Con la convention di Chicago i democratici “blindano” nella partecipazione la nomination del ticket Harris-Walz contro quella repubblicana Trump-Vance: “realismo glocalista contro mistica localista”? Tutto si giocherà sulla strategia economica (e geopolitica) tra i due contendenti ma che sottende ad una diversa concezione dello Stato e delle sue funzioni da una parte e della concezione di libertà dall’altra. Sgombriamo subito il campo dal quadro congiunturale che vede una economia americana in buone condizioni per occupazione e per inflazione e che per questo potrebbe spingere Powell – presidente della Fed – a ritoccare i tassi verso il basso seppure con una manovra tiepida di 1/4 di punto prima del 5 novembre “aiutando” in questo modo i democratici oltre che Wall Street e le Borse mondiali.
Certo il quadro internazionale rimane scuro e altamente conflittuale ma prima di novembre forse il sanguinoso conflitto mediorientale a Gaza quale risposta al pogrom del 7 ottobre potrebbe trovare qualche soluzione stabile e che aiuterebbe probabilmente i democratici, a coronamento della legacy di Biden almeno con un cessate il fuoco garantito da una task force di “paesi volenterosi e responsabili” come Egitto, Giordania, Arabia Saudita e Qatar capaci poi di governare la ricostruzione quale base di lancio della proposta 2S2P (2 Stati 2 Popoli) nonostante l’opposizione di Netanyahu e Hamas ma con moltissimi sostenitori tra il popolo ebraico e palestinese. Mentre il conflitto ucraino-russo deve ancora generare linee sostenibili e giuste di negoziazione soprattutto dopo l’entrata dell’Ucraina nella regione russa di Kursk quale Mossa del Cavallo in chiave difensiva e con il persistente appoggio di intelligence della Nato e di mezzi militari dell’Occidente.
In entrambi i casi le proposte democratiche sono chiare mentre quelle repubblicane alquanto incerte nonostante le roboanti proposte di Trump “di fine dei conflitti e pacificazione” visto il perimetro di “sganciamento” contenuto nelle pulsioni isolazioniste repubblicane. “Sganciamento isolazionista” repubblicano che è tutto da dimostrare sia nell’interesse degli USA in quanto “disimpegno o chiusura internazionale” lungo le linee del MAGA–Make America Great Again” chiusa entro i suoi confini.
Quindi su questo perimetro economico-congiunturale e di politica internazionale le posizioni tra i due schieramenti sembrano abbastanza chiare e distinte e con un leggero vantaggio (ora crescente) forse a favore dei democratici e che registriamo nel recupero di Kamala Harris nei ripetuti rilievi demoscopici a due settimane dalle dichiarazioni di Biden di non candidarsi. Vantaggio ancora marginale (ora di 3 punti percentuali ma forse insufficiente su base regionale) che potrebbe anche rapidamente chiudersi per esempio in base agli esiti emergenti dei due maggiori conflitti regionali-globali in corso (Gaza, Ucraina). I due schieramenti si dividono in modo robusto invece sulle funzioni dello Stato in economia, sulla rappresentazione della libertà dell’individuo e del capitalismo che prediligono.
Per Trump al centro abbiamo la bandiera di una libertà radicale (o estrema) di un individuo inviolabile che domina su tutto e che legittima un “capitalismo selvaggio” di tipo libertario al quale deve essere concesso tutto (o quasi) nel “fare”, ovviamente con tasse calanti, che significa meno servizi pubblici o loro privatizzazione alimento degli “animal spirits” smithiani di una economia materialista. Dinamiche che devono liberarsi entro confini porosi di uno “Stato snello” e – soprattutto – di un estremismo antistatalista non interventista. Uno Stato minimo che sembrerebbe di stampo reaganiano (e thatcheriano) che riporta agli anni ‘80 del secolo scorso di tipo de-regolatorio, “senza lacci e lacciuoli” e senza troppi contrappesi tra i poteri a favore ovviamente di quello esecutivo. Uno Stato dunque che polarizza e ipostatizza “chi ha e chi non ha” (voce, risorse e buona istruzione) in una società immobile che impone diseguaglianze fisiologiche perché in funzione di “chi ha e di chi può” in quanto espressione dei (presunti) “migliori” (ma quali in assenza di concorrenza e merito?) e normalmente detentori di un patrimonio (se per trasmissione ereditaria meglio perché semplificherebbe i meccanismi e peraltro detassato nei passaggi generazionali).
