IO TARZAN,TU JANE:IL “GENDER GAP” IN IMPRESA

Gender diversity&inclusion (D&I) in generale, dinamizza il rispetto e l’inclusione delle diversità di genere e diventa anche una pratica di management. Per superare il “gender gap” che rievoca IO TARZAN,TU JANE.

Il gender è distinzione di genere, in termini di appartenenza all’uno o all’altro sesso, non in quanto basata solo sulle differenze di natura biologica o fisica, ma anche su componenti di natura sociale, culturale, comportamentale, quindi l’appartenenza a uno dei due sessi dal punto di vista culturale e non biologico.

Oggi si dice “società fluida” che non è un asset indistinto, ma si declina anche in   differenze di trattamento e condizioni tra uomini e donne, dal punto di vista sia privato sia professionale Questo è il “gender gap” che si misura nelle differenze di “vita vissuta” 

La D&I caratterizzano il capitale umano delle aziende, delle imprese e delle organizzazioni.

Con le Carte della Diversità Europee e con le Direttive 2006/54 e 2014/95 si è contribuito a combattere la discriminazione sul luogo di lavoro ed alla Promozione dell’uguaglianza di genere.

Nel 2021 in Italia entra in vigore la Legge n. 162 del 5.11.2021 che, modificando il “Codice delle pari opportunità” del 2006, promuove e rafforza la tutela differenze di genere in ambito lavorativo.

Il nodo più critico è la differenza fra uomo e donna e le conseguenze di vita.

Per esempio molte ricerche dimostrano che ancora oggi le donne sono penalizzate nella tutela della loro salute, nonostante sia ormai nota da diversi anni l’influenza che le differenze di genere (maschile/femminile) esercitano sullo stato psico-fisico, sull’insorgenza e sullo sviluppo delle malattie e sulla risposta alle terapie farmacologiche. Le donne rispetto agli uomini vivono più a lungo ma si ammalano di più, consumano più farmaci e sono le maggior utilizzatrici del servizio sanitario pubblico. in  

A fronte di molti studi di ricerca si è notato che il “riequilibrio del gender gap” è un differenziale competitivo e concorrenziale per le imprese in vari settori, specialmente ad alta intensità femminile.

 Il concetto di civismo operativo e aziendale, che è scelta di equilibrio gestionale, essendo una modalità di gestione e di management del bene comune esterno ed interno all’impresa, in logica di equilibrio, considera il “gender gap” terreno di intervento, con scelte trasformative  di equità.

Questa affermazione è ormai un leitmotiv gestionale e la sua adozione  è politically correct ;la sfida, ora, è passare dal dichiarato all’operativo.

Il Global Gender Gap del World Economic Forum (2023) attesta che l’Italia è al 69^ posto su 146 paesi con una perdita di 6 posizioni rispetto al 2022.Un punto critico è la partecipazione e l’opportunità che hanno le donne nel mondo del lavoro dove l’ Italia, pur rimanendo al 104^ posto, è sempre distante da una posizione accettabile.

Ormai terreno concettuale comune è che l’inclusione e la valorizzazione delle diversità sono differenziale di performance delle imprese.

Le imprese che hanno adottano questo tipo di gestione improntata al D&I acquisiscono  un marker di tipo sociale quindi sono definibili come imprese sociali che si attivano anche in conformità con le esigenze ESG (Environmental, Social, Governance) 

Le caratteristiche dello sviluppo della  leadership femminile in impresa è in questa ottica .

Infatti l’avversione al rischio se non calcolato, la capacità di negoziare, una visione di medio lungo periodo, una sensibilità ai temi di sostenibilità e una capacità di fare una competizione di tipo cooperativo sono la cifra tipicamente della leadership al femminile e tutto questo si pone nell’equilibrio fra ruolo della  donna e dell’uomo

In Italia si sono fatti alcuni passaggi significativi: per esempio la legge Golfo- Mosca del 2011 sulle quote di genere che hanno sviluppato una crescita per cui il numero delle donne nei CDA delle società quotate è passato  dal 7% al 40%.Il dibattito sul fatto che forse opportuno rendere obbligatoria  o  rendere facoltativa questa indicazione mi pare una  visione  abbastanza sovrastrutturale ed è sufficientemente palese che i risultati ci sono stati

Di converso l’ISTAT  indica nella percentuale del 27%  il totale delle posizioni manageriali in Italia  ricoperto dalle donne. Nelle posizioni manageriali le differenze di genere rispetto al reddito risultano pari a circa il 23% ed è  elemento determinante la gestione della famiglia con figli; i dati ci dicono che a 15 anni dalla maternità i salari lordi annuali delle madri sono di 5.700 € inferiori a quelli delle donne senza figli rispetto al periodo precedente alla nascita dei figli .

Un passo avanti è l’obbligo che  a partire dal 2022 in Italia le imprese devono  redigere il rapporto biennale sulla situazione del personale facendo  chiarezza e trasparenza sulla gestione delle risorse umane per ottenere la certificazione di genere intesa come  uno standard di inserimento, controllo e  verifica dei parametri minimi  utili per ridimensionare il gender gap.

Le aree di indagine e rilevazione  sono  sei: cultura e strategia, governance, successi di gestione delle risorse umane, opportunità di crescita e inclusione, equità remunerativa, genitorialità e conciliazione vita lavoro.

Questa verifica biennale  su 33 indicatori  per ora è applicabile  alle imprese con oltre 250 addetti che dovranno riferirsi al set completo degli indicatori

Per le altre imprese la compilazione è parziale e potrebbe essere quella  di un indicatore per ogni area .

Questo tipo di approccio comporta una miglioramento continuo che coinvolge le grandi imprese, ma anche PMI perchè si deve dimostrare che la “supply chain” presidia e processa il “gender gap” in modo trasformativo.

Il mercato del lavoro e del recruiting al femminile ( specialmente per le donne più giovani  e la  generazione Z) è molto sensibile alla scelta del lavoro che integra sia il reddito sia il wellbeing sia lo sviluppo del proprio essere donna all’interno dell’impresa stessa

Dati caldi e  recenti indicano che  questa impostazione è stata adottata (marzo 2023) da 46 imprese accreditate in modo compiuto  e le imprese certificate erano a settembre 2023 oltre 920 .

A monte in tutto questo c’è stato un investimento di 10 milioni di euro previste del PNRR.

Molte imprese di grande dimensione hanno comunque sviluppato ,dal 2022 in avanti, una policy integrata con una dichiarazione formale per promuovere e sostenere un ambiente di lavoro inclusivo e rispettoso per le persone di ogni background oltre a fornire principi aziendali relativi alla diversità ,all’equità e all’inclusione 

C’è  passaggio dalla ritualità delle dichiarazioni all’evidenza dei dati, come abbiamo visto precedentemente, in modo che si possano fare passi avanti rispetto alla D&I ed al superamento del gender gap: IO TARZAN,TU JANE.


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