È L’INCLUSIONE DELLA VITA DEI SINGOLI NELLA SOCIETÀ GLOBALE
L’isolamento di Israele registrato a Riad lo scorso l’11 novembre nel summit tra Lega Araba e Organizzazione della Conferenza islamica (Oci) tende ad allargarsi a tutto l’Occidente e, negli auspici di Mosca, a superare i confini del mondo arabo per diventare globale.
Le accuse e le proposte incendiarie degli Hezbollah, dei loro protettori e finanziatori, gli iraniani, del mercenario triplogiochista Erdogan, dei fortemente e tradizionalmente antisraeliani algerini, non hanno trovato corrispondenza nel comunicato finale del summit, è vero, ma sono apparsi evidenti l’imbarazzo e la difficoltà dell’Egitto, dell’Arabia saudita, del Marocco, della Giordania, nonché l’abile destreggiarsi del Qatar, finanziatore di Hamas con il semaforo verde di Netanyahu.
Per vedere il bicchiere mezzo pieno si può dire che dopo Riad Israele deve prendere atto del congelamento della sua oramai lunga pace con Egitto e Giordania, delle relazioni economiche informarli con l’Arabia Saudita e dei recenti accordi di “Abramo”.
Il bicchiere mezzo vuoto ci dice invece che è assai lontano nella memoria il ricordo di un incontro di così alto livello tra partner legati da diversi approcci alla religione islamica nel quale il punto centrale dell’ordine del giorno fosse la questione palestinese; per la prima volta i governi che erano stati protagonisti degli accordi e dei disaccordi con Israele hanno pubblicamente tenuto conto della mobilitazione delle loro piazze.
La preoccupazione del presidente Biden trasmessa al presidente Netanyahu di esercitare una reazione militare sicuramente più lunga, complessa e rischiosa di quella in corso ha provocato invece, per il comportamento del presidente israeliano, una sconfitta mediatica che ha oscurato il disastro umanitario e criminale dell’eccidio di oltre 1200 civili israeliani, bambini, donne, anziani, giovani, torturati in nome della più truce caccia all’ebreo degli ultimi decenni.
Ha messo in secondo piano la liberazione degli ostaggi.
Ha creato vivaci contestazioni in Israele.
Purtroppo dovremo, nei tempi prossimi, capire le ragioni non soltanto religiose dell’eterno ripetersi del tentativo di cancellare fisicamente gli ebrei, ma anche di come e perché nello stesso Occidente l’odio verso sé stessi, una sorta di spirito suicida, cancelli spirito critico, cultura storica, al punto di dimenticare in meno di una settimana l’orrore dell’eccidio del 7 ottobre trasformando un crimine efferato in un atto giustificato dalla presunta oppressione colonialista e capitalista della nostra società.
Non cadere nella trappola della sacralizzazione della politica comporta l’accettazione della regola di base della diplomazia: trovare buoni compromessi che possono essere garantiti nella loro applicazione.
Il che significa che si deve essere coscienti della realtà, dei pericoli, anche usando come parametri gli esempi passati che ci ha consegnato la storia.
Negli anni ’30 dello scorso secolo, la maggior parte del mondo occidentale, ad iniziare da quelli che poi divennero i campioni europei della lotta al nazismo, i cittadini britannici, non erano convinti che Adolf Hitler mettesse in atto i suoi grandiosi piani per conquistare il mondo. Eppure, l’ideologia dell’Isis mutuata da Hamas è quella di rappresentare un movimento universale che agevolerà il mondo intero ad unirsi ai “fedeli” nella loro fede nella morte.
Leggiamo il motto della Carta di Hamas, che compare proprio in cima al documento politico-religioso di questa organizzazione affiliata ai Fratelli Musulmani: “Israele sorgerà e continuerà ad esistere finché l’Islam non lo spazzerà via, come ha spazzato via quello che è successo prima.”
Un’altra citazione centrale sottolinea che: “Il tempo [il Giorno del Giudizio] non arriverà finché i musulmani non combatteranno gli ebrei e li uccideranno e finché l’ebreo non si nasconderà dietro le rocce e gli alberi, e [allora] le rocce e gli alberi diranno: ‘Oh Musulmano, oh servitore di Allah, c’è un ebreo nascosto [dietro di me], vieni e uccidilo.”
