Quello di Biden non è il Gran Rifiuto di Celestino V o l’abdicazione di Benedetto XVI. Anche se la presidenza degli Stati Uniti è il soglio del massimo potere secolare, un Vaticano laico. Piuttosto, la vicenda va dal declino fisico al crepuscolo generazionale, dal distacco dall’elettorato al fallimento geopolitico. La rinuncia per nulla inattesa di Biden rientra nelle ripetute “turbative” che hanno interessato la Casa Bianca e dintorni. Se l’attuale Capo dell’Esecutivo ha lasciato dichiarando di persona i propri limiti operativi, è stato il contrario per Trump, combattivo e approdato alla nomination dopo incriminazioni, arresti e la successiva legittimazione a correre per il mandato, fra il plauso e le standing ovation dei fedelissimi. Indifferenti, questi ultimi, alle accuse anche pesanti che hanno visto il tycoon, fra l’altro, contrapposto in aula all’ex pornostar Stormy Daniels. D’altronde, in tema di sesso, Thomas Jefferson, il terzo presidente americano, ebbe una relazione e una figlia con Sally Hemings, schiava di origini africane.
La Scandal Tours of Washington offriva escursioni legate all’affaire Monica Lewinsky-Bill Clinton, alla residenza cittadina di Gary Hart, protagonista di una liaison con Donna Rice Hughes che gli precluse la presidenza, e all’albergo Watergate, focolaio dell’impeachment di Nixon.
Ogni volta che un esponente dell’establishment statunitense si trova implicato in un intrigo viene evocata Chappaquiddick, Massachusetts. È la località vicino Edgartown, sull’isola alla moda di Martha’s Vineyard, in cui morì per un incidente la giovane segretaria Mary Jo Kopechne, la notte del 18 luglio 1969. Al volante dell’auto, Ted Kennedy.
Sulle traversie sessuali della dinastia americana per eccellenza si sono riempite biblioteche. John Kennedy nel 1942, a guerra in corso e da ufficiale dei servizi segreti della Marina, ebbe un flirt con l’ex miss Danimarca Inga Arvad Freios, a sua volta amante di Axel Wenner-Gren, svedese sorvegliato dell’intelligence americana come spia nazista. Dopo l’elezione, divise con il gangster Sam Giancana la spogliarellista Judith Campbell e godette delle grazie di Christine Keeler, la pin-up che passava dal letto del ministro britannico della guerra John Profumo a quello dell’addetto navale sovietico Evgenij Ivanov. Quanto a Robert Kennedy, è legato alla morte di Marilyn Monroe, e torna nel nuovo romanzo di James Ellroy, Gli incantatori.
Ma gli intrighi al numero1600 di Pennsylvania Avenue, l’indirizzo della Casa Bianca, travalicano le luci rosse. Lo si vede benissimo in House of Cards.
Fu un militare a tutelare il mondo dal rischio della terza guerra mondiale. Nel libro Peril, a Robert Costa da Bob Woodward, che con Carl Bernstein fece scoppiare lo scandalo Watergate, si afferma che durante gli scontri di Washington, il generale Mark A. Milley, Capo degli Stati Maggiori riuniti, contattò la sua controparte cinese, il generale Li Zuocheng, dell’Esercito di Liberazione del Popolo, per rassicurarlo sul fatto che gli Stati Uniti non avrebbero lanciato un attacco nucleare. Procedura alquanto insolita, visto che il compito spetta al Presidente, il quale viene costantemente seguito dal “bagman”, un ufficiale dei Marines, che porta il “football”, la valigetta a forma di pallone, contenente i codici di lancio.
È un altro, inedito capitolo del controverso passaggio di poteri fra Donald Trump e Joe Biden riporta in primo piano i meccanismi istituzionali di Washington.
Tanto che tensioni analoghe scaturite dall’Ufficio Ovale hanno dato origine a un sottogenere letterario, il thriller presidenziale.
