Isola perduta nell’Egeo
Karpathos, uno dei punti più remoti della Grecia, è un’isola che appartiene, geograficamente, al Dodecaneso e segna il limite sudorientale del mar Egeo.
Quasi nascosta tra le acque azzurre e verdi che si stendono tra Rodi e Creta, è un rifugio per l’anima, un luogo dove la bellezza della Grecia si mostra in tutta la sua autenticità, ancora lontana dalle rotte affollate del turismo di massa.
Non si conosce con certezza l’etimologia del nome Karpathos utilizzato già da Omero per indicare l’isola. L’etimo greco “Karpat” risale alla radice indoeuropea sker/ker che significa “roccia” e potrebbe far riferimento alla sua natura rocciosa. Una seconda ipotesi farebbe risalire il nome al karpaso, una pianta selvatica molto diffusa sull’ isola fin dall’ antichità.
In base alla mitologia il primo abitante dell’isola fu il titano Giapeto figlio di Urano e Gea e fratello del terribile Crono, padre di Zeus. Si narra che Karpathos fosse il luogo dove abitavano tutti i Titani ed era anche la casa dei mitici Giganti e dei Telchini i mastodontici semidei che lavoravano il ferro. Probabilmente il motivo che ha spinto gli antichi a considerare Karpathos la patria delle creature più gigantesche e paurose della mitologia greca deriva dalla maestosità del selvatico paesaggio dell’isola che è una delle prime caratteristiche che balza all’ occhio di chi ci arriva (FOTO 1 e 2).
Sulla base dei reperti degli scavi si ritiene che l’isola fu abitata già nel neolitico e divenne parte importante della civiltà minoica dopo che il Re Minosse vi trasferì dei coloni da Creta. Rimase importante centro minoico fino alla fine dell’età del bronzo quando tutto fu sconvolto dalla drammatica eruzione del vulcano di Santorini. Poi i Micenei e il periodo Ellenistico. Omero racconta che Karpathos partecipò alla guerra di Troia con le sue navi (intorno al 1100 a.C.). agli ordini di Fidippo, uno dei pretendenti di Elena, legato al giuramento del padre della giovane grazie al quale tutti i pretendenti, in caso di necessità, sarebbero accorsi in aiuto dell’uomo che il sorteggio avrebbe scelto come sposo della fanciulla. Quando Elena fu rapita da Paride, il suo sposo, Menelao, fece appello al giuramento e Fidippo con trenta navi veleggiò verso Troia.
Dall’epoca ellenistica in poi Karpathos seguì le vicende di Rodi. Prima il periodo romano, poi quello bizantino. I bellissimi resti di una Basilica Paleocristiana con le sue colonne di marmo, sono ancora ben visibili sulla spiaggia di Afoti (FOTO 3).
Purtroppo spesso si vedono turisti in variopinti costumi da bagno aggirarsi con fare sospettoso nei dintorni dei resti della Basilica, creando un contrasto davvero disarmonico.
E poi arrivarono i genovesi e dopo i genovesi i veneziani e poi ancora i genovesi.
Lo sbarco dei turchi agli ordini del leggendario pirata Barbarossa pose fine alle contese tra genovesi e veneziani ma nei successivi tre secoli l’isola, fuori dalle principali rotte ottomane, andò incontro ad un lento decadimento.
La storia moderna vede di nuovo l’Italia in gioco poiché in seguito alla guerra Italo-Turca l’isola insieme alle altre isole del Dodecaneso, fu annessa all’ Italia. Durante la seconda guerra mondiale, dopo l’armistizio tra le forze alleate e l’Italia, l’isola vide l’occupazione dei tedeschi, infine nel ‘44 una rivolta popolare portò alla liberazione dai nazifascisti e, finalmente, nel ‘47 l’ unificazione allo Stato Greco.
E’ emozionante vedere a Finiki, grazioso porticciolo dedicato alla pesca e al commercio del pesce, il monumento alla impresa della “Immacolata” (FOTO 4) la piccola imbarcazione da pesca in legno lunga 7 metri che con un equipaggio di 7 uomini eroici navigò da Finiki fino ad Alessandria d’ Egitto per portare la gioiosa notizia delle libertà dell’ isola ad un gruppo di isolani che lì si erano rifugiati per evitare i nazifascisti.
