29 gennaio 1958: con 385 voti favorevoli e 115 contrari la Camera dei deputati approva la proposta di legge, già approvata dal Senato, presentata dalla senatrice socialista Angela Merlin che abolisce in Italia la regolamentazione legale della prostituzione. Diverrà la legge 20 febbraio 1958, n.75 ed entrerà in pieno vigore il 20 settembre successivo.
Per giungere alla sua emanazione furono necessari dieci anni e ben due legislature: la proposta originaria fu presentata infatti al Senato dalla senatrice Merlin il 6 agosto 1948. Le difficoltà incontrate trovano spiegazione non solo nell’appartenenza della Merlin ad un partito, il P.S.I., che in quegli anni di dura contrapposizione tra forze politiche centrodestra e di sinistra, era ancora all’opposizione, ma anche nelle profonde radici che aveva in Italia quella regolamentazione. Essa aveva infatti avuto origine da un decreto del Regno di Sardegna del 15 febbraio 1860, esteso dopo il 1861 a tutto il nuovo regno d’Italia, che stabiliva che il meretricio poteva essere esercitato in particolari “case”, i cui tenutari, forniti di licenza di pubblica sicurezza, erano tenuti al pagamento di particolari tasse.
L’età minima delle ospiti delle case era fissata a sedici anni.
I proventi delle tasse pagate non entravano nel bilancio dello Stato ma affluivano ad un apposito fondo per il pagamento dei confidenti della polizia: ciò parve sufficiente al perbenismo dell’epoca per evitare che si potesse affermare che lo Stato lucrava sul meretricio …
Salvo modifiche legislative marginali, che lasciarono sostanzialmente immodificato nelle sue linee generali il quadro di riferimento, rimasero in Italia senza eco gli sforzi, iniziati nel 1869 in Inghilterra con Josephine Buttler e che presto ebbero eco in tutta Europa, per l’abolizione della regolamentazione legale della prostituzione.
Nel 1923 una inchiesta della Società delle Nazioni sulle donne e i fanciulli tornò a mettere il dito sulla piaga, ma senza risultati apprezzabili.
Nel dicembre 1949 l’Assemblea Generale dell’O.N.U. ratificò una convenzione che sollecitava i Governi degli Stati aderenti ad emanare norme per la repressione e l’eliminazione della tratta degli esseri umani e lo sfruttamento della prostituzione, di cui le case di tolleranza erano lo strumento legalizzato.
Quasi tutti i Paesi europei si adeguarono alla convenzione , salvo l’Italia, che pure ne era firmataria. Molti furono i fattori che operarono in questo senso: accanto a preoccupazioni di carattere igienico – sanitario (possibilità che le prostitute, non più obbligate a periodici accertamenti medici nelle “case”, divenissero strumenti di contagio di malattie) vi erano anche cospicui interessi economici in gioco. Anche se dal 1949 una direttiva dell’allora Ministro degli interni Mario Scelba aveva vietato il rilascio di nuove licenze, quelle concesse nel passato per l’apertura di “case” in Italia, come chiarì la Merlin illustrando al Senato il 12 ottobre 1949 la proposta di legge da lei presentata, erano nelle mani di poche decine di persone, molte delle quali titolari di più licenze, ignote a tutti e note solo all’autorità di pubblica sicurezza, che lucravano profitti ingentissimi e che, secondo la Merlin, erano parte addirittura di un circuito internazionale interessato al mantenimento della situazione esistente.
Esatta o meno che fosse quest’ultima affermazione, sta di fatto che la nuova legge trovò sul suo cammino molti ostacoli, talora così ben costruiti da far sorgere quanto meno il sospetto di una accorta regia. La proposta di legge infatti, posta all’ordine del giorno del Senato a partire dalla seduta del 29 settembre 1949, fu subito osteggiata in quanto mancante di norme di carattere sanitario per la cura e la profilassi delle malattie veneree: la critica rispondeva a verità ma la carenza nasceva dal fatto che la Commissione Sanità aveva ritenuto opportuno stralciare le norme in proposito contenute nel progetto originario della proposta di legge ritenendo che esse avrebbero dovuto costituire oggetto di un originario e distinto provvedimento legislativo.
Lo stesso giorno dell’inizio della discussione del progetto di legge in Assemblea, il senatore democristiano Mentasti, illustre medico, presentò una proposta di legge che conteneva le norme organiche richieste: fu facile per alcuni deputati (Riccio e Zoli, D.C.; Pieraccini e Ghidini, P.S.1.) chiedere la sospensione della discussione della proposta Merlin fino alla avvenuta approvazione di quella Mentasti, proposta che fu però respinta.