Trumpismo “oltre” Reagan e la Quarta via della Harris per rinvigorire democrazia e società nella coesione con nuove alleanze pubblico-privato
Rispetto alla reaganomics originaria non c’è più nemmeno bisogno di ricorrere troppo alle teorie dell’offerta di Laffer o agli “effetti di sgocciolamento” (trickel down theory), ossia se crescono i ricchi (e la loro ricchezza soprattutto, e meglio se concentrata) cresce anche l’economia tramite processi di “trickel down” appunto. Teorie che peraltro non hanno mai funzionato in alcun paese del mondo e rimangono dunque nel vago o nelle slides dei corsi delle business school d’oltre Atlantico ed escluse in quelle europee. Un capitalismo trumpiano che dunque vuole liberare le “forze concentrazionarie” di un capitalismo monopolistico-oligopolistico nei diversi settori di rilievo dalle materie prime, all’high tech della West Coast, al chimico-farmaceutico (ma no vax?), alle armi sotto l’ombrello del “Secondo Emendamento”, all’agro-industria (no climate change) fino ai servizi della digital industry dalle banche alla finanza, dai social alla comunicazione. Frenando a tutta evidenza le politiche ambientaliste a favore di quelle fossili che sono ritenute “squilibranti” gli assetti di mercato esistenti e costose per gli utenti medi o medio-grandi, inaccessibili per i piccoli.
Sull’onda di un feroce negazionismo del climate change che si innerva poi al no vax, no tax e no science. Ma non per l’auto elettrica (ed altri beni complessi di massa prodotti negli USA e in Cina) di Elon Musk (capo indiscusso dei monopolisti globali in difficoltà con Tesla) da proteggere con forti barriere tariffarie con soglie anche del 30% o 40% che rischiano di essere misure iper-inflazionistiche e in contrasto con politiche per le classi medie o medio basse oltre che rappresentare armi a doppio taglio capaci di scatenare forze uguali e contrarie (la Cina reagirebbe).
Ma come sarà possibile, se il 44% delle auto prodotte in Cina sono targate Tesla, Volvo e Dacia e di queste il 60% sono vendute in Europa (compresa un‘alta quota di Model 3)?
Si rischiano dazi contro l’Europa ? Dunque una politica economica e industriale che mostra di pensare più all’ 1% più ricco (da Google ad Amazon, da Nvidia e Microsoft ad Apple e Meta e Tesla) contro i ceti meno abbienti e il benessere delle classi medie con logiche protezionistiche ma anche più inflazione venendo meno la concorrenza interna. Un trumpismo che quindi sembra liberarsi anche della eredità reaganiana ritenuta troppo “etica e aperta” tanto da offrire proprio ad Elon Musk un posto nel Governo a “remunerare” il suo sostegno e infilandosi in un formidabile conflitto di interesse planetario.
Musk: Segretario alla Concorrenza e all’Efficienza di chi? O una nomina come secondo Vice-President “ombra” anti-Vance ? Mentre il quadro di politica economica e industriale della Harris parte proprio dall’opposto, ossia risollevare lo stato di benessere delle classi medie e far ripartire l’ascensore sociale, riducendo le diseguaglianze e accrescendo la coesione territoriale, economica, educativa in un quadro inter-etnico e inter-generazionale oltre che di riduzione del gender gap, quale chiave strategica per ridare dinamismo all’economia americana, ri-aprendola all’esterno e non chiudendola al suo interno spingendone la competitività inter-settoriale per una nuova divisione cognitiva del lavoro (non smithiana) intrecciando solidarietà ed efficienza con resilienza e sostenibilità.
