IL MITO GENERA MITO

E’ questo il primo e più significativo motivo conduttore che ho narrato nella mia Tetralogia eroica, che ha percorso la vita e le epopee di Achille, Alessandro Magno, Giulio Cesare e Napoleone Bonaparte.

Achille che scelse di morire per vivere in eterno, Alessandro, giovane antico, grande condottiero, che in 13 anni conquistò un impero immenso, avendo una visione che poi generò la grande cultura dell’Ellenismo, Cesare i cui contemporanei già si chiedevano se fosse stato meglio per Roma che fosse nato o meno, e Napoleone, che partì da una isola per conquistare il continente, e morì su una isola, a combattere l’ultima battaglia, la battaglia della memoria, per conquistare la gloria eterna.

Quattro figure eroiche uniti da un filo conduttore che ha resistito nei secoli: Napoleone con un continuo riferimento a Cesare, nella vita di guerriero e nei suoi scritti, e vissuto 18 secoli prima, Cesare, vissuto 300 anni dopo Alessandro, di cui invidiava la potenza e le conquiste che aveva ottenuto in giovane età, quando lui, al suo cospetto, era un semplice pretore in Spagna, Alessandro che conosceva a memoria l’Iliade, e di cui si narra che avesse sempre una copia con sé, e che aveva fatto di Achille, vissuto forse 800 anni prima, il suo daimon, Achille, l’eroe per eccellenza, giovane, spietato, vendicativo e allo stesso tempo fragile.

Eroi nel senso hegheliano e antico del termine: “gli eroi sono individui che inseguono i loro sogni di gloria, sapendo di realizzare qualcosa di grande, e che spesso concludono tragicamente la loro esistenza”.

E così la morte come sublimazione della loro esistenza. La morte tragica che spesso eroicizza personaggi che in vita non vengono percepiti come eccezionali, e poi con la morte tragica e prematura lo diventano: Kennedy, Berlinguer, lady Diana!

Muore tragicamente Achille trafitto dalla freccia di Paride, il più valoroso degli Achei trafitto dal più pavido dei Troiani, il Paride che incurante dei consigli del più maturo e responsabile Ettore, si era lasciato vincere dalla passione per Elena, e aveva scatenato la guerra di Troia.

La guerra di Troia, narrata nel primo e memorabile poema dell’occidente, l’Iliade, come epopea a seguito di un rapimento amoroso, ma che in effetti a una lettura più moderna e più aderente alle esperienze della modernità e della contemporaneità, è stato il primo scontro tra Occidente e Oriente, una guerra economica tra le due sponde di un mare, per conquistare il predominio nei traffici commerciali.

Poteva Paride conoscere il tallone di Achille, l’unico tratto del suo corpo privo della inviolabilità? No, no poteva: era stato guidato nello scagliare la freccia nell’unico punto che avrebbe creato la morte di Achille, da un dio, Apollo, da sempre acerrimo nemico degli Achei. E l’Iliade, studiata nei nostri programmi scolastici come scontro epocale di mortali, gli Achei e i Troiani, è anche uno scontro tra gli dei immortali, Era e Zeus, ago della bilancia, ambivalente e ambiguo e spesso debole, come tutti i tiranni, e poi Apollo e Atena, Poseidone e Afrodite e molti altri.

Muore tragicamente Cesare, trafitto dalle 23 pugnalate dei tirannicidi, Bruto e Cassio in primis. La congiura che voleva salvare la repubblica di Roma, e poi invece ne provoca la caduta. 23 pugnalate inflitte al corpo di Cesare, nel foro romano, sotto la statua di Pompeo, capo del partito, gli ottimati, che Cesare aveva sconfitto. “Bruto non sa quel che vuole, ma lo vuole fortemente” è il presagio che da giorni occupava i pensieri di Cesare. “Quoque tu, Brute fili mi”, sono le ultime parole di Cesare al momento della pugnalata decisiva: Bruto figlio della amante storica di Cesare, la potente e influente Servilia, sorella di Catone, nemico giurato di Cesare.

Fu un omicidio tutto politico il tentativo di salvare la repubblica? O la mano di Bruto era armata anche dalla gelosia, un complesso edipico ante litteram?

Muore a 33 anni Alessandro, muore nel suo letto a Babilonia nel 323 a.C. “E’ stato giusto che morisse a 33 anni” affermò Hegel, perché “così si affermava il provvidenzialismo della Storia!

Ora in una logica che si poggia sulle esperienze della moderna scienza medica si può ipotizzare che la malattia che ha ucciso Alessandro, sia stata la conseguenza di una vita eroica sì, ma anche tragica.

