PAOLO PORTOGHESI, UN UOMO GENTILE

Quando passeggiavo con lui nel suo giardino continuo, dopo tanti anni, a rimanere affascinata dal percorso del suo pensiero, cadenzato da momenti di sosta per leggere frasi, suggestioni, parole che ha scelto con grande accuratezza, come le parole di Cicerone incorniciate vicino ad una delle biblioteche “se nella biblioteca hai un giardino non ti mancherà niente”. Era così anche all’università, quando tra i banchi assistevo alle sue magnifiche lezioni o quando, durante le sedute di laurea, illustrava i progetti dei suoi laureandi con un’autorevolezza riconosciuta da tutti, colleghi giovani e meno giovani.

I nostri incontri sono diventati più frequenti da quando, più o meno nello stesso periodo, siamo diventati cittadini della Tuscia. Ho visto crescere il giardino di Calcata, aprire le nuove biblioteche, in cui cenavamo nelle serate autunnali. Ho respirato l’atmosfera di quei luoghi di fascino e di cultura, dove Giovanna riceve gli amici con un’arte speciale. Talvolta, Paolo leggeva poesie al centro della grande scalinata ripresa da uno schizzo conservato a casa Buonarroti, progettata anche per fare da palcoscenico su cui troneggia il grande olivo che Paolo ha chiamato Borromini per quel suo tronco attorcigliato che ricorda la spirale di Sant’Ivo alla Sapienza.

In queste serate rarefatte, il giardino che si ferma ai bordi della scalinata, silenzioso e presente, racconta l’animo di Paolo. Un uomo gentile, sorridente, suadente. Che ascolta guardandoti negli occhi. E che racconta rubandoti l’anima.

Ho imparato da Paolo a non avere remore nell’attingere idee e forme dal mondo che ci circonda perché “ce ne sono alcune che attraversano la storia mantenendo il loro significato e questo rende possibile la replica e sicuramente utile la citazione, che valorizza il legame profondo tra il moderno e l’antico, e sottolinea spesso la modernità dell’antico, proprio grazie a quei vettori che intrecciano le vicende dell’uomo compiendo sul tempo un’operazione di compressione e insieme di vittoria”.

Il giardino di Calcata è un percorso della conoscenza, un passaggio graduale dalla biblioteca – che è poi il luogo dove si incontrano, come diceva Sartre, i “cadaverini”, i pensieri liberati dal tempo a nostra disposizione attraverso i libri – alla radura degli olivi, una ricerca che confluisce nella meditazione e nella contemplazione. Un percorso accompagnato da grandi olivi secolari, che hanno forme così plastiche che lo hanno ispirato a nominarli. Così c’è Bernini da una parte e Moore dall’altra, e poi Brancusi e Rodin e, in fondo, Michelangelo. Questi olivi circondano la radura che, seppure non sarà mai la Lichtung di Heidegger, cioè il luogo dove entra la luce nel bosco, tuttavia è un elemento fondamentale. “Per me, racconta Paolo, è il “tempio degli dei fuggiti”. Grandi olivi che sembrano reggere il cielo che fa da cupola a questo luogo della contemplazione, il luogo dell’esperienza religiosa. L’olivo che regge il cielo, simbolo di pace tra Dio e l’uomo. L’olivo per me è fondamentale perchè è simbolo della pace, la pace tra Dio e l’uomo. Ma vi è un’altra ragione per cui l’olivo mi appassiona: è la luce. L’olivo si carica di luce perchè ha una foglia con due tipi di riflessione, quindi fa vibrare la luce tra lo scuro e il chiaro. L’unico albero che ha questa caratteristica è il salice, tra il salice e l’olivo c’è una forte analogia ma l’olivo è un albero che vive in simbiosi con l’uomo, la sua forma deriva dalle potature che l’uomo fa per farlo fruttificare e quindi la sua complessità e ricchezza plastica derivano anche dalla lotta e dal rapporto con l’uomo e rappresenta il massimo punto di umanizzazione della natura”.

Mi piace pensare che il tempo trascorra per costruire storie. Ogni luogo una storia e una storia per ogni uomo. Non so se sia giusto mettere una targa ad un bosco ma sono certa che di questo bosco si racconterà la storia.


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