Magari – potremmo semplificare – con un MAJA / Make America Just Again tradotto a Chicago con un più sintetico Forward (un Avanti che sa molto di Europa e di Italia?) Da realizzare con uno Stato Relazionale attivo, non erogatorio e non autorizzativo ma di sostegno alla sussidiarietà economica con incentivi fiscali ai ceti meno abbienti (e alle PMI o loro reti) come stimolo alla crescita e corone di nudge policies. Questi ultimi da sostenere anche con politiche per la casa (3 milioni di nuove case e agevolazioni per nuclei familiari con figli), per la sanità (allargando il Medicare), e per i beni alimentari di prima necessità con funzioni di controllo e monitoraggio affidate alla Federal Trade Commission. Quest’ultima misura oggetto di accuse trumpiane ad effetto (e un pò ridicole) di “Kamunism” (o di “dirigismo”) ma che se ben congegnate in relazione al controllo del tasso di inflazione medio e/o degli eccessi speculativi può favorire la concorrenza intersettoriale e dunque contribuire a prezzi decrescenti guardando alla sostenibilità senza rischi dirigistici ma accrescendo la competitività sulla frontiera tecnologica dell’eco-sistema per una più larga divisione del lavoro che traguarda a digitalizzazione e sostenibilità con nuove alleanze pubblico-privato.
Le paure da proteggere con il trumpismo isolazionista e autarchico contro la visione di futuro inter-generazionale e inter-etnica della Harris per una società creativa e coesa
Trump sembra dunque guardare al passato e allo status quo ante, incendiando (e utilizzando) le fragilità delle democrazie da “sedare” con forme di autoritarismo dell’One Man Show al comando (“antiburocrazia statalista”) sostenuto non da cittadini consapevoli e responsabili ma da tifosi ideologizzati e alimentati da una mistica settecentesca abbeverata da Truth. Quest’ultima “opportunamente” accompagnata da una comunicazione adatta a guidare “greggi impaurite e insicure” e dove però “tutti devono stare al loro posto” avendo semplicemente fede e fedeltà nel capo-condottiero-santone che li “proteggerà” ma a rischio di nuovi totalitarismi come l’esperienza di Weimar ci ha insegnato tragicamente portando – paradossalmente – all’elezione democratica del dittatore nazista passando – potremmo dire – per il Fascismo italico.
Mentre Harris mostra di guardare al futuro e alle nuove generazioni, alla produttività cognitiva da coesione sociale e imprenditoriale e alla creatività (che sono condivise e relazionali) dove tutti devono potere avere le stesse possibilità e opportunità a partire dall’accesso all’educazione, alla sicurezza sociale e alla sanità oltre che alla libertà d’impresa in un mondo regolato da concorrenza trasparente. Strada sulla quale de-maturare le democrazie e offrire una Quarta Via coesiva di rinnovamento e innovazione sociale per guardare con fiducia al futuro e ad un benessere senza aggettivi riducendo le diseguaglianze e in particolare quelle che – se non risolte – minacciano la democrazia e forse lo stesso Occidente come lo conosciamo. Come? Integrando politiche per nuovi iper-oggetti ibridi (nel senso di Latour) dal lavoro, alla sanità, all’ educazione, dalla casa alla sicurezza ai territori-città tra realtà e ambiente, relazioni e digitalizzazione, 5g e AI nella sostenibilità energetica e sociale con nuove alleanze pubblico-privato.
