“Branca della filosofia che, tradizionalmente, mira a individuare la natura ultima e assoluta della realtà al di là delle sue determinazioni relative, oggetto delle scienze particolari.”
La definizione della Treccani on line è perfetta nel collocare la metafisica in uno spazio separato dalle altre esperienze di riflessione, di analisi e di scienza.
Esse risulterebbero comunque limitate dalla particolarità, sia nel tempo che nello spazio, che caratterizza tutte le cose del mondo.
Io percepisco, vedo e analizzo questa specifica cosa in questo luogo e in questo tempo.
Sono anche in grado di sistematizzare quel che vedo e trarne delle leggi che mi aiutano a vivere ed operare nel mondo. Oltre non vado.
Alla metafisica, invece, spetta il compito di “superare” l’esistente per cercare l’essenza di quel che esiste.
Vale a dire il senso profondo di ogni cosa che esiste (se esiste) separato dalla sua esistenza materiale.
Ancora, una volta accertata l’essenza di una cosa, vale a dire il suo significato vero, quella cosa inizierebbe ad esistere effettivamente prendendo stabilmente il suo posto nel mondo al di là dell’aspetto fenomenico.
Quindi la metafisica nasce come tentativo di ordinamento e di spiegazione del mondo in tutti suoi aspetti, più o meno limitati che siano, che risulteranno infine collegati fra loro da un’unica rete che li contiene e giustifica tutti.
In questo senso le grandi religioni monoteiste sono senza dubbio delle metafisiche, impegnate a spiegare il Mondo e la Storia e, soprattutto, ad attribuire loro un senso e un perché.
Evidentemente le religioni monoteiste si fondano su un fatto centrale di fede che sembra prescindere, o addirittura seguire, dalla riflessione filosofica.
Posto questo, attorno a quel fondante si sviluppa una costruzione che sistema in un quadro unitario e credibile sia i percorsi storici che quelli di origine naturale.
Tutto ciò vale ed esiste in quanto comporta il senso della esistenza umana nel mondo, conferendoci una specifica capacità di spiegazione di noi stessi e di quel che ci circonda.
Questo spiega perché alla Fede si può giungere anche senza vivere una Illuminazione ma attraverso un cammino filosofico di carattere metafisico.
Di fronte a un mondo che appare inspiegabile e, soprattutto, di fronte alla evidente differenza tra la specie umana e le altre specie animali appare possibile e congruo affidarsi ad un approccio di carattere religioso che sembra l’unico in grado di dare risposta alle domande profonde che ci si agitano nell’anima.
Ovviamente l’approccio religioso non è assolutamente l’unica forma di metafisica.
Ogni volta che un essere umano, di fronte alla bellezza come all’orrore, si interroga su quale sia il senso di ciò che vede o vive inizia a compiere un cammino di tipo metafisico.
E non è questione di livelli.
Jean Amery che, chiuso in un lager, rinuncia agli strumenti della sua capacità intellettuale per interrogarsi sul senso del Male sta facendo un cammino nella metafisica.
Troverà la risposta, anni dopo, nel suicidio levando, come scrive, la mano su sé stesso.
Il capobarca sardo, il più anziano, che si alza a prua, si toglie il cappello ed all’emergere del sole dal mare esclama “Saluru a su soli!” sta facendo anche lui un cammino metafisico.
Si sta mettendo in sintonia con il mondo che lo circonda e dal risultato della giornata di pesca si vedrà se vi è riuscito.
Questo per dire, insomma, che il cammino di tipo metafisico non è limitato dalla cultura o dalla preparazione personale ma appartiene, nei suoi molteplici aspetti, a tutti i componenti dell’Umanità.
Il danzatore derviscio che si auto – annulla in un frenetico girar su se stesso sta, attraverso un approccio di tipo mistico, cercando di giungere anche lui a una Realtà di carattere sovrasensibile.
Non occorre illudersi che tale sforzo sia sempre premiato dalla condivisione o almeno dalla comprensione.
Platone ci ha spiegato come colui che “denunci” agli altri il limite della Caverna venga normalmente tacciato di menzogna o di follia.
Chi, per qualunque motivo, giunga effettivamente a comprendere che quel che vediamo sono solo ombre di una Realtà effettiva ben più complessa e ricca è destinato a risultare sgradito e sgradevole.
È ben per questo che la ricerca metafisica è generalmente spinta a presentarsi come Etica o comunque come strada verso una norma interiore.
