Joseph Conrad si spegneva il 3 agosto 1924, e con lui quello che era unanimemente ritenuto il più grande scrittore inglese del Novecento. E dire che si trattava di un polacco. In realtà si chiamava Józef Teodor Konrad Korzeniowski, nato il 3 dicembre 1857 a Berdičev, oggi parte dell’oblast’ ucraino di Žytomyr. Ma tant’è, non sempre sono le radici a fare di una persona ciò che diventa. Scrive Borges: «Nessuno sa in quali immagini lo muterà il futuro». Quello di Conrad, prima che nella letteratura, sarebbe stato scritto sul più mutevoli degli elementi: il mare.
Orfano a soli undici anni, fu affidato alle cure di uno zio materno, Tadeusz Bobrowski, che dapprima gli pagò gli studi pubblici, poi quelli privati di un precettore, essendo il nipote troppo fragile di salute per sopportare i rigori delle scuole statali. Il che poi non gli impedì di imbarcarsi a Marsiglia per la Martinica. Lo zio gli procurò una lettera di raccomandazione da presentare in Francia, e sfuggire così all’arruolamento nell’esercito dello zar, perché Berdičev allora faceva parte dell’impero russo.
Di qui in poi, Conrad inizia ad accumulare scenari, nozioni, circostanze che diverranno materia di un’ineguagliabile costruzione romanzesca. Se per Proust si parla di “cattedrale”, al creatore di Lord Jim va senz’altro ascritto il binomio di universo oceanico.
Conrad lascia all’umanità un patrimonio artistico, espressivo e culturale che non ha pari. I suoi romanzi e racconti compongono tutti insieme una tradizione che rinnova l’epica di Omero. Dalle narrazioni a scatole cinesi, sul sottofondo della parola diretta dell’autore, emergono personaggi degni di competere con Odisseo, Ettore, Achille e lo stuolo delle figure classiche. Diversamente da queste, però, sono ritagliate su quanti Conrad conobbe direttamente nel corso dei suoi viaggi. Una di esse gli funge da alter ego. È Marlow, che spesso si limita a riferire, salvo poi affrontare senza protagonisti intermedi il “Cuore di tenebra” del Congo, alla ricerca di Kurtz, l’uomo che ha edificato un dominio assoluto nella giungla, precluso alla gente comune. Torna di nuovo in mente Borges, che nell’“Accostamento ad Almotasim”, dalle “Finzioni”, raffigura un percorso sapienziale culminante con il concetto di Dio. Sennonché Kurtz rappresenta l’esatto contrario, il male, che si alimenta del colonialismo in Africa fino ad assumere configurazioni infernali.
Le si ritrovano nel Verloc de “L’agente segreto”, cui devono tutto Graham Green, Eric Ambler, Geoffrey Household e soprattutto John Le Carré. Fra le pagine di Conrad, lo spionaggio acquisisce uno status enormemente superiore a quello della mera attualità geopolitica. Costituisce invece una condizione dello spirito che pervade chiunque lo pratichi come una possessione demoniaca, dalla quale non c’è redenzione, e prescinde dalle avvilenti necessità di informare le potenze straniere cui di volta in volta si fa riferimento. Verloc è la monade della clandestinità permanente, votata al terrorismo, metafora di un orrore che scorre lungo la storia fino al presente.
Il contrario per Lord Jim. Ciascuno nasconde nel proprio passato un “Patna” lasciato affondare con gravi perdite di passeggeri in pellegrinaggio alla Mecca, e poi capace di riscattarsi con un picco di eroismo che lo riscatta molto più che ai soli occhi di Jewel, la donna conosciuta durante l’esilio di condanna. All’opposto di Verloc, il giovane di perdute belle speranze le riconquista integralmente in un lieto fine dalle parvenze di ulteriore tragedia.
Altrettando simbolico Almayer, che fa da demiurgo in “Un reietto delle isole” e quindi da decadente fallito in “La follia di Almayer”. Due facce dello stesso personaggio, esemplare delle tipologie umane nella loro mutevolezza.
L’elenco potrebbe allungarsi al tesoro di “Nostromo”, all’enigma soprannaturale de “La linea d’ombra” e al delirio aggressivo dei “Duellanti”. Il che rischia di far accantonare un’altra peculiarità della scrittura di Conrad, che gli guadagnò il titolo aggiudicatogli dalla critica letteraria britannica.
La sua eredità più significativa è l’immane quantità di riflessioni di cui stipa le proprie opere. Mots d’auteur in sovrabbondanza. Marlow, per esempio, si esprime per epigrafi anche quando non fa che descrivere un paesaggio.
Vezzo che Conrad riprese anche nella vita: «Come posso spiegare a mia moglie che quando guardo dalla finestra sto lavorando?»
I lunghi viaggi non giovarono alla sua salute. Un medico gli consigliò di lasciare l’Inghilterra e trasferirsi in climi più miti, se voleva sopravvivere. Conrad restò nella sua patria d’adozione e vi morì, a 66 anni.
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