La discussione riprese con lunghe interruzioni fino a quando il 21 marzo 1950 l’Assemblea decise il rinvio del testo alla 1a Commissione per una migliore formulazione degli articoli, cosa che significava in pratica un rinvio del seguito della discussione ad una data molto lontana in quanto la decisione presa era tra quelle sottoposte alla Giunta del Regolamento del Senato a proposito della sua ammissibilità in base al Regolamento dell’Assemblea allora vigente.
Solo il 5 marzo 1952 la proposta di legge, nel testo modificato dalla I Commissione, fu posto nuovamente all’ordine del giorno ed approvato con alcune modifiche.
La proposta di legge passò all’esame della Camera dei Deputati e il 17 marzo 1952 fu assegnata alla I Commissione (Affari interni) per la discussione in sede legislativa, ciò che significava che, in caso di approvazione da parte della Commissione stessa, il progetto di legge non avrebbe dovuto essere sottoposto all’ A semblea ma sarebbe divenuto subito legge. Con un sincretismo quasi perfetto l’8 luglio 1952 fu richiesta da un gruppo di deputati, a norma di regolamento, la remissione all’Assemblea: la proposta di legge avrebbe dovuto seguire la via ordinaria (esame in Commissione e poi in Assemblea), ciò che significava praticamente affossarla, dato l’ormai prossimo termine della legislatura.
Le previsioni furono rispettate: pochi mesi dopo le Camere furono sciolte nel clima arroventato dell’approvazione della legge elettorale maggioritaria (due terzi dei seggi in Parlamento alle forze politiche coalizzate che avessero ottenuto più della metà dei voti validi) e la proposta di legge decadde.
Subito all’inizio della 11a legislatura repubblicana la Merlin, rieletta al Senato, presentò nuovamente la sua proposta di legge nel testo approvato nella precedente legislatura dal Senato.
Il 21 gennaio 1955, un anno e mezzo dopo, la proposta fu approvata dalla 1a Commissione in sede deliberante (senza cioè necessità di successivo esame da parte dell’Assemblea) e trasmessa alla Camera dei deputati, dove fu assegnata nuovamente alla 1a Commissione. Solo due anni più tardi, il 24 gennaio 1958, quando ormai anche la 11a legislatura repubblicana volgeva al termine, il progetto di legge fu esaminato dall’Assemblea di Montecitorio. Era la prova finale: un ulteriore rinvio della discussione avrebbe segnato una nuova decadenza della proposta di legge, rendendo molto problematico un seguito della vicenda nella nuova legislatura.
La battaglia politica in aula fu accanita: da una parte comunisti, socialisti e democristiani (con qualche defezione) a favore, dall’altra, contro, monarchici, socialdemocratici, repubblicani e missini.
Le argomentazioni addotte· da questi ultimi erano tutte centrate sul rischio del diffondersi delle malattie veneree, una volta che fosse cessato il controllo medico obbligatorio delle prostitute ospiti delle “case”, argomentazione alla quale era facile rispondere che molto maggiore era il numero delle prostitute che agivano al di fuori di ogni controllo. L’estrema linea di difesa fu un ordine del giorno presentato dal deputato Rubino (monarchico) che impegnava il Governo a chiudere le “case” ma a lasciare immodificato il resto (schedatura delle donne da parte della polizia, controlli medici obbligatori, ecc): significava in pratica regolamentare la prostituzione anche al di fuori delle “case” e fu respinto.
La votazione finale, avvenuta a scrutinio segreto con l’esito indicato all’inizio, non consente di individuare chi votò in un senso e chi nell’altro: una certezza che emerge dai riscontri numerici è che qualche defezione nei due fronti, nel segreto dell’urna, vi fu, anche se in proporzioni trascurabili.
La nuova legge dispose la chiusura entro sei mesi delle “case”, severe pene per gli sfruttatori e per l’adescamento in luogo pubblico, la fondazione, a cura del Ministero degli interni, di istituti di patronato per l’assistenza e la rieducazione delle prostitute uscite dalle “case” e misure particolari per le prostitute minorenni.
Un corpo speciale di polizia femminile avrebbe dovuto sostituire la polizia “nelle funzioni inerenti ai servizi del buon costume e della prevenzione della delinquenza minorile e della prostituzione: la norma restò senza seguito e non fu mai, nemmeno parzialmente, attuata.