Questi due principi costituiscono lo scopo dell’organizzazione: impegno totale per l’annientamento dello Stato di Israele e impegno totale per uccidere gli ebrei ovunque si trovino.
J. R. R. Tolkien, assai ricordato e lodato la scorsa settimana dalle autorità governative preposte alla cultura nel nostro paese, invitava ad individuare gli orchi e ad annientarli per la preoccupazione di essere sopraffatti “se non facciamo smaltire la sbornia e non distruggiamo questi orchi fino all’ultimo di loro”. Io penso che nonostante l’aurea poetica intravista dalle nostre autorità governative Tolkien non vada preso alla lettera, perché la logica dell’annientamento, che fu propria di Hitler, fu sconfitta perché micidiale quanto inadeguata ai tempi.
Soltanto fino all’esaurirsi dell’epoca colonialista, cioè sino all’Ottocento, la sproporzione delle forze in campo e la qualità, oltre che l’abbondanza, degli armamenti consentiva l’annientamento del nemico. Oggi, l’esempio dell’Ucraina invasa dai russi è lampante, ma anche la resistenza armata dei criminali di Hamas- attentamente valutata- ci invitano a riflettere, col sostegno della nostra storia e della nostra civiltà giuridica, che per vivere una realtà pacifica, operosa, occorre valorizzare i benefici del compromesso, nel momento concesso dagli avvenimenti.
Se il mondo pensasse che gli atti omicidi del 7 ottobre sono destinati a restare entro i confini di Israele, sbaglierebbe. Da anni in Europa e negli Stati Uniti assistiamo atterriti ad atti omicidi in nome di presunzioni religiose spesso autorevolmente smentite da chi guida differenti comunità: non basta la diretta esperienza a metterci in allarme?
Se arrendersi sarebbe suicida sarebbe altrettanto sbagliato non comprendere che Israele è parte fondativa e nello stesso tempo base avanzata dell’intero Occidente. A Riad è stato chiaramente espresso un concetto, non unanimemente applaudito ma nello stesso tempo non dialetticamente criticato, che Israele è una colonia occidentale nel mondo che si riconosce nell’OCI (Organizzazione della Conferenza Islamica) e che la sua fine segnerebbe l’inizio del collasso dell’Occidente infedele.
Il presidente Joe Biden, nel suo coraggioso discorso, pronunciato dopo il 7 Ottobre, ha dimostrato di averlo capito, ha inviato nella regione due portaerei nella convinzione che l’attacco a Israele potrebbe essere il preludio a una guerra contro gli Stati Uniti e, di fatto, contro l’Occidente.
Nello stesso tempo l’Amministrazione americana ha inviato il segretario di Stato Blinken ed il Direttore della CIA a suggerire ed agevolare l’apertura di tutti gli spiragli possibili per aprire spazi umanitari, allargare al più possibile pause dei bombardamenti, far entrare aiuti sanitari e di sostentamento, agevolare l’uscita dal sud di Gaza verso il Nord e convincere gli egiziani a consentire l’uscita dal territorio di battaglia del maggior numero possibile di palestinesi, consigliare moderazione ed attenzione nei futuri atti allo spregiudicato presidente Netanyahu, che , nonostante il conflitto, continua ad essere oggetto di critiche vivaci, pubbliche e “rumorose” dei suoi concittadini.
È a più parti apparso evidente che una delle ragioni dell’eccidio del 7 ottobre sia stato il tentativo in extremis dell’Iran e degli estremisti Hezbollah ed Hamas, nonché di gruppi affiliati all’ISIS (che si sono pubblicamente dichiarati) di bloccare la firma del trattato tra Israele e Arabia saudita. L’altra ragione, diplomaticamente messa in atto dalla Russia, è stata di abbassare l’attenzione sulla sua invasione dell’Ucraina e, in nome della sua politica antioccidentale, minare le basi dell’incontro che in questa settimana, probabilmente mercoledì 15 novembre, permetterà a San Francisco di riprendere una strada negoziale tra Stati Uniti e Cina, come auspicato da questa newsletter settimanale, e lo sa bene chi ha avuto la pazienza di leggerci negli ultimi mesi.