Alessandro partito da Pella, la capitale del regno di Macedonia, a 20 anni, ha vissuto per 13 anni una vita eccessiva, fatta di battaglie, condotte a cavallo di Bucefalo, in territori con climi estremi, dal caldo dei deserti alla neve dei monti, dedito non di rado a smodate ubriacature a base di vino, privo dei rimedi medicamentosi, inesistenti nei secoli scorsi, e che, alla fine, costretto dall’ammutinamento della componente macedone del suo esercito a ripercorrere a ritroso la marcia di ritorno dai confini della India fino a Babilonia, un viaggio di 3500 chilometri percorsi, non a bordo della flotta, come avrebbe potuto, non attraverso il percorso di andata, costellato dalle città e dalle risorse che aveva conquistato, ma attraverso il deserto della Gedrosia, come la sua indole, la incapacità di scorgere un limite, il suo potos gli imponeva, e in conseguenza di questo stress continuativo, ha certamente subito un abbassamento delle difese immunitarie, che hanno stroncato la sua giovane vita per un banale malanno.

E infine Napoleone, anch’egli vinto da una malattia, sicuramente un malanno corporale indotto, nel mio modo di vedere, da un malanno psichico.

“Vivere sconfitti e privi di gloria è morire ogni giorno” sono le sue lucide considerazioni, lui che aveva fatto delle battaglie e delle vittorie il motivo fondante della sua ascesa politica e del suo ego, e che sconfitto a Waterloo, il topos di ogni sconfitta, lascia sfumare la sua forza di volontà, oramai probabilmente stremato da una vita e da una impresa che ogni giorno gli imponeva di trarre il cesariano dado.

Passando invece al polo opposto della loro esistenza, alla nascita cioè, materializzata nella figura delle madri, per ognuno di essi, Achille, Alessandro, Cesare e Napoleone, si possono cogliere delle testimonianze, tra il leggendario, il biografico e lo storico, che intrecciano le loro storie.

In primis, potente, solido, continuativo, protettivo e continuamente ricercato il rapporto tra Achille e la madre Teti.

Teti, la bellissima Nereide semidivina, ambita in sposa da Zeus e Poseidone, i re dei cieli e il re dei mari, potenti, ma dissuasi al momento che le Moire, il destino, gli preannunciano che il figlio di Teti diventerà più potente del genitore. E come ogni monarca che non è disposto a cedere il proprio prestigio e potere, rinunciano alla bellezza di Teti, e a soddisfare il loro ego mortificato, e dispongono che Teti, più nolente che volente, vada in sposa ad un re, mortale, ma soprattutto non prestigioso.

La scelta cade sul modesto Peleo, che non senza difficoltà costringerà Teti al matrimonio.

Il loro figlio, Achille, viene sommerso dalla madre nel fiume Stige per dargli la invulnerabilità, ma anche, e soprattutto a soddisfare il sacrificio di Teti, a purificarlo delle scorie umane paterne.

Il tallone di Achille, la parte del suo corpo, sostenuta da Teti al momento della immersione nello Stige, diventa il suo unico punto debole e mortale, e il topos delle debolezze di ciascuno di noi. Chi non ha un tallone di Achille?

Il cordone ombelicale tra madre e figlio non si recide mai! Achille, giovane, audace, irruento, invincibile, conscio di una vita breve ma eroica ed eterna, ricorre alla madre in molti frangenti che Omero, o meglio gli omeridi, cantano con particolare enfasi: quando Agamennone gli sottrae Briseide, il dono che si è conquistato con il suo valore guerresco, il suo gheras, e che scatena la sua ira; quando Ettore gli uccide Patroclo, tornato in guerra ricoperto delle sue armi, e infine, scena finale della Iliade, quando Priamo, gli si prostra in ginocchio a chiedere all’assassino del figlio Ettore, la restituzione del corpo straziato dalla sua ferocia.

Significativo e profondamente intessuto alla legenda di Alessandro è anche il rapporto con la madre Olimpiade.

La principessa epirota, moglie del re macedone Filippo II, è, ma più prudente dire, sarebbe colei che ha armato la mano di Pausania, guardia del corpo di Filippo, che ha agito con intento assassino sul re durante le seconde nozze di Filippo con la giovane Euridice; matrimonio che mortificava Olimpiade, ma fatto più grave agli occhi di una madre, avrebbe potuto retrocedere il loro figlio Alessandro nella linea di successione al trono della Macedonia. Un gesto quindi che ha cambiato la storia dell’Occidente proiettando Alessandro a diventare Magno e padrone di un Impero sconfinato, che andava dall’Adriatico all’Indo. E tutto questo nel segno di Achille, la figura eroica che Olimpiade ha inculcato nel figlio e che Alessandro ha eletto a suo daimon.