Lo inventa Rex Stout, creatore di Nero Wolfe, con il romanzo Hanno rapito il Presidente del 1934. Lo scrittore immagina già un conflitto mondiale alle porte. I nazisti rapiscono il Presidente per impedirgli di dichiarare guerra alla Germania e al Giappone, la cui futura alleanza è prevista da Stout. Sul tema sarebbe poi tornato nel 1976 John Lee con Il nono uomo, eccelsa ricostruzione del fallito tentativo di assassinare Roosevelt da parte dei tedeschi con l’operazione Pastorius, realmente accaduta. Nel 1942, un commando di otto agenti nazisti sbarcò da due sommergibili sulle coste degli USA e finì tra le grinfie dell’FBI. Nel romanzo di Lee c’è un nono individuo, che riesce a penetrare nella Casa Bianca, sulla sponda della piscina sotterranea dove sta nuotando Roosevelt!
Il thriller presidenziale per eccellenza resta Sette giorni a maggio di Fletcher Knebel e Charles W. Bailey II. I militari tentano un colpo di stato per defenestrare un presidente giudicato remissivo con i sovietici. Pubblicato nel 1962, ossessionò le notti di Kennedy, cosciente di essere un liberal inviso ai “falchi” di Washington… nella cui cerchia stava probabilmente maturando la decisione di assassinarlo.
La notte di Camp David (1966), di Fletcher Knebel, uno dei due autori di Sette giorni a maggio, ipotizza che il presidente impazzisca e solo un uomo comprenda l’accaduto. Come fa a dimostrare l’incapacità di intendere e di volere del Capo dell’Esecutivo?
Peraltro, pochi anni prima era uscito Il candidato della Manciuria, di Richard Condon, in cui un reduce della Corea che ha subito il lavaggio del cervello dai comunisti viene sfruttato per sparare a un candidato presidenziale scomodo per gli ambienti conservatori. Nel 1970, Loren Sanger avrebbe rivangato gli spettri di Dallas con Programmazione omicidi, in cui un’agenzia segreta del governo, la Parallax, elimina tutti i testimoni dell’assassino del Presidente.
Il rischio di un conflitto termonucleare negli anni della guerra fredda aggiunge interesse al presidential thriller. Con l’accento spostato sulla fantapolitica, nel 1963 esce A prova di errore, di Eugene Burdick e Harvey Wheeler. Un bombardiere americano sgancia per errore l’atomica su Mosca e il Presidente, per dimostrare la buona fede ai sovietici, ordina la distruzione di New York. Il tutto riproposto in parodia da Il dottor Stranamore, di Peter George, dove però la figura presidenziale è piuttosto in ombra rispetto ai demenziali militari che scatenano la fine del mondo.
Sul versante più propriamente spionistico è L’uomo allo specchio (1965) di Frederick Ayer jr., ex funzionario dello spionaggio statunitense che racconta con dati di prima mano il tentativo dei sovietici di sostituire con un sosia l’assistente speciale del Presidente per i servizi di sicurezza. L’infiltrato è una bomba vivente che potrebbe distruggere l’intera Casa Bianca. In Misure di emergenza di Janet Morris e David Drake (1985), lo stesso Presidente è un agente di Mosca. Più realistica anche se macchinosa l’ipotesi di Barry Chubin in Il 13° direttorato (1988). L’inglese Kim Philby, fuggito a Mosca dopo aver spiato per anni in Occidente, avrebbe creato una struttura supersegreta del KGB per influenzare la presidenza americana all’insaputa di Gorbaciov.