È più facile, ed utile, agire sul terreno dei costumi e delle forme di comportamento. Si individuano percorsi e regole che, pur rimandando a una concezione più generale, agiscono positivamente sulle esistenze indicando come è giusto comportarsi nelle varie situazioni.
Insomma, che ci piaccia o non, la Metafisica accompagna la storia dell’uomo a partire dalle prime impronte di mani impresse nelle caverne già decine di migliaia di anni fa.
Per la prima volta, però, la sua imprescindibile presenza nella nostra coscienza appare messa in crisi.
La necessità della Metafisica si basa sulla consapevolezza umana dei limiti, sinora invalicabili, della nostra conoscenza sensibile.
L’idea che esista un livello della Realtà cui i nostri sensi non possono giungere direttamente e che va dunque riconosciuto ed elaborato diversamente può non essere così gradevole ma è stata da sempre nostra compagna di vita e di esistenza.
L’avvento della Rete e il suo trionfo stanno creando l’idea (o l’illusione) di un immenso ed unico contenitore in cui tutto l’esistente ineluttabilmente confluisce.
Ciò che non è contenuto nella Rete semplicemente non esiste, ma soprattutto qualunque cosa è accessibile a chiunque attraverso atti tutto sommato ormai semplicissimi quanto diffusi.
L’uomo contemporaneo viene trascinato in una duplice illusione.
La prima è quella di poter, per la prima volta nella Storia, portare a livello sensibile ogni aspetto della Realtà che esiste solo in quanto documento depositato nel Cloud.
La complessità delle domande esistenziali, la sofferenza per la propria finitudine di fronte all’immensità del Mondo scompaiono in paragone alle apparenti possibilità infinite di poter vedere e sentire tutto.
Non il Tutto, naturalmente, ma tutto nel senso di ogni cosa.
La seconda illusione è quella di partecipare, immettendo documenti (talvolta a capocchia), alla costruzione del Nuovo Mondo che risulterebbe dalla compresenza di tutti coloro che viaggiano e collocano documenti nella Rete.
Il Mondo, di conseguenza, non soltanto risulterebbe semplificato non avendo più livelli di approfondimento ma soprattutto ognuno potrebbe esserne in parte il creatore.
Si creerebbe così l’universo interamente percorribile in cui, come è stato detto e gridato, “uno vale uno” e chiunque sarebbe detentore di una possibilità di conoscenza immediata alla pari con tutti gli altri.
L’idea è, insomma, che basta aprire Internet per trovare tutto.
Se fosse davvero così staremmo per vivere tutti una colossale sbornia democratica.
Saremmo tutti infinitamente più liberi e liberamente creatori del nostro personale universo.
È inutile qui insistere sul ragionevole dubbio che tutto sia davvero in Rete e che tutto sia raggiungibile da ognuno purché sappia manovrare bene il suo personale terminale elettronico.
Viene, al contrario, da pensare che l’apparente avvicinamento di tutta la Realtà ad ogni individuo segnali invece che molte cose assolutamente materiali si allontanino e sfuggano alla stragrande maggioranza degli esseri umani.
Il povero fantaccino (italiano, francese o tedesco che fosse) della Prima Guerra Mondiale era, con la sua sofferenza e il suo sangue, molto più vicino alle strategie degli Stati Maggiore rispetto al combattente da tastiera che pensa di cogliere ogni segreto delle guerre attuali.
Siamo in presenza (e forse solo all’inizio) di un sogno collettivo folle e disperato.
L’Uomo che si illude di costruire il proprio Universo per vivervi felice dentro è l’Uomo che cerca, illudendosi, di diventare un Dio.
Ma non il Dio creatore unico, Signore del Cielo e della Terra.
Piuttosto un piccolo dio pagano, felice dei propri difetti, guerrafondaio o lascivo, prepotente o furbesco, infingardo o presuntuoso.
Un piccolo dio che si inventa un piccolo mondo di cui soltanto lui conosce i nessi e le regole che si affianca a quelli creati dagli altri dei che gli convivono vicini.
Ma come faremo, noi poveri e tradizionali esseri umani, a spiegare che ci sono più cose in cielo e in terra di quante tu ne possa trovare sullo schermo del tuo PC?
Forse anche soltanto guardando i nostri cani.
Cosa faceva sì che la povera Stellina iniziasse a guaire per il mio arrivo quando ancora la mia moto era a un paio di km di distanza lungo la trafficatissima Via dei Quattro Venti?
Forse ci toccherà anche ammettere che i cani hanno più consapevolezza metafisica degli umani, anche se forse tra loro non la chiamano proprio così.
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