Alcune riflessioni e una proposta
Tredici/C Clio Storia del presente
Vladimiro Satta
Storico contemporaneista e documentarista del Servizio Studi del Senato della Repubblica
Lo storico Vladimiro Satta presenta per i lettori di Democrazia futura “Alcune riflessioni e una proposta” in merito a quella che, con le dovute cautele, definisce “L’ipotesi di un nesso tra le stragi di Ustica e di Bologna”. Il saggio evidenzia dapprima “Le incertezze delle ricostruzioni delle vicende di Ustica e di Bologna, in particolare “In ambito giudiziario, le maggiori incertezze [che] riguardano Ustica per la cui strage “sono rimaste in campo due ipotesi: un missile dall’esterno, o una bomba all’interno”, mentre sono “Meno eclatanti, ma non trascurabili, le aporie tra le ricostruzioni giudiziarie della strage di Bologna [per la quale] Le discrepanze riguardano non i giudizi sugli imputati, quanto l’interpretazione delle loro azioni”. Precisando come “tutte le interpretazioni di Ustica formulabili in base agli elementi oggi disponibili sono a rischio di essere demolite da nuovi sviluppi della controversia bomba/missile, ivi comprese quelle che teorizzano un legame con Bologna” Satta prende poi le mosse dalle versioni dell’ipotesi di legame tra Ustica e Bologna anteriori alla divulgazione delle carte del SISMI, per passare in rassegna, nell’ordine cinque ipotesi: 1) l’intervento di un ministro, Antonio (Toni) Bisaglia, prima occasione in cui si affaccia l’ipotesi di un legame tra i due tragici eventi del 27 giugno e del 2 agosto; 2) il contributo di un altro uomo politico, Giuseppe Zamberletti, sul quale si innestarono anche considerazioni del prefetto Vincenzo Parisi, che indicava la Libia quale mandante di entrambe le stragi; 3) una variante sul ruolo della Libia sostenuta dallo studioso Miguel Gotor; 4) lo scenario descritto dai giudici del “processo-mandanti” di Bologna secondo il quale, dando per scontato che Ustica fosse stato un tragico errore della NATO nel corso di una battaglia, l’attentato di Bologna potrebbe essere stato uno stratagemma per dirottare l’attenzione dall’episodio del 27 giugno; 5) la pista dell’uranio, tracciata in sede giornalistica. In base a quest’analisi preliminare lo studioso contemporaneista e documentarista del Servizio Studi del Senato della Repubblica, “Dopo avere esaminato le ipotesi di un legame tra Ustica e Bologna da tempo sul tappeto [considera giunto] il momento di proporne un’altra che, a differenza delle precedenti, punta l’indice non verso uno Stato sovrano o la NATO, ma verso un’organizzazione combattente palestinese, lo FPLP di George Habbash, notoriamente votata all’esportazione del terrorismo mediorientale in area europea ed effettivamente resasi responsabile di numerosi funesti attentati.
Giova invitare il lettore ad applicare al presente paragrafo un concetto già visto nell’introduzione del presente studio: poiché stavolta il presunto protagonista è un soggetto non dotato di aviazione militare, l’ipotesi che si sta per sviluppare – chiarisce Satta – è compatibile con la tesi che il disastro di Ustica sia stato prodotto da una bomba a bordo del DC9 Itavia, mentre sarebbe da cassare qualora in futuro venisse dimostrato in maniera inoppugnabile che invece fu conseguenza di una battaglia aerea”. In conclusione, lo studioso osserva come “L’originale versione proposta in questo scritto, che pone al centro della scena non più la Libia o altri Stati sovrani o la NATO bensì il FPLP, e indica quale ipotetico movente la temporanea crisi del “lodo Moro”, ha il limite di adattarsi soltanto alla versione dell’incidente di Ustica secondo cui quest’ultimo fu effetto di una bomba a bordo. Non si adatta, invece, all’idea alternativa che l’aereo civile sia stato abbattuto nel corso di una battaglia aerea. Tuttavia – conclude Satta – nell’ambito dell’ipotesi-bomba, l’ipotesi di una matrice palestinese sia per Ustica che per Bologna appare caratterizzata da vari e significativi punti a favore e da nessuno talmente debole da fare dubitare di tutto l’impianto”. Giudicando infine a suo parere opportuno “uno sforzo da parte delle istituzioni per uscire dalla paralizzante incertezza tra bomba all’interno del DC9 e battaglia aerea”, lo studioso lancia la proposta di “creare un organismo terzo per confrontare le due versioni e tentare di superare le divergenze, o quanto meno di ampliare la sfera di ciò che può essere unanimemente riconosciuto, come ad esempio lo è che non ci fu cedimento strutturale [attraverso]Il lavoro di un apposito comitato di saggi”.
