La risposta alla domanda è: NO! Perchè le imprese di successo si basano su: efficienza, efficacia, economicità, perdurabilità e sostenibilità ESG-linked e quindi il management deve gestire “il dovere fiduciario” conferito loro dagli azionisti e investitori con scelte a” doppia materialità” cioè economico finanziario e ambientale-sociale e di governace.
Cerco di spiegare: per “dovere fiduciario” (“fiduciary duty”) s’intende l’insieme degli obblighi e le responsabilità dei soggetti-manager che amministrano un patrimonio di altri.
Se l’interesse degli “altri”(azionisti-investitori-shareholders) è quello della massimizzazione assoluta del profitto e della divisione degli utili “oggi e ora”,la sostenibilità dell’ecosistema e delle imprese è quasi impossibile ed inoltre saltano tutti gli obbiettivi salvifici che si dichiarano quotidianamente(oggi per esempio COP28 a Dubai).Infatti tutti ormai siamo d’accordo ,almeno convegnisticamente, sulla necessità della “messa a terra” della sostenibilità e della responsabilità sociale delle imprese.
Bisogna fare i conti con il “dovere fiduciario”.
Se l’investitore vincola il management delle imprese a fare solo la massimizzazione assoluta dei profitti e sostanzia la sua richiesta tramite un patto valido , anche se unilateralmente viene dichiarato in forma scritta dal mandatario,è difficile sviluppare la sostenibilità ed accelerare i processi finalizzati al bene comune ed benessere olistico dei cittadini e quindi del mercato.
“Avere i conti in ordine” non vuol dire adottare azioni di speculazione
Corporate Social Responsibility-CSR, Sustainable Development Goals – SDGs, Agenda2030 per la sostenibilità, NetZero nel 2050 sono delle pure chimere e la sostenibilità del sistema non si attuerà, se non in tempi biblici ,con risultati al ribasso e sempre modificati qualora non risolveremo la contraddizione o l’interpretazione manichea del “dovere fiduciario” del management delle imprese su sollecitazione opportunista ed avida degli azionisti, degli investitori, degli shareholders.
Nella nostra fattispecie, considerando anche settori non finanziari, il tema della responsabilità sociale nei rapporti sul “dovere fiduciario” tra investitori-shareholders e il management ,assume una interpretazione che deve considerare il sociale e l’ESG (Environmental, Social, Governance) come redditività agìta al pari degli investimenti finanziari e componente indispensabile dell’imprenditorialità dell’impresa nella quale hanno investito le proprie risorse.
Le direttive comunitarie stano mettendo dei paletti a questa scelta con vincoli cogenti. Drammaticamente diciamo che se non si pone rimedio, piaccia o non piaccia, questa controversia procura anche migliaia di morti.
Realisticamente e senza drammatizzare, stiamo vivendo in un mondo instabile: dal punto di vista politico, dal punto di vista bellico ed anche dal punto di vista sanitario come conseguenza dello squilibrio climatico e sociale.
Infatti gli scienziati ci allertano perchè ci possiamo attendere probabilmente altre pandemie, ma anche altri eventi di rilevanza sanitaria legati alle trasformazioni del pianeta.
Il prof. Paolo Vineis riferisce di un’immagine molto efficace che i biologi evoluzionisti dicono :cioè l’uomo è l’unica specie che ha fatto dell’intero pianeta la sua nicchia evolutiva; se pensiamo ai Castori o comunque a qualunque altro animale si costruiscono una nicchia evolutiva che però è circoscritta nello spazio( per nicchia evolutiva si intende il fatto di migliorare l’ambiente circostante per aumentare la sopravvivenza della specie) .
L’uomo no! Il degrado ambientale, agli allevamenti di animali ,l’abuso di antibiotici (cioè la resistenza agli antimicrobici o agli antibiotici è considerata uno dei 10 più importanti problemi e più drammatici a livello mondiale si pensi che nel 2022 è stato stimato che ci sono stati 5 milioni di morti legati direttamente o indirettamente alla resistenza antimicrobica e si stima anche che nel 2050 la perdita economica dovuta alla resistenza antimicrobica potrebbe essere del 3,8 % del PIL globale).
Nel 2022 ci sono state in Europa 63.000 morti dovute all’ondata di calore estiva e poi le alluvioni, la siccità che ha un effetto immediato, ma soprattutto un effetto indiretto attraverso la perdita di produttività dell’agricoltura e provoca tra l’altro migrazioni e possiamo attenderci milioni di migranti nei prossimi decenni legati alla siccità.
E se guardiamo tutti gli indicatori dal consumo di suolo al consumo di acqua all’uso di fertilizzanti e così via sono tutti in ascesa talvolta in modo esponenziale più che lineare.
Questi i risultati di una economia basata solo sulla massimizzazione dei profitti e dei dividendi.