Fiducia in un futuro di benessere che non potrà che essere condiviso anche attraverso una pace globale che sia possibilmente giusta in un mondo sempre più interdipendente di cui i conflitti degli ultimi 30 anni sono rivelatori (da Lehman Brothers al covid, dalla demografia calante all’immigrazione diffusa al climate change) come fonti di perma-crisi. Una traiettoria di globalità solidale e resiliente dunque che impone strategie multilaterali e non più un “unico regolatore globale e/o un’unica moneta” e in questo possiamo vedere un nuovo ruolo per una Europa Federata sempre più autonoma, indipendente, responsabile e inclusiva per nuove alleanze con USA in un quadro Atlantico allargato.
Questa la faglia tra “mistica trumpiana e realismo democratico” sulla quale si separano i due programmi di Harris e Trump e sulla quale saranno chiamati a votare democraticamente gli americani del nord e del sud, dell’ovest e dell’est e dove quelle diverse variabili hanno declinazioni spesso molto differenziate e anche opposte tra le “minacciose oscurità securitarie” rivolte ai 50enni (Boomer, Gen X) e la “vivacità creativa” di Harris rivolta ai Millennial (Gen Y e Z).
Dunque con una asimmetria comunicativa generazionale che nella personalizzazione individuale dei social sembra più favorire la Harris per coinvolgimento motivazionale e intelligenza emotiva compatibili con una società e democrazia sempre più fluide e liquide in senso interclassista (la foresta) contro le paure da mitigare con protezioni autarchiche e securitarie che rimangono “classiste” (il formicaio). Dunque un paradosso da strabismo: un Trump che sembra richiamarsi a Marx e alla fisica di Newton contro una Harris che sembra invece richiamare John Locke e David Hume e agganciare la “bio-chimica” della fisica quantistica?
Vincerà chi saprà interpretare la de-maturazione democratica unendo il paese: foresta vs. formicaio ?
Alla fine vincerà tra i due chi saprà meglio interpretare le saldature di faglia verso una de-maturazione democratica inter-etnica e inter-generazionale verso inclusione e partecipazione di nuove necessarie porosità pubblico-privato, mentre perderà chi allargherà le distanze e fratture tra le faglie con populismi sovranisti e isolazionisti (interni ed esterni) in senso privatistico-individualistico. Prevarrà insomma la capacità di unire nella diversità come fonte di innovazione sociale, apertura e pluralismo creativo quale bisogno di una speranza di futuro contro ogni immobilismo come nel contrasto espresso tra due grandi film “Per un pugno di dollari”(1964 di Sergio Leone, un europeista che guarda all’America delle origini) e “Attacco al Potere”(1998) nella rappresentazione dello “spirito americano” del presente. Il primo film teso ad una speranza di giustizia globale (dunque distribuendo in senso keynesiano per ridurre le diseguaglianze e rinnovando l’anima socialdemocratica per dinamizzare ascensione sociale e accessibilità dal villaggio alla nazione) rafforzando la foresta coesa di individui autonomi e solidali uniti nello stesso patrimonio radicale di un terreno comune da condividere.
Il secondo film espressione del caos securitario locale da risolvere blindando le corporazioni monopolistiche nell’illusione autarchica dell’”isola felice” proteggendo il formicaio delle solitudini e la sua regina riproduttiva di automi ordinati che rilasciano semplici feronomi (tracce immobili da seguire). Gli impatti sul governo italiano li vedremo presto nella nomina dei commissari UE e nel bilanciamento dei nuovi equilibri atlantici emergenti dall’esito americano di novembre avendo scelto l’incauta opposizione alla “Maggioranza Ursula” e per questo respinti nella mixitè di destre estreme spesso antisistema (e divise da Le Pen a Orban da Salvini all’AFD tedesca) dove si rischia una crescita di consenso ma “frizzato” nell’irrilevanza politica e istituzionale ed esiti imprevedibili visto il nostro debito “monstre” e la distanza esiziale dall’Europa nel quadro di delicatissimi equilibri atlantici che per questo possono fratturarsi o micronizzarsi.
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