11 settembre 2024
La vicinanza temporale tra il disastro aereo del 27 giugno 1980 nei cieli di Ustica e l’attentato del 2 agosto seguente presso la stazione ferroviaria di Bologna, stessa città dalla quale era partito il DC9 Itavia precipitato poche settimane prima, nonché le false rivendicazioni per l’una vicenda e l’altra che in entrambi i casi menzionarono un estremista di destra latitante in realtà estraneo a tutti e due gli episodi, Marco Affatigato, hanno dato motivo di ipotizzare un nesso tra i due episodi. Come vedremo, qualcuno cominciò a pensarci all’indomani della strage di Bologna e l’ipotesi si articolò in molteplici varianti. Si trattò essenzialmente di elaborazioni da parte di politici e di saggisti, le quali ebbero poco successo, nell’insieme.
Nel campo della saggistica, intorno all’idea di un legame tra Ustica e Bologna si registrano consensi e dissensi[1]. Le inchieste giudiziarie, per lo più, si sono incanalate in direzioni che non prospettano collegamenti tra i fatti di Ustica e di Bologna. Il giudice del secondo procedimento per la strage del treno Italicus, anzi, lamentò che
<<l’eventuale nesso fra Ustica e Bologna [fosse] servito da palestra per ogni genere di elaborazioni, alcune delle quali (…) costruite con funzione di sviamento o di ingorgo delle indagini>>[2].
Sono stati più possibilisti i giudici di primo grado del “processo-mandanti” (o processo Bellini) riguardante la strage del 2 agosto 1980, i quali hanno sostenuto che l’ipotesi della connessione
<<non stride con la tesi principale dell’accusa, posto che vi era un evidente interesse della P2 a realizzare la strage di Bologna con la sua manovalanza fascista, per occultare le responsabilità NATO>>
nella vicenda di Ustica[3]. Sta di fatto, comunque, che l’autorità giudiziaria non è pervenuta a risultati soddisfacenti né per Ustica, né per Bologna (e ancora meno per l’attentato dell’Italicus che, essendo risalente al 1974, è sicuramente estraneo agli eventi del 1980 e perciò sarà tralasciato nel presente saggio).
Le incertezze delle ricostruzioni delle vicende di Ustica e di Bologna
In ambito giudiziario, le maggiori incertezze riguardano Ustica. Stabilito che non si trattò di cedimento strutturale, guasto, collisione o errore dei piloti, tempeste, meteoriti e, più tardi, che non reggeva neppure la tesi di una quasi-collisione tale da compromettere l’integrità del DC9, ipotizzata dal Giudice Istruttore nel 1999, sono rimaste in campo due ipotesi: un missile dall’esterno, o una bomba all’interno. Le perizie tecniche non sono risultate dirimenti, anche perché gli esperti si sono talvolta divisi fra loro. Le conclusioni giudiziarie sono state contraddittorie, poiché i giudicati penali stroncano la tesi molto popolare sui media di una battaglia aerea, ma i giudicati civili, al contrario, la accreditano, sebbene non chiariscano chi e perché avrebbe combattuto.
La difficoltà di trovare una sintesi emerse già in fase istruttoria, nel 1998, allorché i Pubblici Ministeri ritennero che secondo i dati dei radar si sarebbe optato per il missile, ma in base ai dati ricavabili dal relitto (ripescato, a 3 mila metri di profondità) era più probabile la bomba, e si tennero equidistanti[4]. Peraltro, le loro valutazioni sui tracciati radar sono contestate dal “partito della bomba” e, specularmente, quelle sui reperti lo sono dal “partito del missile”.
