobre Angelo Rizzoli, nel comunicare ai sindacati che il deficit patrimoniale della Rizzoli-Corriere della Sera (RCS) ammonta a 20 miliardi di lire e che sui 3.500 dipendenti, almeno 500 risultavano in esubero, tende peraltro a rassicurarsi: il gruppo RCS intende espandersi e consolidarsi sia nella carta stampata sia nella televisione come effettivamente avverrà nel 1976 con l’acquisto de Il Mattino di Napoli e di Telemalta e quella nel 1977 della Gazzetta dello Sport (primo quotidiano sportivo italiano), nonché con la presa del controllo azionario di due giornali locali, Alto Adige e Il Piccolo di Trieste.
Infine, il 17 ottobre 1975 viene sferzato l’ennesimo colpo contro il monopolio ella Rai. Il pretore di Reggio Emilia Franco Mazza riconosce ad un’emittente la possibilità di trasmettere i propri segnali su impianti di radiodiffusione terrestre. Unica limitazione: il raggio dei messaggi non deve avvenire su un arco di 360 gradi. L’idea di trasmettere a 45° su reti terrestri (e quindi non contravvenendo, secondo il pretore, al monopolio delle trasmissioni “circolari”) è di Telereggio, che per l’appunto trasmette “a spicchio” inserendosi sui canali “circolari” di Tele Capodistria.
Il 23 ottobre 1975 a Milano, i carabinieri fanno irruzione nella sede di Canale 96, interrompono le trasmissioni e sequestrano gli impianti[9]. Due mesi dopo, il 18 dicembre 1975, il pretore ne ordina il dissequestro.
Il 1º novembre 1975 lniziano le trasmissioni Tele Alto Milanese sorta in aprile per iniziativa di Renzo Villa: grazie all’impegno di Enzo Tortora per la libertà d’antenna Tele Alto Milanese è la prima emittente privata italiana a mandare in onda un telegiornale[10]. È la prima emittente dell’alto milanese a trasmettere, a colori, in concorrenza con la RAI. Il 17 dicembre 1975, in onda da solo sei settimane, la Guardia di Finanza ne pone sotto sequestro gli impianti.
Il 13 novembre 1975 anche il pretore di Castelfranco Veneto pronuncia una sentenza assolutoria per Telecastelfranco. Il magistrato si sofferma ad analizzare il problema delle frequenze disponibili per le televisioni private e rinvia gli atti alla Corte Costituzionale.
Il 19 dicembre 1975 infine viene scagionata Radio Parma con un’ordinanza di rimessione trasmessa alla Corte Costituzionale. L’ordinanza di remissione, pur essendo un unico atto, contiene due distinti provvedimenti: a) l’immediata trasmissione degli atti relativi alla questione di legittimità; b) la sospensione del giudizio in corso.
Provvedimenti come questo aprono la strada alle future decisioni della Corte Costituzionale.
I primi passi di attuazione della riforma in seno alla Rai
Fra passi formali e interventi riorganizzativi di sostanza, l’anno zero della Rai del dopo riforma procede secondo propri ritmi dopo l’insediamento del nuovo Consiglio di Amministrazione dell’azienda.
Da un lato, il 9 ottobre 1975 la Commissione parlamentare bicamerale di Indirizzo e Vigilanza formula gli “indirizzi generali” per l’attuazione dei principi stabiliti dall’art.1 della Legge di riforma n.103 che il Consiglio di amministrazione della RAI è tenuto ad osservare in materia di “ristrutturazione dell’Azienda” e di contestuale nomina dei dirigenti delle nuove strutture. Due settimane dopo, il 23 ottobre 1975 La medesima Commissione parlamentare, allo scopo di assicurare la tutela del consumatore e la compatibilità delle esigenze delle attività produttive con la finalità di interesse collettivo e di responsabilità del servizio pubblico radiotelevisivo, formula gli “indirizzi generali” per la conduzione, da parte della Società concessionaria, della “pubblicità radiotelevisiva” nello spirito della legge di riforma[11].
