Keir Starmer e il nuovo corso dei labour inglesi
Il 4 Luglio Keir Starmer è diventato il nuovo premier del Regno Unito, inaugurando una nuova stagione in cui vince chi mette assieme.
Di Starmer in questi giorni si è parlato molto in questi giorni in Italia. Il leader del Labour ha cambiato linea rispetto a Corbyn, costruendo un programma ed un manifesto elettorale che si è rivelato efficace. Ma soprattutto ha saputo avviare una fase molto diversa da quella di Blair e del suo ideologo Antonhy Giddens, la cosiddetta terza via. Il Changed Labour di Starmer è una decisamente diverso da quello di fine anni 90, non solo per il contesto storico e politico.
Il New Labour di Starmer è un partito che rimette al centro del discorso pubblico lo Stato, nello specifico lo stato che “protegge” i suoi cittadini. Il concerto di sicurezza che hanno in mente i labour è quella sociale. Il welfare, il lavoro la sita pubblica. A questo si aggiunge l’idea dello stato che garantisce la sicurezza militare e politica in un contesto geopolitico incerto, e che avvia i processi industriali ed economici necessari a garantire la crescita, senza la quale non c’è sviluppo né redistribuzione. Insomma uno stato che investe e che innova, che avvia processi e redistribuisce per contrastare le disuguaglianze e le nuove e le vecchie povertà, di tutti i tipi, quella economica, quella sociale e quella educativa.
Il New Labour inglese è molto lontano dall’idea dello stato minimo di Blair, e molto lontano anche da una visione a volte estrema del merito e della meritocrazia che ha segnato questi anni di globalizzazione e di fiducia spesso ingenua nel mercato.
Oggi siamo nell’era del digitale, che cambia il modo di vivere delle persone, di stare assieme, di pensare e di dare valore alle cose che si fanno. Cambia e si trasforma la società nel suo complesso.
Nelle grandi trasformazioni il ruolo dello Stato è decisivo e cruciale. Lo Stato, esattamente come la storia, non è morto. Semmai occorre capire e decidere che Stato si vuole, se deve controllare o se deve proteggere, o più pragmaticamente deve fare entrambe le cose. E bisogna decidere come deve farlo, con quali strumenti e con quali finalità. Su questo potrebbe definirsi una nuova polarità tra destra e sinistra. Su questo, io credo, anche in Italia si dovrebbe definire un programma ed una prospettiva, possibilmente vasta e capace di tenere assieme i diversi pezzi che compongono la nostra società su cui costruire nuove alleanze elettorali e politiche.
La transizione non è un pranzo gala e soprattutto ha costi sociali altissimi. La “quarta via”, dopo la terza, parte dall’idea che le persone sono il fine e non il mezzo dell’innovazione tecnologica e digitale, che resta uno strumento nelle mani delle persone.
Come ogni trasformazione anche quella che stiamo vivendo genera vincitori e vinti. Occorre occuparsi dei vinti e di quelli che rimangono ai margini del mondo nuovo che è già arrivato. Il merito è una conquista della democrazia, la meritocrazia una degenerazione che deprime la partecipazione. Al senso di insicurezza si deve rispondere garantendo i diritti e moltiplicando le opportunità. Oggi serve proteggere e dare garanzie sociali, non fare centri per migranti richiedenti asilo in Albania o in Ruanda. Probabilmente l’attualità del New Labour sta soprattutto qui. E infatti la prima misura annunciata da Starmer è stata proprio la sospensione del programma dei tory in Ruanda, perché costa tantissimo e non serve a niente.
Cosa può imparare la sinistra italiana dalle elezioni inglesi?
Tante cose, due in particolare. Primo: per vincere la sinistra dovrebbe tornare ad interessarsi di chi rimane fuori dall’innovazione, degli ultimi e dei vinti. Sapendo che per farlo serve lo Stato e la politica, non basta la buona amministrazione. Secondo: il frontismo è un mezzo, non il fine. Uniti si vince solo c’è un programma ed una visione. Ora ci sono due anni di tempo per costruire una visione che mette assieme sensibilità, storie ed esperienze diverse. Questa è la stagione dei federatori. Come Glucksmann e come a suo modo Starmer.
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