il quarto potere nella “distorsione” del bilanciamento tra pesi e contrappesi e gli abusi di posizione dominante delle grandi piattaforme Internet sotto i riflettori di AgCom
Il diritto forse più rilevante per il funzionamento di una democrazia è il diritto di (e alla) informazione e che si intreccia inestricabilmente agli altri tre poteri in modi vischiosi, rischiosi e viziosi erodendone l’indipendenza. Dunque una risorsa di informazione che si vuole autonoma e indipendente: il “grande catalizzatore” nel bilanciamento dei poteri nelle democrazie che va rivelando crescenti squilibri e fratture nei pesi e contrappesi, soprattutto nell’era Internet e del digitale. Dove per informazione si intende l’insieme di tutti quei contenuti prodotti da molteplici soggetti come giornali, TV, radio, siti giornalistici, editori, autori, cinema, ecc.
Un corpus di soggetti istituzionali integrati che fanno da interfaccia con tanti altri soggetti-autori che producono direttamente quei contenuti e che dai primi vengono pagati proprio per questa funzione di produzione.
Tra questi abbiamo figure e competenze differenziate editorialisti, scrittori, giornalisti free lance, fotografi, compositori, docenti, analisti e poi anche influencer, sceneggiatori, registi, ecc. Insomma tutti coloro che costituiscono quell’eco-sistema complesso che produce i contenuti dell’informazione (scritta, parlata, per immagini, per simboli) di cui noi utenti ci alimentiamo quotidianamente per prendere le nostre decisioni quotidiane: per informarci e conoscere il mondo che ci circonda, scegliere un titolo di investimento o un candidato alle elezioni, un partito politico, un titolo di un libro o un film, un esame clinico per la salute, fino al cibo o ai vestiti o ad uno spettacolo. Formando in questo modo la nostra consapevolezza rendendola parte di una “opinione sempre più informata” (individuale e collettiva) a costituire il “discorso pubblico” come fondamento di una convivenza pacifica e matura.
Proprio da qui derivano le molte criticità sul funzionamento di questo complesso ecosistema di canali, contenuti e audience al quale si impone un comportamento ordinato e regolato soprattutto per evitare distorsioni e – soprattutto – abusi di posizione dominante che ridurrebbero la fondamentale socio-diversità ideale e culturale essenza di una società aperta e plurale. Per esempio, le grandi piattaforme social sono diventate un veicolo per “muovere” ulteriormente la diffusione di quei contenuti e farli conoscere (seppure spesso con scomposizioni-ricomposizioni viziose) e che tuttavia non possono pretendere di usarli in forma gratuita adducendo la natura di “compenso veicolare”.
Una domanda è allora: perché dovrebbero farlo gratuitamente e non versare un “giusto compenso” agli autori-editori (primari e secondari) di quei contenuti? Salvaguardare questo fondamentale “pertugio” sempre più stretto è essenziale perché quegli autori possano continuare a svolgere quella strategica funzione di produzione dell’informazione (possibilmente indipendente e autonoma) e che se bloccata (o distorta in forme arbitrarie) costituirebbe un grave vulnus per la libertà di informazione e per la circolazione delle idee , dunque della libertà tout court e fonti di una democrazia compiuta e matura. Così come in tutti i casi di salvaguardia del Diritto d’Autore.
Motivo per il quale l’Italia ha recepito le norme europee incorporandole nel nostro ordinamento nel 2021 e trasformate in un regolamento specifico di applicazione dall’AgiCom nel 2023 che dovrebbe regolare il “conflitto” tra le società di Internet (come Meta o Google) e gli editori sulla base di informazioni ormai molto dettagliate per potere determinare in modo corretto, trasparente e confrontabile i confini (e il peso) del “giusto compenso”. Quindi non si contesta tanto l’attribuzione di un “giusto compenso” ma il suo importo quale strumento per proteggere il diritto ad esistere di quell’eco-sistema dell’informazione (giornali, TV, radio, siti qualificati, podcast, editori, autori) che è alla base di una società pluralista e aperta salvaguardando la sua socio-diversità e difesa nei Trattati dell’Unione Europea da decenni.
Nonostante assistiamo da un decennio alle forti resistenze delle grandi piattaforme che preferiscono incorrere nel rischio di sanzioni milionarie piuttosto che cedere su una quota estremamente rilevante di ricavi che dipendono proprio dai contenuti dei quali sono un semplice “veicolo di diffusione”. Infatti abbiamo assistito alla continua crescita abnorme dei pachidermi social ai quali non abbiamo saputo dare limiti portandoli a stati di controllo monopolistico e alla “morte per asfissia” di molteplici canali di produzione dei contenuti dell’informazione ( giornali, radio, TV, siti qualificati, editori) mettendo a rischio i capisaldi della società aperta, democratica e pluralista a partire – dal lato dell’utenza – dalla protezione dei soggetti deboli (minori, minoranze, fragili, et al.).
Concentrazione della crescita dei social che ha nel tempo ridotto il tasso di innovazione in questo campo data la potenza economica di queste piattaforme negli ultimi 10 anni. Basti pensare che la sola capitalizzazione di borsa dei 7 maggiori attori di internet copre oltre il 50% della capitalizzazione globale planetaria. Tanto che la sola Meta raggiunge il livello enorme di 1190 miliardi di dollari che certo il “giusto compenso” non scalfirebbe che in minima parte, ma rappresenterebbe un atto di equità e giustizia a favore di civiltà e democrazia e nell’interesse della reputazione stessa di questi operatori globali. Con Google, Amazon, Apple e Meta abbiamo ricavi globali che per ognuno di questi operatori può raggiungere il Pil del Belgio o della Norvegia. Da qui la crisi dei media tradizionali per incapacità dei governi di porre limiti agli abusi di posizione dominante dei giganti della rete e ora minacciati dall’Intelligenza Artificiale Generativa (ChatGPT) Limiti per i quali si guarda all’Europa come istituzione globale più impegnata a definirne il perimetro all’insegna di una superiore responsabilità verso gli utenti finali e l’intera filiera dell’informazione per salvaguardare la forza della democrazia su un piano planetario, proteggendone l’autonomia, l’indipendenza e il pluralismo. Riducendo in particolare i grandi danni strutturali dell’informazione dovuti per esempio al conflitto di interesse, alla riforma dei servizi pubblici radiotelevisivi fino alle vicende italiane recenti delle cosiddette “querele bavaglio” e le azioni di risarcimento verso i giornalisti usate spesso come clava di intimidazione.
La legge italiana sull’editoria (n.416 del 1981) è infatti debolissima in quanto incapace di fronteggiare le sfide del digitale a supporto e protezione del lavoro del giornalista e di un investimento trasparente nell’informazione (vedi affaire Agi oggi dell’ENI e seconda agenzia giornalistica italiana in procinto di essere acquistata da un politico-parlamentare italiano già proprietario di varie testate giornalistiche come Angelucci). Non è casuale dunque che il report di Word Press Freedom 2024 ci retrocede al 23° posto (- 5 posizioni) del ranking globale e inoltre che il Media Pluralism Monitor dell’Istituto Universitario Europeo di Firenze mostra che nell’UE solo quattro paesi offrono buone condizioni di lavoro ai giornalisti – Danimarca, Germania, Irlanda, Svezia – con l’Italia che arranca con situazioni di diffuso “lavoro povero” anche nel giornalismo. Certo pessimi segnali sulla libertà di stampa, su una libera circolazione delle idee e delle notizie e dunque sullo stato della democrazia che meritano attenzione e impegno in tutta Europa.
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