Dall’altro il 21 ottobre 1975, In attuazione dell’accordo del 20 novembre 1974 fra la Regione autonoma della Valle d’Aosta e la RAI, entrano in funzione un nuovo trasmettitore (Testa d’Arpy) e tre nuovi ripetitori (Saint Nicolas, Aosta, Saint Vincent) per la ritrasmissione dei programmi francesi in Valle d’Aosta. Ma soprattutto l’11 novembre 1975 Il Consiglio di Amministrazione della Rai approva il “Documento di riorganizzazione aziendale” che propone un’azienda aperta e decentrata, finalizzata alla ideazione e produzione dei programmi:
“Funzione preminente dell’azienda nell’ambito della Riforma è la ideazione e la produzione dei programmi. Tale funzione è attribuita ai nuclei ideativi-produttivi, alle strutture di programmazione, ai direttori di rete, e – a latere – ai Comitati regionali per il servizio pubblico radiotelevisivo e ai soggetti titolari della proposta… Obiettivo primario della ristrutturazione aziendale è il decentramento territoriale”. Quanto alle “strutture di supporto [esse] sono organizzate secondo la logica funzionale e dell’autonomia operativa. La disponibilità dei mezzi (finanziari, tecnici e di personale) appartiene direttamente agli organi della programmazione conformemente alle loro competenze e al piano generale aziendale. Alle strutture di supporto compete solo la organizzazione dei mezzi in funzione”.
La Rai conclude l’esercizio del 1975, ultimo anno de facto del suo monopolio (o se si preferisce anno zero del sistema misto) con introiti per canone, pari a 194,9 miliardi di lire, per pubblicità pari a 89,9 miliardi, e altri ricavi per 31,8 miliardi provenienti da altre fonti. Gli abbonamenti totali superano i 12,1 milioni di cui più della metà, ovvero oltre 6,5 milioni raccolti nel Nord. Il personale è composto da 11.643 elementi in organico. Gli Impianti trasmittenti sono 1.263 (94 trasmettitori e 1.169 ripetitori). Le ore di programmazione televisiva sono 5.826 (3.265 sul Programma Nazionale, 1.855 sul Secondo Programma, 706 di programmi locali).
Contemporaneamente prosegue il dibattito sui giornali, l’attività convegnistica sia di studio sia di lobbying in merito alla nuova emittenza.
Fra le diverse iniziative il 14-15 novembre 1975 si svolge a Firenze un Convegno nazionale sul tema Esperienze di comunicazione via radio in Italia, promosso dalla facoltà di magistero dell’Università di Firenze e dal Centro provinciale degli audiovisivi. Ma la nascita e lo sviluppo delle radio private non sono solo oggetto di studio fra gli accademici in Italia e, del resto, in tutta Europa dove cresce l’interesse sul “caso italiano”. Soprattutto a sinistra, e in particolare per l’estrema sinistra costituiscono elementi importantissimi nella battaglia contro il monopolio Rai.
“In questo momento nel nostro paese trasmettono circa 130 emittenti locali – scrive Il Quotidiano dei Lavoratori il 20 novembre 1975 -. È una rottura di fatto del monopolio delle trasmissioni. Le linee su cui sembra muoversi il fronte delle radio libere sono disomogenee e molto differenziate, ma le strade principali imboccate sono due. Da un lato le radio fortemente caratterizzate in senso commerciale, veicolo attraverso cui passa agevolmente la strada della privatizzazione ‘dura’ della radio locale come prodotto speculativo, competitivo, economicamente vantaggioso, ‘privato’ nella conduzione, nella struttura, negli obiettivi. Sempre di più, questo primo schieramento, il fronte della privatizzazione, mostra nelle sue fila la presenza o le avances della grossa impresa (Etas Kompas, Mondadori, case discografiche, industriali dell’Hi.fi e altri). La seconda direzione in cui procede la rottura del monopolio Rai è rappresentata dal nascere di emittenti locali, caratterizzate in senso democratico e antifascista, legate al movimento di classe che tentano di sviluppare un discorso su un nuovo modo di fare informazione e cultura, tanto più importante quanto più sgangherata, antidemocratica e squalificata diventa di giorno in giorno l’informazione Rai“
Per parte loro, anche le Associazioni ricreative delle principali aree politiche e culturali, ARCI, ENARS e ENDAS, rendono noto a dicembre un Documento che chiede un’indagine tecnica sull’effettiva disponibilità di frequenze; ribadisce la riserva della proprietà dell’etere allo stato e del monopolio statale della radiodiffusione terrestre; conferma quindi la riserva allo stato e la concessione alla Rai per quanto riguarda le iniziative radiofoniche e televisive a carattere nazionale; chiede di coinvolgere attivamente le Regioni in un’opera di decentramento di Rai[12].