Durante l’occupazione italiana l’isola subì un grande spopolamento poiché molti persero la speranza di un futuro di libertà ed emigrarono verso gli USA e l’Australia. Alcune famiglie emigrarono anche in Italia (nella laguna veneta) e si ritiene che il cognome italiano Scarpa e forme derivate traggano le proprie origini proprio da Karpathos. Ancora oggi il cognome Scarpa rimane uno dei quattro più diffusi sull’ isola di Pellestrina.
A Karpathos sono ancora presenti tracce italiane. Nella zona pedonale del capoluogo Pigadia, un paesino che si sviluppa attorno al piccolo e grazioso porto (FOTO 5), alcuni edifici costruiti durante le dominazione italiana (1911-1944) balzano all’ occhio se non altro per una certa maestosità rispetto al contesto.
Si tratta della Piazza porticata Alexsandros Papagos con il Municipio e il Museo Archeologico, progettata dall’architetto italiano Rodolfo Petracco (FOTO 6). Uno sguardo attento non può non notare in un angolo della “piazza italiana” un monumento ai soldati greci uccisi dagli italiani durante la guerra di liberazione.
Oggi circa 6000 persone sono residenti sull’ isola e si dedicano all’ agricoltura, all’ allevamento degli ovini e caprini e al turismo che fa triplicare il numero di presenze durante i mesi estivi. I turisti sono attirati quasi esclusivamente dalle meravigliose spiagge (FOTO 7) e dal mare con l’ acqua cristallina con tutte le sfumature del blu e del verde (FOTO 8).
Indubbiamente Karpathos custodisce alcune delle spiagge più incantevoli e incontaminate del Mediterraneo. Ogni spiaggia è un mondo a sè, un’opera d’ arte, un piccolo universo di bellezza e tranquillità dove anche il tempo sembra rallentare al suono delle onde e al canto delle cicale.
Ciò che rende unica e magica quest’ isola, però, non sono le spiagge, sono le montagne che uniscono al loro aspetto drammaticamente aspro una dolcezza struggente che ti coglie nella profondità dell’anima.
Karpathos ha una morfologia particolare. E’ stretta e lunga con una catena montuosa che l’attraversa completamente da nord a sud (FOTO 9). La costa è quasi per intero a picco sul mare (FOTO 10) e percorrere l’unica strada costiera del fianco Est dell’isola da sud a nord, è una esperienza meravigliosa.
La strada è tortuosa, piena di tornanti, con continui sali e scendi. Da una parte le rocce color ocra si stagliano verso il cielo (FOTO 11), dall’ altra valloni rocciosi sul fondo dei quali si intravvede il blu cobalto dell’Egeo (FOTO 12), pulito e privo di barche. Sono pochissime infatti le rotte che passano in questo angolo di mondo.
In mezzo alle rocce qua e là compaiono enormi cespugli di oleandri selvatici ricolmi di fiori rosa (FOTO 13) quasi a dimostrare che quella terra è solo apparentemente spoglia e brulla.
Oltre agli oleandri, tanti bellissimi pini (Pinus brutia tipico dell’area mediterranea orientale) che si presentano, ognuno diverso dall’ altro, con forme sinuose (FOTO 14) modellate e tornite dall’ incessante presenza del vento, l’ implacabile Meltemi.
Questo vento forte e teso spazzola tutto il mar Egeo nei mesi estivi. Pulito, secco, lascia i colori vivi. Scompiglia tutto ma gioca un ruolo importante nel moderare le temperature. La parola Meltemi deriva dal turco “meltem” (brezza terrestre) denominazione che corrisponde a quella greca più antica ancora oggi usata di “etesi” (soffio).
E’ interessante il fatto che il Meltemi segue le stesse direttrici delle migrazioni intraprese nel corso dei secoli dalle popolazioni dell’Asia centrale verso l’Europa. Anzi sembra proprio che i migranti storici siano stati sospinti dal vento. Alessandro Magno con il suo esercito, invece, marciò in direzione opposta come se volesse, con le armi, dimostrare che si poteva conquistare tutto, anche il vento.
