IL WELFARE: “METTERE LE MANI NELLE TASCHE DEI CITTADINI”? 

“Mettere le mani nelle tasche dei cittadini” è una frase che non gode certo di popolarità positiva.Nell’immaginario è un furto.Purtroppo però oggi deve essere rivisitato il concetto;è un  modo efficace,per spiegare che  per mantenere un certo equilibrio di welfare del sistema(che è un dover essere dello Stato) è necessario cambiare registro e paradigma.   

Infatti è  comunque  una virtù se l’atto serve per contare quanti “danari ci sono in tasca” e quanti si possono spendere in via sussidiaria .Ovviamente non per derubare il cittadino.  

Mario Monti, nel 2012 si era pronunciato così: «L’espressione mettere le mani nelle tasche degli italiani, divenuta corrente in questi anni, non mi ha mai persuaso e, comunque, è un’espressione incompleta, perché ci sono anche altri atti che entrano nelle tasche degli italiani e sono quelli compiuti dagli evasori rispetto ai contribuenti onesti».La frase non “suona bene”,ma è   condizione necessaria perché la lotta all’evasione è un “tormentone” che rischia di essere  non credibile.   

Ormai il  “welfare state” è un ricordo ed è stato sostituito dal “welfare universalistico e sussidiario  a protezione variabile”,cioè se il cittadino ha un reddito(reale, non quello spesso “farlocco” della “dichiarazione dei redditi” )capiente per alcuni servizi pubblici, deve “aprire le tasche” e pagare.Certamente se non si trova un approccio equilibrato a questo concetto,abbiamo le solite storture ed iniquità.   

Stato Leviatano?no! Stato responsabile se agisce con un proxi di equità!  Ma per fare questo lo Stato deve  banalmente sviluppare “prossimità di conoscenza e di coscienza sviluppando  civismo”.Frase ad effetto? No. Frase che chiede una organizzazione operativa e comunicativa efficace. Lascio alla politica tradizionale il dibattito fra  civismo “extralarge”  e quello “small”.  

“Mettere le mani nelle tasche dei cittadini” diventa una necessità; con il contesto socio-economico sempre più difficile ,con il debito pubblico alle stelle,se non” mettiamo le mani nelle tasche dei cittadini” che possono pagare i servizi sociali,sanitari,pubblici(magari anche per il “vicino di casa” ) rischiamo il default economico finanziario che potrebbe azzerare il minimo vitale:economico, sociale , sanitario dei cittadini e di tutti.  Nessuno ne parla,ma tutti lo sanno.   

Il problema è come “mettere le mani nelle tasche dei cittadini”: magari spiegando in modo convincente che siamo all’ultima spiaggia e ,senza questa scelta”, non c’è più trippa per gatti” e per nessuno.     

Ogni cittadino dovrebbe dimostrare quanto consuma per sé e quanto guadagna per gli altri.     

Debito pubblico italiano“a stile idrovora” che sale. Secondo quanto comunicato dalla Banca d’Italia alla fine di settembre 2023 il debito pubblico era oltre 2.844 miliardi di euro rispetto ai 2.840 miliardi (dato rivisto) di inizio mese; l’incremento mensile è stato di circa 4 miliardi di euro.   

Rispetto al dato dello stesso mese dello scorso anno (2.740 miliardi di euro) il debito pubblico è cresciuto di circa 104,5 miliardi.   

Inflazione a ca. 7,6%,costi energetici  in libertà,con consumi in logica di sovraconsumo,diffusione del comportamento Yolo(You only live once)e quindi “si vive una volta sola” contrabbandando il nobile approccio per cui   gli euro sono un mezzo con il concetto che si spende finchè si può.In seguito :lo “stellone”.     

Questo approccio è un furto collettivo alla società. Questo sì!    

Tutti i cittadini, in quanto tali, hanno diritto ad essere protetti da situazioni di dipendenza o di criticità di lungo periodo (malattia, disoccupazione, maternità) o comunque a mantenere un livello equilibrato di fruizione di servizi di “welfare allargato”, con pagamento in denaro(trasferimenti “in cash” sulla distribuzione del reddito disponibile monetario delle famiglie) o tramite servizi ( trasferimenti “in kind”, vale a dire i sussidi pubblici alla produzione di beni e servizi).     

Tutti gli stati industrializzati hanno realizzato ,a suo tempo, provvedimenti di welfare state ,salvo,ora dover tornare sulla selezione dei servizi offerti e sulla identificazione di segmenti di popolazione che hanno più bisogno di altri senza avere risorse.    

In realtà la crisi del sistema viene gravata e aggravata(?) da diversi fattori :     

  1. l’evoluzione irrazionale dei bisogni,     
  2. la dilatazione della giusta domanda sociale     
  3. la richiesta di una doverosa  efficienza qualitativa dei servizi.      

Il concetto universalistico si stempera nell’orientamento particolaristico e discrezionale che deriva dal semplice sostegno finanziario pubblico alle strutture private del welfare mix.    

Lo Stato, in questa dimensione di rapporto strettamente biunivoco con la risposta ai cittadini ,deve considerare le implicazioni redistributive del sostegno finanziario dato ai privati domandandosi in modo puntuale:     

-chi sono i beneficiari dei loro servizi;     

-quanto viene mantenuto l’approccio equitativo;     

-quali sono le gradazioni compatibili con le possibilità di scelta dei cittadini;     

-quanto si riconoscono i diritti delle minoranze.     

In sintesi lo Stato,nella sua articolazione, dovrebbe aumentare la sua capacità di mediazione per semplificare il sistema di offerta dei servizi sociali e mantenere l’integrazione dei particolarismi.     

La realtà della domanda è ormai un insieme di particolarismi che ha bisogno di risposte “calligrafiche” e che riduce il livello di standardizzazione che solitamente caratterizza la risposta pubblica.  

La standardizzazione è la base ,non l’evoluzione dell’efficacia.     

La diffusione integrabile di soggetti privati non può essere sottoposta ad una regolazione uniforme statuale,ma ha bisogno di un assetto di welfare che concilia l’universalismo della mediazione generale dello stato con il particolarismo dell’offerta ,per esempio,di servizi per il bene comune adeguati alla domanda dei cittadini.    

 In quest’ottica il senso di comunità nelle imprese sociali deve essere visto come una forza che, agendo all’interno di un contesto aziendale ,influisce in modo positivo sull’ impresa sociale stessa e sui suoi membri.   

Un vissuto sperimentato dai membri che è il risultato di legami di appartenenza, affettivi, di condivisione e di aiuto;un investimento culturale e relazionale autoerogazione,volontariato personale e self-help.     

La dinamica socio economica del “sistema Paese” ha creato un modello di welfare plurale e trasversale in cui il terzo settore e le imprese profit, con gradazioni diverse, hanno un ruolo rilevante non tanto e non solo in termini di “morfologia istituzionale”(decentramento sociale, sussidiarietà, piani di zona, federalismo, devolution,case di comunità,ospedali di comunità ecc.), ma in termini di “funzionalità operativa”.    

Quindi “mettere le mani nelle tasche dei cittadini” per contare quante sono le monete e per capire quanto possono aiutare-integrare  lo Stato in un’ottica di equilibrio complessivo.     


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