Film come “Adua e le compagne” (A. Pietrangeli, 1960) contribuirono a dare un senso quasi epocale (e forse non a torto) alla chiusura delle “case”; il 20 settembre 1958, data in cui avvenne, ci furono addirittura cerimonie di addio fino alla fatidica mezzanotte nelle “case” prima e nelle strade adiacenti poi. Non mancarono naturalmente coloro che rimpiansero i vecchi tempi, come Indro Montanelli (v. ad esempio “I libelli”, Milano, 1993, p. 284), ma nessuno pensava veramente (o almeno così sembra) che si potesse tornare indietro.
Angela Merlin vinse la sua battaglia, che era nel solco del socialismo umanitario nel quale aveva sempre operato, in quanto essa toccava direttamente la condizione femminile, al di là degli schieramenti partitici: ciò spiega perché accanto alla Merlin si schierarono non solo parlamentari di partiti di sinistra come la comunista Maria Maddalena Rossi, ma anche democristiani come Gigliola Calandro.
Presto quella che era una battaglia parlamentare divenne una battaglia civile. Specialmente nella 11a legislatura, quando la sua proposta di legge era ormai divenuta notissima ed al centro di accesi dibattiti nel Paese, la Merlin prese a ricevere in Senato le prostitute che si rivolgevano a lei per aiuto o solo per incitarla a continuare la sua battaglia per l’approvazione della legge. Le lettere che esse le inviarono furono da lei raccolte in volume e pubblicate: offrono ancora oggi al lettore un panorama non certo entusiasmante dell’Italia del tempo.
Nel 1947 le prostitute “fermate” dalla polizia erano, secondo dati ufficiali, 48.110: ad esse erano da aggiungersi tremila prostitute ospitate nelle “case” e seimila prostitute schedate, per un totale di circa 60.000 donne, alle quali erano da aggiungersi quelle che sfuggivano al controllo della polizia.
L’approvazione della legge fu l’atto più eclatante della vita politica di Angela Merlin, coronando una lotta durata tutta una vita a favore delle donne e dei loro diritti civili e sociali. Nata a Pozzonovo, in provincia di Padova, il 15 ottobre 1887, maestra elementare, conseguì l’abilitazione all’insegnamento delle lingue straniere.
Nel 1920 (data risultante dalla scheda segnaletica a suo nome compilata dalla polizia politica) si iscrisse al P.S.I. Gerente ed amministratrice del giornale “L’eco dei lavoratori”, organo dei socialisti di Padova (pubblicato fino all’attentato a Mussolini del 1926, quando la Merlin venne arrestata e rinchiusa per una settimana a San Vittore a Milano), collaboratrice di Giacomo Matteotti, nel 1926 rifiutò il giuramento di fedeltà allo Stato fascista, fu esonerata dall’impiego di insegnante e condannata a cinque anni di confino in Sardegna, prima a Dorgali, poi ad Orune e infine a Nuoro.
Visse dando lezioni di francese, sempre rifiutando di indirizzare qualunque supplica a Mussolini per avere questo o quel piccolo beneficio. Dopo quattro anni, su proposta del Prefetto di Padova, fu posto fine al confino in quanto sorella di medaglia d’oro (suo fratello Carlo era morto nella prima guerra mondiale guadagnando l’alta onorificenza).
Si trasferì allora a Milano, entrò in contatto con alcuni socialisti come Antonio Greppi, Ferdinando Targetti e Antonio Ghirindelli e con un gruppo di donne, noto come gruppo di “Soccorso rosso”, che operava soprattutto nell’assistenza. Si dedicò, secondo un rapporto della polizia del 1933, alla ricostruzione del P.S.I., aderì al P.S.I.U.P., sorto dall’unificazione del P.S.I. con il Movimento di unità proletaria, sposò Dante Galloni, un medico socialista già deputato per tre legislature prima del fascismo: anche a lui, tornato dal confino in Sardegna, fu reso impossibile il ritorno a Padova.
Morto il marito nel 1936, continuò la sua azione politica: nel 1943 sarà nella Resistenza con i “gruppi di difesa delle donne” costituito da donne dei gruppi politici antifascisti. Vice commissario all’Istruzione nel Comitato di liberazione nazionale lombardo, nel 1945 riorganizzò il partito socialista a Padova. A Roma entrò a far parte della Direzione nazionale e divenne responsabile della Commissione nazionale femminile del Partito. Nel 1946 è eletta all’Assemblea Costituente ed entrò a far parte della “Commissione dei 75”, incaricata di predisporre il progetto di Costituzione. Assegnata alla terza sottocommissione che si occupava dei “Diritti e doveri economico – sociali”, fu incaricata di svolgere la relazione sulle “Garanzie economico – sociali per l’assistenza alla famiglia”.