Procedendo da sud a nord il paesaggio progressivamente cambia. La presenza degli oleandri e dei pini cessa e la vegetazione scompare quasi del tutto. Anche questo è opera del vento che in questa zona soffia particolarmente forte e nei secoli ha disegnato un paesaggio pietroso di colore ocra che, nei tratti in cui non si scorge il mare, lo fa sembrare un deserto montano. Restano i piccoli e tenaci cespugli di timo che emanano il loro profumo balsamico e, quando in fiore, formano un meraviglioso tappeto rosa intenso disteso sulle rocce. Lungo la strada i pochi avventurosi in macchina o in motorino hanno la compagnia dei tralicci in legno che trasportano la corrente elettrica e di qualche capra (FOTO 15) che sbuca, sola o in compagnia, dagli arbusti e dalle rocce e attraversa tranquillamente la strada per andare verso chissà quale destino.
Tante piccole e solitarie chiesette antiche o moderne sorprendono per la loro grazia e anche perché sono sempre aperte a chi desidera entrare per un attimo di raccoglimento, per curiosità o magari solo per riposarsi all’ ombra (FOTO 16).
Oltre alla drammatica dolcezza della montagna, sono i villaggi e i loro abitanti che colpiscono i visitatori attenti.
Menetes, nella parte interna e centrale dell’ isola, è uno dei più pittoreschi con le sue case dai vivaci colori pastello (FOTO 17), delicatamente arroccate sui entrambi i lati di due montagne faccia a faccia.
In base ad una leggenda popolare il Paese fu fondato nel medioevo dagli abitanti della costa ovest che cercavano un luogo dove trasferirsi, che non fosse visibile dalla costa sulla quale sbarcavano i pirati. Da una roccia della montagna una voce tonante invitò gli abitanti a rimanere in quel luogo (Menete! in greco). E così fu.
Menetes è il paese della liberazione perché qui iniziò, il 5 Ottobre del ’44, la rivolta eroica contro gli Italiani, come ci ricorda un monumento all’ inizio del paese. E’ anche il paese della musica poiché qui nacquero molti musicisti greci e varie iniziative musicali locali lo ricordano. La musica tipica del paesino e dell’ intera Karpathos si esegue con una lira a tre corde, un piccolo liuto a otto corde e l’ antichissima tsambouna, una specie di semplice cornamusa.
Particolarmente toccante nella parte settentrionale dell isola il villaggio montano di Olympos raggiungibile solo tramite una lunga, irta e sinuosa strada. Olympos è diventato un santuario della tradizione e del folklore greco, che – nonostante qualche indulgenza verso il turismo (piccole taverne, negozietti, la vecchia strada pericolosa, ora asfaltata…) – mantiene ancora un fascino particolare: è infatti come abbarbicato – quasi “appeso” – al monte Profitis Elias (FOTO 18) dove è sorto nel 1420 per mettere al riparo i Karpathioti dalle incursioni dei pirati.
Casette bianche con porte e finestre colorate, strette stradine in salita e discesa protette dal sole, resti degli antichi mulini a vento (FOTO 19).
Tanti fiori. Tanti gatti. Certamente non è più la Olympos che il viaggiatore inglese James Theodor Bent visitòalla fine dell’Ottocento e sulla quale scrisse articoli molto interessanti, dai quali emerge un paese di pastori, tanto legato alle tradizioni religiose e alle superstizioni. Un paese dove vigeva una sorta di matriarcato (erano infatti le madri a combinare i matrimoni dei figli) e – soprattutto – dove si parlava una lingua greca di derivazione dorica che aveva molto in comune con il greco classico. Bent tra l’altro, pubblicò un saggio sulla lingua parlata in loco, sostenendo che per capirla era bene affidarsi al Liddel-Scott, il “mitico” dizionario anglosassone di greco antico paragonabile al nostro “Rocci” entrambi ancora usati nelle scuole. Passeggiando per il villaggio, entrando nei bar, nelle case, nei negozi si ha l’impressione che il matriarcato sia ancora vigente perché in paese si vedono solo donne che, spesso, indossano gli abiti tradizionali. Camicia di cotone bianca a maniche larghe con belle decorazioni colorate. Un abito bianco o nero, lungo e aperto sul davanti, il kavadi, e sopra il grembiule spesso ricamato. In testa un fazzoletto bianco per le nubili, nero per le sposate, entrambi ricamati con fiori colorati (FOTO 20).
Gli uomini del paese lavorano al vicino porto di Diafani, oppure nella piana agricola di Avalona e sembra proprio che abbiano lasciato alle donne coraggiose ed energiche il controllo del territorio e soprattutto la responsabilità di preservare questo gioiello con la magia che lo pervade da secoli.
Qui tra lo onde del Dodecaneso si capisce perchè la Grecia è molto di più di un luogo: è un sentimento.
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