IL RINOCERONTE
“1880” è il primo ristorante al mondo dove dal 2020 si può mangiare la carne coltivata. Il cibo è prodotto Eat Just, una start up americana che per prima ha creduto e sviluppato l’idea di “produrre” proteine animali sintetiche. A Tel Aviv invece da “The Kitchen” si può mangiare pollo coltivato, in un locale a metà tra laboratorio e ristorante. Un piatto di polpette di carne coltivata costa 23 Euro.
Ma che cos’è e come si produce la carne coltivata? Detta semplice, la tecnologia della carne coltivata consente di avere una coscia di pollo senza per forza allevare un pollo: si può “costruire” solo la coscia. Per farlo si parte dalle cellule staminali, cioè quelle cellule “duttili” e non ancora specializzate nel loro ruolo. Le staminali di un campione vengono clonate in grandissime quantità fino a replicare in tutto e per tutto le cellule della parte che si vuole sviluppare, attraverso l’utilizzo di reattori e nutrienti particolari. Queste cellule, clonate a milioni, diventano quindi una sorta di carne macinata commestibile, ricomponibile e “stampabile” nella forma preferita. Posso quindi farne una bistecca o un hamburger, secondo quello che serve. La tecnologia è in fase di sviluppo e la produzione su larga scala potrebbe richiedere ancora tempo, ma le possibilità davanti a noi sono incredibili.
La carne coltivata non è considerata sintetica perché viene prodotta secondo “principi naturali”, e con reattori cellulari inventati dall’uomo che assomigliano ad una sorta di incubatori artificiali. Naturalmente gli scenari diventano inquietanti, del resto la tecnologia pone problemi di ordine etici e pratici da sempre. Per ora produrre carne coltivata ha un costo ambientale proibitivo, decisamente più elevato di quello della coltivazione delle verdure, e da 4 a 25 volte quelli del metodo zootecnico tradizionale, ma le prospettive di questo nuovo mercato valgono già 25 miliardi di dollari nel 2030 secondo gli esperti.
Se infatti Singapore è l’unico Paese al mondo dove è possibile commercializzare la carne coltivata, USA e Cina e molti altri Paesi anche in Europa si stanno muovendo per cercare di primeggiare in questo nuovo business per trarne il massimo vantaggio non solo economico, ma anche strategico. Negli USA ad esempio, da giugno si può produrre e commercializzare il pollo coltivato con in Israele.
In questo scenario il Parlamento Italiano è stato il primo al mondo a vietare sia la vendita che la produzione di carni “coltivate”, l’unico fra i paesi dove c’è una legislatura in materia a fare una scelta netta contro questo tipo tipo di tecnologia, accompagnata dalla quasi rissa tra Prandini (Coldiretti) e i soliti radicali “guastafeste” (Della vedova e Maggi), e da una buone dose di ideologia (il cognato del premier e ministro dell’agricoltura Lollobrigida) ideologia che è più tattica che strategica.
Al di là della rappresentazione mediatica e delle opinioni personali la scelta probabilmente punta a tutelare il mercato delle eccellenze alimentari di cui l’Italia notoriamente si fregia, eppure nel mondo che diventa digitale e che disperatamente tenta di ridurre le emissioni di CO2, l’opzione della carne che non viene da allevamenti e dalla zootecnia potrebbe essere tutt’altro che da scartare. Il tema di quanto e come la tecnologia possa entrare nel settore dell’agroalimentare in senso lato non nasce oggi e alimenta una contrapposizione tra apocalittici ed integrati sempre più netta.
Oggi siamo 8 miliardi nel mondo e la povertà alimentare riguarda una percentuale significativa della popolazione mondiale. La zootecnia inquina come le centrali a carbone. I pesticidi intossicano il suolo e le acque del pianeta. Non solo quelli che si usano per cereali e ortaggi, ma anche quelli che si usano per il foraggio.
Per quanto riguarda i temi di ordine etico e filosofico, il progredire della tecnologia e del digitale alza l’asta sempre di più e apre uno scenario che va definito e governato. L’opinione in Italia sulla carne prodotta in laboratorio è per lo più negativa, 3 italiani su 4 non sono disposti a sostituire la carne prodotta secondo il metodo tradizionale con quella da laboratorio, dunque non dovrebbe stupire più di tanto che il Governo si faccia interprete degli umori della maggioranza degli italiani. Vietare però serve a poco, serve invece capire e governare. Pensando tra l’altro che il mondo è connesso oltre che complesso e che vietare in un solo paese produce effetti negativi da sempre.
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