In una serrata dialettica con la democristiana Maria Federici, preoccupata di assicurare rilievo alla famiglia, e con la comunista Teresa Noce, che insisteva sulle forme di assistenza ai nuclei familiari, riuscì a far approvare nella sostanza i tre articoli da lei proposti riguardanti rispettivamente l’assistenza a tutti i cittadini che non fossero in grado di procacciarsi col proprio lavoro i mezzi di sussistenza (che confluì nell’art. 31 e nell’art. 38 del testo finale della Costituzione), la remunerazione del lavoro ragguagliata anche al carico familiare (che confluì parzialmente nell’art. 37) e la funzione sociale della maternità (che fu recepito nell’art. 38).
Minor fortuna ebbe invece la sua proposta a proposito della determinazione con legge dei limiti e delle forme della proprietà. Dopo che Fanfani si dichiarò contrario alla formula da lei proposta, la Merlin la ritirò, consapevole che essa non sarebbe stata accolta.
Anche durante la discussione in Assemblea del progetto elaborato dalla “Commissione dei 75” intervenne più volte sulle norme riguardanti la famiglia, la maternità e l’infanzia, che furono negli anni successivi i temi principali del suo impegno parlamentare, insieme a quelli sul miglioramento della condizione operaia e bracciantile.
Eletta al Senato nella 1a e 11a legislatura ed alla Camera dei deputati nella 111a, fu nelle tre legislature segretario di Presidenza, ciò che le dava una posizione di prestigio all’interno di Palazzo Madama prima e a Montecitorio poi. Divenne nota per la sua partecipazione in Parlamento a tutte le battaglie politiche per l’eguaglianza giuridica tra uomini e donne, come quella per dare accesso alle donne alle giurie delle corti d’Assise ed ai Tribunali dei minorenni, ciò che avverrà solo nel 1963, malgrado i diritti riconosciuti alla donna dall’art. 51 della Costituzione.
Altra sua battaglia fu quella per la equiparazione dei figli naturali ai figli legittimi e quella per il divieto di licenziamento delle donne al momento del matrimonio. Fronte di lotta per la Merlin furono anche i grandi problemi di miseria e di pericolo, come dimostrò la rotta del Po del 1951, degli abitanti del Polesine, una questione che si trascinò a lungo per il contrasto di interessi esistenti tra i proprietari delle valli da pesca, contrari alla bonifica, e coloro che abitavano nella zona e che potevano trovare occasioni di lavoro da nuove terre coltivabili.
Nel complesso, la sua fu la battaglia del socialismo riformista prefascista, attento ai problemi dei meno fortunati ed alle ingiustizie sociali, in un Paese ancora molto arretrato quanto alla effettiva parità dei sessi ed alla tutela della famiglia: fu questo forse il motivo più profondo del suo dissidio nel Veneto con le correnti di sinistra del P.S.I., che guardavano invece con maggiore attenzione alle questioni aperte dal capitalismo post-bellico ed alle nuove concentrazioni di ricchezza.
Nel 1947, nel 1949 e nel 1953 fu Presidente dell’U.D.1. e nel 1956 Vicepresidente della Federazione democratica internazionale femminile.
Nel 1961, ormai in insanabile contrasto all’interno del P.S.I. con la corrente di sinistra che faceva capo a Morandi, molto forte nella sua circoscrizione elettorale, si dimise dal partito e si iscrisse al gruppo misto.
Nel 1963, con la fine della 111a legislatura, si ritirò dalla vita politica e andò a vivere a Milano. Nel 1972 tornò a Padova dove visse qualche tempo con Franca Caonzo, una parente orfana di madre che le era stata affidata nel 1936.
Morì il 16 agosto 1979: fu sepolta accanto al marito nel cimitero monumentale di Milano.
Bibliografia
A.A.V.V., Le donne e la Costituzione, Camera dei deputati, 1989. A.A.V.V., La Senatrice, Venezia, 2006.
Assemblea Costituente, Atti dell’Assemblea Costituente, Discussioni. Camera dei deputati, La Costituzione della Repubblica negli atti preparatori dell’Assemblea Costituente, Roma, 1971.
Angela Merlin, La mia vita, Firenze, 1989.
Angela Merlin, Discorsi parlamentari, Senato della Repubblica, 1998. Angela Merlin, Carla De Barberis, Lettere dalle case chiuse, Ed. “Avanti”, 1955.
Mario Pacelli, Cattivi esempi, Palermo, 2001.
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