Non è attualmente in corso una terza guerra mondiale a pezzi, come sostengono autorevoli movimenti cattolici ispirati dalla Comunità di Sant’Egidio. Può anche darsi che a furia di nominarla qualcuno si convinca della sua necessità. È invece possibile, intervenendo con la serietà richiesta dalla complessità degli avvenimenti, smettendo la diplomazia delle parole evocative, affrontando i diversi intricati temi che sono alla base di differenti conflitti in atto e di altri al momento dormienti, dipanare le trappole che sono disseminate sul cammino che porta alle necessarie tregue dei combattimenti.
È evidente che gli Hezbollah intendono provocare un allargamento del conflitto in Libano e che l’Iran fa il possibile per non essere direttamente coinvolta. I missili lanciati dal Libano contro Israele e contro le truppe israeliane a Gaza, anche oggi 12 novembre 2023, sono messaggi tragici ed eloquenti. È altrettanto evidente che la destra israeliana che si identifica nel variegato mondo dei “coloni” sparsi specialmente in Cisgiordania, il cui comportamento è altamente riprovevole, in accordo con Netanyahu, non soltanto è corresponsabile del finanziamento alle attività di Hamas da parte del Qatar ( in accordo con Iran e Turchia) al fine di ulteriormente delegittimare l’autorità Nazionale Palestinese, ma anche per impedire la realizzazione dei due popoli – due Stati, che scontenta estremisti arabi, islamici, ed israeliani.
Eppure, non c’è altra soluzione dei due popoli-due stati, e la riapertura ufficiale del dialogo tra Pechino e Mosca può agevolare il risanamento del paradosso che ha imbrigliato il pianeta: più il mondo si frammenta in blocchi più si acuiscono le ferite che richiedono l’assistenza della cooperazione internazionale.
L’Ordine mondiale svanito, la crisi del sistema multilaterale, l’insostenibilità del sistema climatico, il Covid, la guerra di difesa dall’invasione dell’Ucraina, l’estremismo omicida di Hamas, il nanismo economico e le rivendicazioni imperialiste della Russia costituiscono una fragilità di fondo che è possibile portare dall’attuale crisi, in attesa di organizzare un nuovo Ordine mondiale, in un sistema a bassa intensità di pericolo. Ci vorrà tempo per il nuovo multipolarismo, per far fruttare nuovi flessibili schemi di cooperazione economica ed evitare la catastrofe ecologica, ma è necessario l’impegno degli USA, della Cina e, ahinoi, dell’Unione Europea.
Per il momento occorre appoggiare Washington nel tentativo di proteggere Israele di agevolare l’uscita in breve tempo di Netanyahu e dell’arrembaggio sconsiderato dei coloni che lo sostengono e consigliano e che, val la pena ricordarlo, non sono certamente gli eredi degli appassionati sognatori e realizzatori socialisti che fondarono i Kibbutz.
Se, speriamo in breve tempo, Hamas sarà debellata e finirà la guerra, né Israele né gli USA potranno restare a Gaza. L’ONU, purtroppo, ha perso in quella parte del mondo credibilità. È necessario che la Lega Araba, l’Autorità Nazionale Palestinese aiutate nelle forme possibili dall’Unione Europea partecipino alla ricostruzione di Gaza, alla amministrazione interinale del territorio studiando anche soluzioni innovative (una Federazione Cisgiordania-Gaza?) che consentano la tanto malvoluta, da alcuni, formazione di uno stato palestinese che possa convivere in pace e prosperità con Israele, che ha diritto alla sua esistenza ed alla sua sicurezza.
La questione di Gerusalemme esiste ma ho seri dubbi che le religioni abramitiche siano in grado, oggi, dopo la presa di posizione delle massime autorità sunnite e sciite, di esprimere progetti compatibili alle urgenti necessità che la guerra ha dimostrato esistere.
Dopo il meeting di San Francisco sapremo se il bicchiere mezzo vuoto potrà trovare l’Oste che trasformi l’acqua in buono ed abbondante vino segno di vita.
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