[1] Nel loro comitato centrale che si svolge dal 14 al 18 ottobre viene approvata all’unanimità la relazione di Francesco De Martino per l’alternativa socialista al governo, la cui mozione sarà presentata e discussa al congresso previsto nei primi mesi del 1976.
[2] Bruno Somalvico “Cento anni di radiofonia e settant’anni di televisione in Italia. Parte seconda La stagione del monopolio radiofonico e televisivo della RAI. Parte seconda 3. Stagione dei congressi e riforma della Rai (1969-1975), Democrazia futura, III (11) luglio-settembre 2023, pp. 1199-1202. Vedine l’anticipazione uscita su Key4biz. https://www.key4biz.it/democrazia-futura-cento-anni-di-radiofonia-e-settantanni-di-tv-in-italia-iii/472597/
[3] Dopo due mesi, secondo un’indagine Demoscopea, la radio amministrata da Virginio Menozzi era già conosciuta da 1,4 milioni di cittadini.
[4] Si veda “Buon compleanno Teleiblea. La storia delle Tv private”: https://reteiblea.it/2020/03/buon-compleanno-teleiblea-la-storia-delle-tv-private/.
[5] Si aprono così le controversie giudiziarie dell’emittente che, dissequestrata il 7 ottobre, sarà nuovamente messa a tacere due giorni dopo il 9 ottobre. Solo il 19 novembre 1975, con l’assoluzione del responsabile, avranno termine tali vicende.
[6] Decreto del Presidente della Repubblica 11 agosto 1975, n. 452 “Approvazione ed esecuzione della convenzione tra il Ministero delle poste e delle telecomunicazioni e la RAI-Radiotelevisione italiana, S.p.a. (GU n.248 del 17-09-1975 – Suppl. Ordinario).
[7] Il ciclo si apre con un ritratto della prima femminista a pagare per il proprio impegno femminista: Olimpia de Gouges, radio composizione di Chiara Serino. Seguiranno ritratti di Anna Maria Mozzoni, Virginia Wolff, Anna Kuliscioff, Elizabeth Cady Stanton, Klara Zetkin, Emmeline Pankhurst, Alexandra Kollontaj, Flora Tristan, Mary Woll Stonecraft e Simone Veil.
[8] “Naturalmente, anche Punto Radio ebbe il suo “incontro” con i sigilli dell’Escopost. Vasco, che era il responsabile della radio dal punto di vista legale, venne processato assieme a Walter Giusti, altro ragazzo dello “staff”, ma l’anno successivo vennero assolti con una sentenza storica in quanto dimostrarono che quella radio non era nata a scopi di lucro e che non faceva propaganda politica (che era una delle cose più temute dalle istituzioni in quell’epoca). Una volta avuto il permesso, e sicuri ormai che non sarebbero stati più “fermati”, la radio cominciò a fare sul serio e vennero definiti i “palinsesti”.
”Punto Radio, Le origini”. Cf. https://www.puntoradiofm.it/le-origini/
[9] Canale 96 è un’emittente radiofonica fondata dalla Cooperativa culturale Sempione costituitasi il 15 aprile 1975: oltre alla musica, che spazia dai brani più commerciali a quelli inediti degli universitari di Milano, l’emittente trasmette un notiziario di “controinformazione”. La dirige Beppe Macali.
[10] In assoluto Tele Alto Milanese risulta la sesta emittente televisiva dopo Telediffusione Italiana-Telenapoli Telebiella, Telereggio, Telegenova e Teleromagna. Il capitale iniziale è di 400 milioni di Lire, interamente versato da undici “big” della finanza.
[11] RAI-Documentazione e Studi (a cura di), Annuario RAI 1972-75, op. cit. Torino, ERI, 1977, pp. 9-10 e pp. 13-14.
[12] Associazione Ricreativa Culturale Italiana (arci), Ente Nazionale acli Ricreazione Sociale (enars), Ente Nazionale Democratico di Azione Sociale (endas), Proposta per una disciplina delle iniziative di radio e televisione via etere a carattere locale. Il documento, dicembre 1975.
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