Meno articolato, più episodico ma in ogni caso parallelo il rapporto di Cesare e Napoleone con la madre.

Cesare, nel 70 a.C., oberato di debiti per costruirsi un potere politico, che riesce in un clima ostile a farsi eleggere Pontefice Massimo, primordiale esempio di “buttarsi in politica” per salvarsi, il giorno delle elezioni uscendo di casa confessa alla madre trepidante: “stasera sarò pontefice o sarò condannato”!, e si salva; allo stesso modo Napoleone, che guarda a Cesare come modello nelle strategie generali e nei piccoli gesti, che il 18 brumaio, giorno cruciale del colpo di stato che lo porterà, salvato dai suoi gendarmi nella convulsa giornata, a essere nominato primo console, che esclama parimenti:

“stasera o dormiremo alle Tuileries o saliremo sulla ghigliottina”! e sarà eletto.

Figure di grande rilievo storico, sono state, a conferma anche della loro rilevanza, celebrate dai grandi spiriti che hanno plasmato la cultura dell’occidente: Omero e Leopardi per Achille, Hegel per Alessandro, Shakespeare per Cesare, e ancora Hegel e Beethoven per Napoleone, oltre ad una serie di scrittori francesi e russi, come Stendhal e Tolstoj.

Altro tratto comune ad Achille, Alessandro e Cesare è stato la loro “sexual fluidity” raccontata in costume moderno: Achille si è legato a Patroclo in una amicizia profonda. Omero non ne canta chiaramente, sarà Eschilo nella sua tragedia, i Mirmidoni, ad essere esplicito nel raccontare il loro legame amoroso.

Stesso profilo per Alessandro che sì, sposato con molte mogli, aveva Efestione come suo preferito, e per Cesare, che aveva avuto tre mogli, Cleopatra come amante e madre del suo unico figlio, Cesarione, e Servilia come amante di una vita, madre di Bruto, colui che aveva sferrato la pugnalata mortale, Cesare di cui Svetonio racconta: “era il marito di molte matrone e la moglie di molti potenti”.

Ma aldilà di questi aspetti un po’ reali, un po’ leggendari, raccontati ad umanizzare la loro vicenda personale, l’aspetto comune che li ha resi grandi per la Storia, è stato il continuo stare in guerra, come dimensione esistenziale perenne.

Lo è stato per Achille: il capo dei Mirmidoni è sceso in guerra contro Troia, per sedersi al tavolo delle trattative finali, ma più di una volta nell’esprimere il suo odio politico e personale verso gli Atridi, Agamennone e Menelao, aveva confessato che a lui i Troiani non avevano fatto nessun torto, e allora perché combattere per una donna? Ma il suo impulso alla guerra, alle armi, al duello era irrefrenabile. E tale è stato soprattutto quando Ettore, il capo dei Troiani, gli ha ucciso Patroclo, che era andato in guerra ricoperto dalle armi di Achille e aveva indotto Ettore allo scontro, alla uccisione e alla conquista delle sue armi.

Achille contro il suo doppio! Affronta Ettore coperto delle sue armi e con doppia ferocia lo abbate e lo trascina per dodici giorni intorno alle mura di Troia, sotto gli occhi sgomenti di Priamo ed Ecuba, i genitori di Ettore, e soprattutto sotto gli occhi di Andromeda, sua moglie che tiene in braccio il piccolo Astianatte. Achille, terribile e spietato, “esempio di durezza” lo definisce Aristotele.

Alessandro combatte a fianco del padre Filippo fin dai suoi sedici anni. Il suo modello è Achille, come abbiamo visto, glielo ha inculcato la madre, oramai è nel suo DNA, ma è anche la guerra una esigenza politica: nel regno di Macedonia diventavano re, quei discendenti che dopo aver superato tutte le contese dinastiche, dimostravano di essere dei valenti guerrieri: il piccolo regno di Macedonia stava acquisendo un peso politico egemonico, ma doveva pur essere difeso, nei suoi confini, dalle mire barbariche che guardavano alle sue ricchezze e al suo sbocco al mare. Alessandro sta in guerra tutta la vita, per 13 anni partendo da Pella arriva all’Indo, agli estremi confini dell’ecumene conosciuto e viene fermato solo dall’ammutinamento del suo esercito, stremato da campagne belliche condotte in territori sconosciuti e in climi estremi, dal caldo torrido dei deserti alle nevi delle catene montuose. E questa è la storia leggendaria. Se poi vogliamo approfondire la storia ideale di Alessandro, la sua lucida volontà di costruire il proprio mito, attraverso molteplici gesti che mirano a questo storytelling, il giovane condottiero arrivato al confine del mondo non aveva più nulla da aggiungere al racconto della sua vita, si può fermare e volgere alla morte, a quella morte che lo raggiunge ai suoi trentatré anni, e che Hegel vede come necessaria ad affermare il provvidenzialismo della Storia.