Alcuni autori preferiscono puntare sulla contrapposizione psicologica fra responsabilità della carica e sentimenti personali. In Vertice, domani di Stephen Marlowe (1970), un giovane e innammorato Presidente va in Svizzera per motivi diplomatici. Intorno a lui, i maneggi dei russi e degli stessi uomini di Washington. L’autore scava molto a fondo nel suo protagonista eccellente, mostrando pagina dopo pagina come alla Casa Bianca in fondo ci vadano uomini che non possono sottrarsi alle emozioni. Un anticipo di ciò che avrebbe fatto nel 1989 il grande Frederick Forsyth in Il negoziatore, sul sequestro del figlio del Presidente, orchestrato da un oscuro gruppo trasversale comprendente sovietici che non condividono la perestroika. Il Presidente deve dimostrare al mondo intero di anteporre la ragion di Stato all’affetto paterno. Del romanzo rimane memorabile il rigoroso impianto documentario, l’accurata descrizione dei dispositivi, degli armamenti e degli organismi politici, militari e spionistici coinvolti. Flirt Lady di Tom Hyman (1983) presenta l’insolita quanto sconvolgente storia d’amore fra il Presidente e la moglie del Premier sovietico.
L’effetto Nixon si fa sentire sul presidential thriller. Cosa Bianca Nostra di Philip Roth (1971) è una satira violenta. Il Presidente del romanzo si chiama Picchio E. Pixon… Più serio, ma non meno allusivo Tutti gli uomini del presidente di John Crosby (1973) che riprende nel titolo italiano quello dell’inchiesta sul Watergate di Woodward e Bernstein. Nel romanzo, la Casa Bianca è occupata da un uomo della Mafia. Il Presidente è servito di David Lippincott (1975) narra addirittura di un omicidio volontario compiuto dal Primo Cittadino e coperto dall’apparato di sicurezza.
In Presidential Year, di Frederick Pohl e Cyril M. Kornbluth (1956), vengono presentate le elezioni del futuro prossimo. Originale Il Presidente moltiplicato, di Ben Bova (1976). Alla Casa Bianca si insediano dei cloni, repliche perfette di un medesimo individuo-base, ciascuno con una propria specializzazione. Gli Stati Uniti beneficiano così nel meglio in ogni settore del governo, dalla difesa, all’agricoltura all’economica. Qualcosa di simile al film Dave, di Ivan Reitman, attualmente in lavorazione a Los Angeles, dove Kevin Kline interpreta un sosia assoldato per sostituirlo dal Presidente che improvvisamente muore in un incidente d’auto.
La carrellata sul presidential thriller si conclude con due romanzi non facilmente ascrivibili a qualcuno dei sottogeneri, eppure importanti per le implicazioni. La notte di Camp David (1966) di Fletcher Knebel, uno dei due autori di Sette giorni a maggio, ipotizza che il Presidente impazzisca e solo un uomo comprenda l’accaduto. Come si può dimostrare l’incapacità di intendere e di volere del Capo dell’Esecutivo?
Presenze di Jerzy Kosinski è un romanzo del 1970 da cui nove anni dopo fu tratto il celebre film Oltre il giardino, con Peter Sellers. Protagonista è un demente che conosce il mondo solo attraverso la TV. Solo e abbandonato per le strade di Washington, entra nelle grazie di una miliardaria ammanicata con la Casa Bianca. Conosce il Presidente, che scambia i vaneggiamenti dell’idiota per sagge metafore. Incombono le elezioni e si decide di candidare quest’uomo venuto dal nulla, che non sa leggere, scrivere e neppure pensare. Con ogni probabilità, sarà eletto alla Casa Bianca.
Da ultimo una serie ideata da David Guggenheim per la rete ABC e poi acquisita da Netflix: Designed Survivor, con protagonista il bravo Kiefer Sutherland. È lui che interpreta il ministro delle case popolari, cui tocca assumere la presidenza dopo che un’esplosione del Campidoglio ha ucciso tutti i componenti del governo. Un protocollo prevede infatti che una simile eventualità faccia sì che entri in carica il “sopravvissuto designato”. Idealista, generoso e ingenuo, Tom Kirkman, interpretato appunto da Kiefer Sutherland, deve rapidamente incarnare l’emblema vivente del sogno americano, sul quale ricadono tutte le responsabilità. Come nel celebre adagio di Harry Truman: «Lo scaricabarile finisce qui». Sottinteso, nello Studio Ovale.
In inglese la frase è the buck stops here, letteralmente il passaggio di secchio finisce qui. Il problema è a chi va in mano il secchio?
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