DANIELE RENZONI
Qual è il prezzo pagato dagli ebrei della diaspora dopo il massacro di Hamas compiuto nel deserto del Neghev il 7 ottobre del 2023? E perché è potuto accadere? Perché un conflitto territoriale ha assunto i contorni di una guerra identitaria a livello internazionale? Noi, in Europa, dovremmo riflettere su queste domande perché non capiti di essere un’altra volta corresponsabili per esserci girati da un’altra parte come quando nazisti e fascisti perpetravano la soluzione finale con la Shoah degli ebrei. Quel non voler vedere quello che accade, quel non dare peso ai gravi avvenimenti che si susseguono e che stanno spaventando di nuovo i concittadini ebrei, quel giustificare pregiudizialmente con parole cercate nel medioevo i nuovi pogrom di questo secolo, quel diffondere notizie incomplete, quando addirittura false, sulla storia utilizzando la capillarità dei social che rendono attuale un concetto espresso dal poeta Metastasio, ma Orazio prima di lui, “voce dal sen fuggita, poi richiamar non vale”.
La parola che si fa fatica anche a pronunciare è: antisemitismo. Ecco quale alto prezzo stanno pagando gli ebrei in giro per il mondo occidentale e a nulla valgono gli evangelici tentativi di separare il grano dal loglio, il bene dal male, l’antisionismo dall’antisemitismo. L’antisionismo è la nuova forma di antisemitismo, copyright Giorgio Napolitano. Dopo quello cristiano antigiudaico e dopo quello razziale novecentesco. Ecco perché sarebbe bene fare attenzione agli effetti di concetti che lasciano vaghe le responsabilità sui fallimenti dei negoziati per la pace tra israeliani e palestinesi; vale per tutti quel che disse Arafat mentre stringeva con Rabin gli accordi di Oslo:” ho riconosciuto che Israele esiste, non il suo diritto ad esistere”.
E’ questa la chiave, gli arabi non hanno mai voluto riconoscere il diritto di Israele ad avere un proprio Stato che non è stato fondato nel 1948 “unilateralmente” ma a seguito di una risoluzione, la 181, dell’ ONU che destinava il territorio del mandato britannico in quell’area del medioriente agli ebrei e agli arabi palestinesi che a loro volta non hanno mai voluto fondare il proprio Stato per non riconoscere quello israeliano. Condannando il popolo palestinese ad una vita d’inferno. E quello degli inglesi nel 1917 non fu “un grande equivoco” con la firma della dichiarazione Balfour che prevedeva un “focolare ebraico” in Palestina. Fu forse una drammatica profezia.
Pochi anni dopo nelle camere a gas dei campi di concentramento i nazisti sterminarono sei milioni di ebrei. E ancora la Nabka, catastrofe in arabo, non è stata provocata dalla fondazione dello Stato di Israele ma è stata una conseguenza della guerra che cinque Paesi arabi confinanti scatenarono lo stesso giorno della fondazione di Israele. Dopo quei fatti cominciò l’esodo palestinese.
La storia impone di essere raccontata con rigore, poi ciascuno si faccia la propria opinione; ma per decidere da che parte stare non si “curvino” gli avvenimenti per giustificare le proprie scelte.
E’ Israele “Il posto degli ebrei”, lo Stato che potrà garantire a ciascuno di loro pace e sicurezza qualora il mondo impazzisse di nuovo. Il “mai più” del giorno della memoria è già stato rottamato! Adam Smulevich nel suo “Israele”, edito da Minerva, scrive: lo scrittore israeliano David Grossman racconta di aver parlato con vari ebrei che vivono fuori Israele e che gli hanno spiegato che qualcosa della loro “forza vitale” è stato sottratto per sempre dal 7 ottobre.
Alcuni di loro, aggiunge l’intellettuale, si sono persino sorpresi della “magnitudine” del loro bisogno di sapere che Israele esiste non soltanto come idea ma anche come fatto concreto.
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