Analoga è la propensione alla guerra, ma diversa è la traiettoria politica attraverso cui Cesare e Napoleone costruiscono il loro potere e il loro mito.

Due giovani senza padrini e senza risorse, uno, Cesare, braccato da Silla ed in fuga perenne per salvare la vita, l’altro Buonaparte, corso, isolano e italiano, che per diventare Bonaparte si affida, inizialmente, alle sue conoscenze delle mappe geografiche e delle nuove tecniche nell’uso della artiglieria.

Entrambi intuiscono che il potere si costruisce sulla forza delle armi e degli eserciti.

Concetto Marchesi, brillantissimo scrittore di una Storia della letteratura latina, che non è un manuale di studio, ma un affascinante libro di lettura, a proposito di Cesare scrive “le oligarchie o si subiscono o si abbattono soltanto con la violenza”.

E Cesare ne diventa consapevole. Intuisce che per combattere il potere del Senato schierato a favore degli aristocratici e contro i populares, e che aveva fatto di Pompeo il suo paladino, può risolvere lo scontro violentissimo che si profila da subito come aspra guerra civile, e deve dotarsi di una forza che può essere solo militare, e fatta di militi fidelizzati ed ispirati dallo stesso credo politico. Riesce a farsi assegnare la spedizione in Gallia, regione confinante con il potere territoriale di Roma, e causa del metus teutonico, la minaccia e il timore di una invasione barbarica.

Per Cesare, volente o nolente, uno stato di guerra, guerra vittoriosa, come egli, abile e coraggioso condottiero, sapeva gestire, era necessario, e solo così, avendo un nemico contro cui fidelizzare il consenso poteva acquisire quel potere reale che gli consentì di abbattere il potere senatoriale e salvare la repubblica. Tranne poi ad ucciderla egli stesso nel momento che il suo potere che era ispirato a democrazia si tramutò, come spesso è accaduto, in autocrazia.

Uguale traiettoria e uguale percorso ispira Napoleone. Attraverso la prima Campagna d’Italia riesce ad ottenere quel successo militare contro l’antico regime austriaco; la conquista del territorio italiano, ricco di storia e di evocazioni leggendarie, nel ricordo di Cesare che aveva conquistato la Gallia, consente a Napoleone di creare la sua forza politica e il suo mito.

Ma rimane anche imprigionato nella sua epopea: le guerre, le vittorie in mille battaglie, sono il suo potere reale e continuativo in Francia e in Europa, fin quando i suoi nemici, Inghilterra, Austria e Russia lo combattono separatamente.

Vincitore di battaglie memorabili rimaste nella storia, perde la guerra, dopo 15 anni di potere incontrastato.

15 anni: sono la stessa parabola, anno in più, anno in meno, di Alessandro e di Cesare.

Waterloo è e diventa il topos di tutte le sconfitte.

Achille, Alessandro, Cesare, Napoleone, grandi condottieri, sprezzanti del pericolo, sfiorati più volte dal pericolo di morte sono anche, come tutti gli autocrati, antichi e moderni, spregiudicati ed ambivalenti.

Ambiguo Achille, nella sua irruenza giovanile; si commuove accogliendo il re Priamo che viene nella sua tenda a pregarlo in ginocchio di poter onorare con un regale funerale il cadavere straziato di Ettore. Ma è una commozione che dura una frazione, e subito scaccia e minaccia il vecchio di allontanarsi, accecato dalla sua furia che non riesce a placare. Riconosce nel vecchio Re la figura di suo padre Peleo, ma non si acqueta, si lascia vincere dal suo furore.

Da una ambivalenza caratteriale, ad una ambivalenza tutta politica per Alessandro, Cesare e Napoleone!

Alessandro ha ereditato dal padre Filippo il proposito di una “crociata” per liberare le città greche di Asia e di punire i Persiani, che nel 480, seppur sconfitti a Salamina e Platea, avevano oltraggiato e distrutto i templi dedicati agli dei Greci.

