Lully è un furbacchione. Ottimo musicista e ballerino, comunque un furbacchione. In più fortunato. D’altra parte non è una novità che il talento non sempre va sottobraccio con la rispettabilità. Anzi.
Giovanni Battista Lulli nasce italiano, a Firenze, da un coltivatore di nocciole e da una mugnaia.
Nel 1646 il duca Ruggero di Lorena, arriva in Italia e, durante il carnevale, gli cade l’occhio su un ragazzino il quale, mascherato da Arlecchino con il violino al braccio diverte la folla. Siccome è in cerca per la nipote Maria Luisa d’Orleans di un piccolo italiano con cui lei possa giocare e conversare nella lingua che sta studiando, ecco come comincia l’avventura di Giovanni Battista, perché quel ragazzino è proprio lui.
Detto fatto, il piccolo saltimbanco è arruolato dal duca e lo segue a Parigi, dove per cinque anni è paggio della ragazza, studia composizione, si fa un nome come ballerino, violinista e chitarrista e soprattutto entra in contatto con tutto il gruppo di compositori che frequentano i palcoscenici della città più importante dell’epoca.
La fortuna gli fa di nuovo l’occhiolino nel ’53 in occasione del “Ballet royal de la nuit”, quando Luigi XIV, ancora ragazzo anche lui, ma già provetto ballerino, debutta interpretando la parte, appunto, del Re Sole. In quella circostanza si esibisce in travolgenti piroette anche Lully, facendo colpo sul re che lo onora del suo immediato favore. Grazie al suo indiscutibile talento e ancora di più al suo spirito intrigante e spregiudicato, un paio di mesi dopo è già Compositore Reale per la musica strumentale, poi Sovrintendente e finalmente Maestro della Famiglia Reale.
Naso grande, bocca ben formata, piccoli occhi miopi e figura che col tempo diventerà robusta, si naturalizza francese, sposa una francese figlia del maggiore musicista di corte, diventa Jean Baptiste de Lully e dichiara di essere il rampollo di un nobile fiorentino, esagerando un bel po’ il livello sociale di papà, il contadino che raccoglieva nocciole.
Con la concessione, resa vitalizia e addirittura ereditabile da Luigi XIV, del privilegio che consente di far pagare l’ingresso al pubblico (concessione appena perduta per fallimento da Pierre Perrin e da lui catturata con diabolico tempismo) Lully diventa il padrone dell’Opera Royale.
Qui, per quindici anni, mette in scena una serie formidabile di produzioni, mantenendo ben saldo il favore del re e sfruttando questo lucrosissimo monopolio. Ai suoi spettacoli fa pagare poco i posti in piedi per i poveri (30 soldi) ma carissimi quelli a sedere per i ricchi (1 luigi d’oro).
Purtroppo questo favore, con la morte della regina madre e il matrimonio segreto del re con Madame de Maintenon, comincia a impallidire, represso dalla nuova atmosfera di devozione e conformismo della corte.
Luigi XIV perde interesse per l’opera e comincia a dimostrarsi tanto seccato dalla vita dissoluta del suo una volta amatissimo musicista e dalle sue frequentazioni di una combriccola di noti omosessuali (il Duca di Vendome, il Conte di Tallard, e il Duca di Gramont) che, quando spunta addirittura una sua relazione intima con un paggio, gli nega l’autorizzazione a mettere in scena l’Armida a Versailles e lo allontana come “musicista geniale ma riottoso a disciplinare in pubblico il proprio modo d’essere”.
Nel periodo del suo successo a corte, Lully era riuscito a sfruttare molto abilmente le sue qualità di musicista, istrione, ballerino. Insomma di bello spirito. Era entrato nella Grande Bande des Violons du Roy, la migliore orchestra del momento, aveva collaborato con il sommo Moliere, e soprattutto aveva instaurato un ferreo (e all’epoca inconsueto) regime di disciplina nel suo lavoro: prove su prove e una inflessibile attenzione alla qualità delle esecuzioni.
Ma non aveva saputo calibrare la misura del suo successo. Era diventato ricchissimo, potentissimo e molto odiato. Un tiranno in grado di soffocare per anni la concorrenza delle altre compagnie. Ciliegina sulla torta, grazie a un altro privilegio del re era riuscito a intascare anche l’incasso della vendita dei libretti d’opera e addirittura della sua musica stampata (in un’epoca ancora senza il diritto d’autore). Troppo. E non si sa come sarebbe andata a finire, se non che…
L’otto gennaio 1687 sta dirigendo il suo Te Deum in onore del re. Allora l’orchestra la si conduceva battendo il tempo sulle tavole del palcoscenico con un pesante bastone di ottone.
Distrazione, entusiasmo? Fatto sta che la punta del bastone colpisce l’alluce del maestro. Presto la ferita si infetta, l’infezione diventa cancrena; si rischia il peggio. Per salvarlo i medici prescrivono l’amputazione. Lully rifiuta, forse perché un ballerino provetto come lui non può rimanere senza una gamba, forse perché spera comunque di guarire.
Invece, dopo due mesi di sofferenze è bell’e morto.
Curiosità. All’epoca di Lully il LA era a 392 Herz, (invece dei 440 di oggi: praticamente un tono più basso, cioè un SOL). Siamo sicuri che questo sarebbe piaciuto agli amici fissati con la teoria delle vibrazioni e del benessere che ne deriva, secondo loro, al corpo umano, organismo strutturato anch’esso, sempre secondo loro, sulle vibrazioni.
“Ascoltando la musica proposta da strumenti con questa accordatura, le onde sonore modificano la pressione sanguigna, la respirazione, il battito cardiaco, la resistenza elettrica della pelle, la sudorazione, la risposta neuroendocrina e le onde cerebrali stimolando il rilassamento della mente e il riequilibrio psicofisico”.
Una magia, altro che musica. Sarà vero?
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