La Cassazione penale, nel 2007, ha affermato che la battaglia aerea
<<è solo frutto della stampa che si è sbizzarrita a trovare scenari di guerra, calda o fredda, un intervento della Libia, la presenza sul posto del suo leader Gheddafi e così via fino a cercare di escogitare un (falso) collegamento con la caduta di un aereo Mig di nazionalità libica avvenuto in data successiva>>;
pertanto, confermando la valutazione dei giudici d’appello, assolse gli imputati, tutti ufficiali dell’Aeronautica militare italiana, accusati di avere nascosto all’autorità politica qualcosa che in realtà non sussisteva. Viceversa, la Cassazione civile, nel 2012, giudicò
<<abbondantemente e congruamente motivata la tesi del missile, accolta dalla Corte di Appello>>
nel processo che ebbe per oggetto le richieste di risarcimenti in favore delle vittime e della compagnia Itavia proprietaria del DC9; conseguentemente, l’autorità governativa venne condannata a pagare. Inoltre, la Cassazione civile ritenne che
<<il giudice di merito non è tenuto a dar conto di ogni argomento contrario alla tesi da lui accolta>>
e perciò giudicò infondato il motivo di ricorso secondo cui la Corte d’Appello
<<non avrebbe dato conto degli elementi che militano in favore della tesi dell’esplosione interna, privilegiando la tesi del missile>>.
L’incertezza circa la causa diretta del disastro complica anche la ricerca dei responsabili; ragionevolmente, se fu missile, il mandante aveva suoi aerei militari e dunque era uno Stato sovrano, ma se fu bomba, l’attentato potrebbe anche essere opera di terroristi comuni[5]. Gli attentati mortali stragisti del 1969 e della prima metà degli anni Settanta erano stati di matrice neofascista italiana, ma questo non significa che dovesse essere per forza fascista e italiana anche una bomba a bordo del Dc9 Itavia (sempre se bomba fu).
Nel 1999 il Giudice Istruttore Rosario Priore, nella sua sentenza/ordinanza, al riguardo scrisse che
<<i progetti stragisti al tempo di Ustica, in quell’80, non apparivano una esclusiva del terrorismo di destra. Essi erano patrimonio precipuo del terrorismo di matrice mediorientale, che pur privilegiando obiettivi israeliani e statunitensi, da un certo tempo in poi, per la precisione dopo il “Settembre Nero” di Giordania, ai primi 70 con la strage di Monaco – in Italia la prima strage di questo genere è Fiumicino 17 dicembre 1973 – decise di esportare il terrore a mezzo stragi indiscriminate sul territorio europeo. E a tal fine ogni organizzazione di rispetto della resistenza palestinese costituì ovunque sul nostro continente, di sicuro in Italia, propri depositi di armi e di esplosivo>>[6].
Su Ustica è formalmente aperta, da più di tre lustri, un’ulteriore inchiesta giudiziaria penale[7], che al momento non si può prevedere se finirà con rinvii a giudizio o con un’archiviazione.
Meno eclatanti, ma non trascurabili, le aporie tra le ricostruzioni giudiziarie della strage di Bologna. Le discrepanze riguardano non i giudizi sugli imputati, quanto l’interpretazione delle loro azioni. Negli anni Novanta, dopo un’iniziale altalena di verdetti e un drastico sfoltimento della lista degli imputati, si ebbero sentenze penali definitive a carico dei neofascisti dei NAR Giusva Fioravanti e Francesca Mambro, condannati anche a pagare ingentissimi risarcimenti; più tardi, stessa sorte toccò ad un altro NAR, Luigi Ciavardini, e in tempi recenti sono stati intrapresi due ulteriori procedimenti, l’uno contro il NAR Gilberto Cavallini e l’altro contro Paolo Bellini, personaggio che aveva militato in un’altra organizzazione neofascista, Avanguardia Nazionale, sciolta nel 1976, prima di rendersi latitante sotto falsa identità[8].