Alessandro compie la grande impresa della sua vita: in pochi anni libera le città greche di Asia, ricche di storia, di letteratura e di filosofia, e si rivolge alla conquista del regno di Persia, costringendo il Gran Re Dario alla fuga dopo le sconfitte a Granico, Isso e Gaugamela. Lo insegue fino a trovarlo assassinato da Besso, un satrapo che aspirava a diventare lui re, lo onora, ma a quel punto non riesce a controllare il suo potos, il senso del limite che sempre gli sfugge, e si proclama Re dell’impero Persiano. Dalla crociata ideale alla conquista, da Re dei Macedoni, nemici acerrimi dei Persiani a re dei Persiani, da liberatore delle città greche di Asia a padrone delle città greche di Asia!

Analoga inversione della parabola politica per Cesare e Napoleone.

Cesare, democratico e “progressista”, paladino dei populares e dei deboli, avversato da Cicerone e Catone, difensori fino alla morte del mos maiorum, sconfigge l’ultimo nemico, Pompeo, l’uomo forte del partito senatoriale, colui che voleva essere il primo, ma non seppe essere l’unico, e “mosse in armi per salvare la libertà politica e la uccise, alzò la bandiera degli oppressi per fare servi anche i padroni”, come ha scritto brillantemente Concetto Marchesi, nella già citata Storia della letteratura latina. Voleva salvare la repubblica e la uccise.

E ugualmente Napoleone. Lascia la Corsica rivoluzionario e robespierriano. Poi sulla onda dei successi militari, scala il potere

fino a concentrarlo tutto, assoluto, nelle sue mani come Imperatore dei Francesi, padrone incontrastato dell’Europa, fin

quando gli stati di antico regime lo combattono separatamente. Finisce per sposare una asburgica, Maria Luisa, nipote di quella Maria Antonietta ghigliottinata dai rivoluzionari francesi pochi anni prima, per entrare, lui isolano e borghese, nel salotto buono della aristocrazia europea, quella aristocrazia che il suo credo rivoluzionario voleva abbattere!

Schiavi di quel potos, di quella incapacità di porsi un limite, malanno epidemico di tutti quegli autocrati, che nella storia del

mondo non riescono a gestire, avvolti dal delirio di potenza, Alessandro, Cesare e Napoleone perdono in un attimo tutto

quello che avevano costruito e conquistato. Non Achille, non conquistatore di popoli, ma destinato dalle moire a morire da

giovane per entrare da eroe eterno nella memoria dei posteri.

Ma una loro eredità è rimasta, forte, potente, solida e duratura.
Achille è il personaggio principale della Iliade, il primo poema della letteratura occidentale, in cui Omero, o meglio gli omeridi, ci raccontano e ci fanno rivivere tutta la gamma dei sentimenti umani, dalla ira del Pelide alla sua clemenza, dalla saggezza di Odisseo alla sua astuzia. Poema di guerra, di vita e di morte, rimane una pietra miliare nella sua attualità.

Alessandro è l’ispiratore di una nuova cultura, l’Ellenismo, il primo embrione di globalizzazione, con la creazione di città, di regni, con l’affermarsi di nuove religioni, il cristianesimo, nuove filosofie, l’epicureismo e lo stoicismo, nuove scienze con Eratostene e Archimede.

Cesare, abbiamo visto, voleva salvare la repubblica e la uccise. Nel suo testamento, scritto per prudenza forse, anche perché era consapevole di un pericolo continuo in cui volgeva la sua vita, aveva nominato Ottaviano suo erede materiale e spirituale, quell’Ottaviano che con lungimiranza, cautela e diplomazia seppe trasformare la repubblica romana in principato e poi Impero, con tutte le ricadute politiche, sociali e culturali che l’Impero romano ha profuso nella creazione di una cultura occidentale.

Napoleone infine, il creatore di un primo nucleo di stato moderno, che superasse le arretratezze sociali e politiche dei regni di antico regime, e che soprattutto attraverso la sua epopea, vissuta dai popoli europei in maniera diretta nei propri territori, ha risvegliato in essi il bisogno di libertà, mentre nell’ottocento europeo si diffondevano il liberalismo e il romanticismo.

Quattro personaggi, quattro eroi, che più sono rimasti nella nostra memoria, che rimangono, pur con le loro contraddizioni, nella nostra fascinazione e con spunti articolati e complessi ci aiutano a comprendere in maniera continuativa il nostro presente.


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