UNA PIÈCE DI STAMPO PIRANDELLIANO

Piacere sono il medico! Sono l’architetto! Sono l’avvocato! Sono l’idraulico! Sono il professore! Sono l’artista!

Chi è costui?

Uno sconosciuto di cui si parla poco noto solo a poche persone”.

Quanti Don Abbondio ci sono ancora in giro nonostante gli apparenti sforzi che i vari amministratori fanno per acculturare il popolo assicurandogli così uno status sociale che soddisfi la sua sete di conoscenza!

Le iniziative sono tante: musei aperti in determinate domeniche ad ingresso gratis; critici d’arte a disposizione per visite guidate, anch’essi gratis, che si compiacciono del loro erudito copia e incolla che poi renderà loro la benemerita notorietà per assurgere a grandi intenditori di arte. E qui mi fermo. Perdonate il mio ardire ironico ma spesso essendo io un’artista sono coinvolta in situazioni di imbarazzo quando mi devo presentare e dichiarare la mia attività. Detto questo vorrei parlare dell’ultimo lavoro ancora in scena al teatro Argentina di Roma “L’arte della commedia” di Eduardo De Filippo con l’adattamento e la regia di Fausto Russo Alesi.

La pièce è molto interessante ed attuale anche se Eduardo la scrisse nel 1964 con l’intento di attrarre l’attenzione delle istituzioni sul problema ancora non risolto dell’attore. Allora Eduardo la mise in scena con molta ironia coadiuvato nella performance da un altro grande del nostro teatro, Ferruccio De Ceresa.

La vicenda, in breve, tratta di una compagnia teatrale itinerante che porta in giro la propria professionalità attoriale con grandi ristrettezze e con spirito di abnegazione mantenendo comunque la propria dignità in nome di una passione per la commedia dell’arte. Sfortuna vuole che durante uno di questi viaggi il capannone adibito a teatro si incendia così che l’attività viene a fermarsi. Preso dallo sconforto il capo comico (Fausto Russo Alesi) della suddetta compagnia si reca e chiedere aiuto alle istituzioni. Nel caso specifico va dal Prefetto Sua Eccellenza Decaro (ovvero Alex Cendron) e dal suo segretario Giacomo Franci (ovvero Paolo Zuccari). Di qui lunghi colloqui intercorrono tra gli addetti ai rispettivi lavori; man mano nella stesura della pièce le cose prenderanno un’altra piega ed Eduardo farà ricorso al suo momento pirandelliano per giungere all’epilogo finale.

Bravi gli attori tutti, bella la esasperata prova attoriale del protagonista così da lui voluta, essendo suo l’adattamento e la regia; nonché quella della poliedrica Imma Villa con il suo accorato racconto. Lo stato, anche in questo caso, non si smentisce mai, cosicché il Prefetto non prenderà in considerazione la richiesta di aiuto mossa dal capo comico ma farà ricorso a tutti i cavilli burocratici per respingerla; la vicenda si può sintetizzare in un gioco sottile di alti e bassi in uno spazio in bilico tra vero e falso laddove gli attori danno il meglio della loro capacità recitativa.

Come sottolineato precedentemente, Eduardo, a un certo punto, farà ricorso alla sua idea pirandelliana di teatro per continuare la stesura della pièce abbassando e alzando l’asticella della credibilità. Infatti all’inizio della seconda parte, da bravo manipolatore della commedia dell’arte, stende il suo canovaccio e non cambia solo la scena ma tutta l’impostazione della pièce stessa con un linguaggio assolutamente diverso fino ad allora usato. Infatti in seguito ai discorsi intrapresi nella prima parte circa la capacità degli attori di cambiare spesso personaggi con travestimenti e colpi di scena, si insinua nel Prefetto e nel suo segretario, il dubbio che da quel momento tutti coloro che si presenteranno al loro cospetto potrebbero essere interpretati dagli attori e quindi falsare la loro identità.

Essi vestirebbero i panni del medico Quinto Bassetti (Filippo Luna) di Padre Salvati (Gennaro De Sia) e della signora Lucia Petrella (Imma Villa).

Chi sono costoro? Sono veri o falsi? Qui si avverte l’influenza di Pirandello, si sa che Eduardo fu molto attratto dal grande maestro e all’incontro storico avvenuto fra i due fece seguito una stretta collaborazione di 15 giorni presso la casa di Pirandello a Roma che fruttò la stesura di un lavoro a quattro mani dal titolo: “L’abito nuovo” che Eduardo mise in scena soltanto un anno dopo la sua conclusione.

Pirandello riuscì ad assistere alla prima ma dopo cinque giorni purtroppo morì.

Per davvero, non fu una finzione!


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