I due distinti procedimenti più recenti hanno portato entrambi alla condanna degli imputati in primo e in secondo grado, e con ogni probabilità si andrà in Cassazione. Bellini è stato considerato dai giudici un esecutore, prezzolato, e il processo che lo riguarda è noto come “processo-mandanti”, perché mira soprattutto a trovare qualcuno che avesse un movente plausibile per compiere la strage, a differenza dei NAR. Si è puntato su Licio Gelli e altri piduisti defunti, ma le motivazioni della sentenza di primo grado hanno mancato l’obbiettivo storico-politico. Inoltre, le motivazioni del “processo-mandanti” di primo grado non sono affatto complementari rispetto a quelle del quasi coevo processo Cavallini. Infatti, secondo le motivazioni della sentenza d’appello del processo Cavallini, pubblicate a febbraio 2024,
<<il fine che muoveva i Nar era strettamente politico eversivo ed aveva come mira le strutture dello Stato democratico e la radicale distruzione della società; era quindi una strategia di radicale destabilizzazione del ‘sistema’ (…) sotto il termine spontaneismo vi era una consapevole strategia politica volta all’annientamento del sistema borghese >>.
L’interpretazione di questi giudici contrasta con quella dei loro colleghi dell’altro procedimento, il cosiddetto “processo-mandanti”, i quali invece attribuiscono agli ideatori dell’attentato la volontà di destabilizzare sì, ma per stabilizzare. La difformità non è casuale: è surreale immaginare il capo della potente loggia P2 Licio Gelli, il suo sodale Umberto Ortolani, l’alto funzionario statale Federico Umberto D’Amato e il direttore di un periodico che manco a farlo apposta si intitolava Il Borghese, Mario Tedeschi, nei panni di stragisti disperatamente all’assalto del ‘sistema’. Resta da vedere, naturalmente, se le future motivazioni del “processo-mandanti”, tra qualche mese, saranno più convincenti e coerenti con quelle dei processi contro i NAR. Finora, ciò che più accomuna i processi ai NAR e il “processo-mandanti” è che, come riconoscono i giudici di Cavallini,
<<manc[a]no prove di passaggi diretti relativi alla dazione di somme di denaro a chi fu esecutore della strage>>.
All’indomani della strage di Bologna, subito riconosciuta come terroristica, prevalse nettamente la tesi della matrice italiana e fascista, e si può dire che i giudici si siano sempre mossi in questa direzione. Ad agosto 1980, una delle poche voci fuori dal coro fu quella di Antonio Padellaro, cronista del Corriere della Sera, che diede largo spazio alle ipotesi di matrici internazionali e in particolare mediorientali. L’8 agosto Padellaro affermò che
<<la pista “internazionale” non merita[va] di essere accantonata come frutto di suggestioni politiche>>[9].
Una peculiarità di questo articolo è che l’autore menzionava non soltanto i campi paramilitari in Medio Oriente, cosa che facevano anche altri e talvolta lo facevano persino a sproposito, ma anche
<<la vicenda dei missili palestinesi che Daniele Pifano e i suoi amici portavano a spasso>> per l’Italia, <<una delle piste su cui si lavora>>.
Ciò fa di Padellaro un precursore (involontario?) della cosiddetta pista palestinese, di cui si tornerà a parlare più avanti in questo saggio.
In sede saggistica e storiografica, oggi Ustica e Bologna sono materie fortemente controverse.
Di nuovo, secondo alcuni Ustica fu provocata da una battaglia aerea mentre secondo altri da una bomba collocata all’interno dell’aereo. Relativamente a Bologna, taluni concordano con le costruzioni accusatorie della magistratura felsinea, mentre altri le contestano e ritengono più probabile una matrice mediorientale.
Contenuti della presente ricerca
Essendo questo il panorama, ovvero in mancanza di conclusioni incontrovertibili, c’è spazio per le ricerche. Con il presente scritto, intendo aggiornare la riflessione sull’idea di un collegamento tra Ustica e Bologna. Alla luce di conoscenze acquisite grazie alla documentazione di fonte SISMI resa disponibile di recente (cui altra ne seguirà, la desecretazione è in corso), la possibilità di un collegamento tra i due episodi si ripropone con contenuti e lineamenti nuovi, scevra di quelle debolezze o criticità di cui le formulazioni precedenti risentivano. Beninteso, tutte le interpretazioni di Ustica formulabili in base agli elementi oggi disponibili sono a rischio di essere demolite da nuovi sviluppi della controversia bomba/missile, ivi comprese quelle che teorizzano un legame con Bologna. Tale precarietà non significa che ci si debba astenere dall’affrontare l’argomento, ma induce alla cautela e richiede piena disponibilità a rivedere le proprie elaborazioni un domani, se ve ne saranno buone ragioni.