L’accelerazione del pericolo e del rischio climatico significa fondamentalmente un esaurimento delle risorse del pianeta (quelli che si chiamano servizi ecosistemici); infatti se ci pensiamo un attimo la nostra esistenza dipende dai servizi forniti dalla natura che sono l’acqua, il cibo e così via.
Tutti questi fatti non sono naturali perché hanno avuto un livello di accelerazione innaturale ed inoltre sono prevalentemente causati da fattori di devianza da antropocene e da sistema economico-finanziario opportunista.
Fra questi una visione del “dovere fiduciario” del management delle imprese che si macchia di queste responsabilità usando le imprese in modo non sostenibile. Molte imprese sviluppano effetti negativi sul clima,sull’assetto sociale per il tramite anche di scelte di governance utilitaristiche e speculative che rendono l’ecosistema una rete non più connettiva, ma piena di buchi.
Tutto allarmismo? Approccio radicale? No un management disinvolto e al di sopra di ogni sospetto che gestisce le imprese in modo utilitaristico e non utile,a favore di pochi e non per il bene comune e collettivo.
Peraltro nel Diritto Societario, già nel 2003, si pone e si sottolinea la prontezza degli interventi di gestione che deve essere fatto dal management per scongiurare il pericolo di una situazione irreversibile a breve, medio, lungo periodo.
Tutto questo ci dà delle indicazioni rispetto al fatto che prevedere o comunque fare in modo di diminuire il rischio che ci possano essere problemi e negatività ambientali, sociali, climatici, e quindi evitarli, fa parte del dovere degli amministratori e quindi del management
Inoltre l’articolo 2086 c.c., nella sua ultima versione, amplia il perimetro di applicazione dell’agire di gestione di management che è funzionalizzato anche alla diagnosi precoce dei fattori di rischio che sono indicatori della presenza di patologie gestionali che può compromettere la sostenibilità futura dell’attività che viene esercitata.
Peraltro ormai c’è una sottolineatura dei fattori che possono assumere rilievo nell’ottica del successo sostenibile di una società e quindi l’ampia gamma di rischi meritevoli di attenzione e correlati agli ESG.
Essi devono essere sotto controllo del management al fine di rendere sostenibile la gestione delle imprese e sviluppare un successo costante.
Il management si trova in una governance rimodellata sia riguardo agli elementi di gestione, di controllo e di gestione dei rischi, ma anche tramite il sistema di remunerazione del management.
Infatti esso costituisce un’asse portante dell’organizzazione dell’attività d’impresa; quindi si è passati dell’”executive compensation” (basata solo su risultati economico-finanziari) ad una versione ampliata con trasparenza e responsabilità sociale.
Cioè le scelte di tipo imprenditoriale- manageriale sono in grado di produrre effetti sullo stesso procedimento di assunzione delle decisioni degli amministratori e sulla propensione al rischio di costoro, ponendosi in una dimensione per cui il collegamento fra la retribuzione manageriale e i fattori ESG.
Tant’è vero che si possono chiamare addirittura ESG linked e sono un dover essere per l’impresa .
Tutto questo anche nel rapporto con gli azionisti e gli shareholders che devono essere rassicurati sul fatto che le scelte del management siano collegate ai risultati conseguiti promuovendo la sostenibilità a lungo termine in un processo che comunque gestisce il breve ed il medio termine.
I fattori ESG ambientali sociali e di governo quindi diventano criteri di natura non finanziaria sulle scorte dei quali però si valuta l’operato gestorio unitamente a quello finanziario e quindi alla elaborazione della compensazione del management; a patto però della trasformazione del “dovere fiduciario” in “dovere fiduciario sostenibile” ed aperto ad una “compensation “che integra valori economico finanziari e KPIs-valori ESG linked.
Quindi la remunerazione, onde garantire la trasparenza della società e la responsabilità degli amministratori, deve improntarsi a chiarezza e precisione per diventare di facile accesso e di agevole fruibilità per gli azionisti che rappresentano lo shareholderism equilibrato a doppia materialità (finanziaria e ambientale sociale). Altrimenti non si potrà ottemperare alla Tassonomia ESRS(European Sustainability Reporting Standards)che sono in vigore dal 1 Gennaio 2024.
Nell’articolo 2247 del Codice Civile si evidenzia che lo scopo di lucro è finalismo dell’impresa, ma non è un modo di assolutizzare il principio tale per cui non vuol dire che è un ostacolo al compimento di scelte di gestione che siano coerenti con quelli che sono gli interessi “altri” intesi come risultati e redditività ambientale, sociale e di governance dell’impresa.
Quindi non si può pensare che l’articolo 2247 del codice civile preclude l’interesse sociale perché porre la divisione degli utili come unico elemento obbligatorio e finalistico per l’impresa e gli amministratori è fatto superato.
Al vero manager una visione di “dovere fiduciario” rivisitato.
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