Nell’esposizione, si prenderanno le mosse dalle versioni dell’ipotesi di legame tra Ustica e Bologna anteriori alla divulgazione delle carte del SISMI. Si passeranno in rassegna, nell’ordine:
- l’intervento di un ministro, Antonio (Toni) Bisaglia, durante una riunione ad alto livello svoltasi il 5 agosto 1980, che ad oggi sembra essere la prima occasione in cui si affacciò l’ipotesi di un legame tra i due tragici eventi del 27 giugno e del 2 agosto, sia pure in termini vaghi;
- il contributo di un altro uomo politico, Giuseppe Zamberletti, sul quale si innestarono anche considerazioni del prefetto Vincenzo Parisi, che indicava la Libia quale mandante di entrambe le stragi. Finora, la teoria Zamberletti–Parisi è la più rilevante in materia e, pertanto, le si darà ampio spazio;
- una variante sul ruolo della Libia sostenuta dallo studioso Miguel Gotor;
- lo scenario descritto dai giudici del “processo-mandanti” di Bologna – non ancora giunto in Cassazione – e da altri secondo il quale, dando per scontato che Ustica fosse stato un tragico errore della NATO nel corso di una battaglia, l’attentato di Bologna potrebbe essere stato uno stratagemma per dirottare l’attenzione dall’episodio del 27 giugno;
- la pista dell’uranio, tracciata in sede giornalistica.
Successivamente, si formulerà compiutamente la nuova ipotesi, secondo la quale Ustica e Bologna potrebbero essere state entrambe conseguenze della crisi del “lodo Moro” che si era aperta verso fine 1979. Seguiranno brevi conclusioni e una proposta di istituzione di un comitato di saggi, rivolta a superare, per quanto possibile, la rigida contrapposizione tra fautori delle tesi della battaglia aerea e fautori della tesi di una bomba a bordo che, attualmente, nuoce agli sforzi di fare progressi nella conoscenza di ciò che avvenne a Ustica.
Bisaglia e la riunione del 5 agosto 1980
La mattina del 5 agosto 1980, a Palazzo Chigi, si tenne una riunione congiunta del CIIS (Comitato Interministeriale per le Informazioni e la Sicurezza) e del CESIS (Comitato Esecutivo per i Servizi di Informazione e Sicurezza), presieduta dal Presidente del Consiglio Cossiga. In totale, i partecipanti furono una ventina.
L’incontro era stato convocato – come si legge nel verbale –
<<per fare il punto sulla situazione creatasi a seguito del tragico episodio verificatosi alla stazione ferroviaria di Bologna>>.
È necessario puntualizzare che il verbale della riunione, cercato dalla magistratura inquirente, rimase per lunghi anni introvabile e soltanto nel 1995 saltò fuori un testo che, stranamente, non reca alcuna traccia delle gravi minacce palestinesi nei confronti dell’Italia susseguitesi nel corso del 1980[10].
Il Capo della Polizia, il Comandante Generale dei Carabinieri e i direttori di SISDE e SISMI diedero informazioni che non delineavano nessi tra Bologna e Ustica. Seguirono numerosi interventi, tra cui quello di Antonio Bisaglia, Ministro dell’Industria. Stando al verbale, fu lui a
<<sottolinea[re] la possibilità di un collegamento tra l’attentato di Bologna e l’incidente, accaduto alla fine dello scorso giugno, ad un DC9 dell’Itavia in viaggio da Bologna a Palermo, incidente che, secondo i primi accertamenti richiamati dall’on. Formica, potrebbe essere dovuto ad una collisione in volo oppure ad una forte esplosione>> (pagina 6).
Quindi, Bisaglia non indicava i responsabili[11], non chiariva di che tipo fosse l’eventuale legame e non si sbilanciava troppo circa la dinamica dell’incidente di Ustica, sebbene il riferimento a Rino Formica, che sin dai primi giorni dopo la caduta del DC9 si era convinto dell’ipotesi del missile, suggerisca che anche secondo lui quest’ultima fosse la più credibile.
In un secondo intervento, Bisaglia aggiunse che doveva
<<essere tenuta nella massima considerazione>> l’ipotesi <<relativa alla responsabilità dell’eversione di destra>> (pagina 7),
la quale, come è noto, era stata data per certa da Francesco Cossiga davanti al Senato il 4 agosto e fu da lui ribadita in chiusura della riunione congiunta del 5 agosto. Formica era presente alla riunione, ma non riprese lo spunto del primo intervento di Bisaglia. Nessuno dei partecipanti alla riunione lo riprese, e nessuno nemmeno lo ricorda: il giudice istruttore Priore, che negli anni Novanta interrogò tutti i partecipanti della riunione del 5 agosto 1980 ancora in vita, registrò un’amnesia collettiva su questo punto. La stampa, nel 1995, se ne accorse. Andrea Purgatori, sul Corriere della Sera, scrisse che
<<a leggere tra le righe e le parole>> del verbale rinvenuto, <<il sospetto più forte si concentra sulla Libia del colonnello Gheddafi. (…) Tuttavia, nel comunicato ufficiale che compare sui giornali di mercoledì 6 agosto, la pista libica svanisce. Come il collegamento con la strage di Ustica>>,
perciò si stupì della disattenzione e dell’oblìo che per tanti anni avevano messo in disparte quel filone[12]. Daria Lucca, del quotidiano Il Manifesto, si domandò:
<<che cosa è successo a Ustica di tanto inconfessabile da costringere un intero governo a negare il collegamento con Bologna?>>[13]
Tornando al verbale e andando oltre i due interventi di Bisaglia, Rino Formica compare a pagina 8:
<<a seguito di una richiesta formulata al riguardo dall’on. Formica, il generale Santovito ha precisato che nel corso delle indagini relative alle uccisioni di alcuni cittadini libici in Italia, sono stati arrestati nove elementi ritenuti gli autori materiali degli attentati e sono stati espulsi venti cittadini libici>>.
La richiesta di Formica parrebbe incongrua, a meno che la Libia non fosse stata tirata in ballo nelle fasi precedenti della discussione. Scorrendo il verbale dall’inizio, la Libia risulta essere già stata menzionata, sì, ma soltanto di sfuggita, per altro motivo, a pagina 5:
<<qualche giorno fa a Bengasi c’è stata un’esplosione analogia in un deposito bagagli>>.
Una menzione inidonea a spiegare la successiva richiesta di Formica.
Andando avanti ulteriormente, la Libia riappare a pagina 9 ma, di nuovo, in forma apparentemente estranea allo spunto di Bisaglia:
<<Per il problema Libia, l’on. Rognoni ha avuto un incontro con il Ministro dell’Interno della Germania Federale Baum, che ha suggerito l’opportunità di un colloquio con il [libico] Col. Belgassem, con il quale Baum si era incontrato in precedenza>>.
La tesi Zamberletti-Parisi: l’ombra di Gheddafi
Si deve a Giuseppe Zamberletti e a Vincenzo Parisi la tesi più argomentata tra quelle che hanno accomunato Ustica e Bologna. Nella loro visione, colpevole di entrambi gli eventi sarebbe stata la Libia di Mu’ammar Gheddafi, la quale avrebbe avuto un movente preciso. Zamberletti, inoltre, riteneva che potesse esserci stata una sinergia tra Libia e neofascisti italiani[14]. Invero, egli non addusse elementi concreti circa il coinvolgimento dei fascisti ed è presumibile che, sotto l’influenza della piega presa dalle indagini sull’attentato di Bologna, abbia associato questi ultimi ai libici semplicemente per amalgamare le sue vedute con quelle degli inquirenti di Bologna.
Il democristiano Zamberletti, nel 1980, era Sottosegretario agli Esteri in un governo guidato da Francesco Cossiga. Alla notizia della strage di Bologna, ebbe il sospetto che si fosse trattato di una vendetta della Libia a causa di un accordo tra Italia e Malta, siglato proprio il 2 agosto 1980, sgradito a Tripoli.
L’abbinamento tra Ustica e Bologna, a rigore, fu opera più di Vincenzo Parisi che di Zamberletti. Infatti, Zamberletti, nel 1984, aveva parlato della questione con Parisi, da poco diventato direttore del SISDE.
Parisi, il quale non aveva mai sentito parlare dell’ipotesi di Zamberletti, la ritenne comunque interessante e vi diede un suo personale contributo. Egli, considerato che l’ostilità libica all’accordo italo-maltese era stata rappresentata ai governanti di Roma qualche tempo prima del disastro aereo del 27 giugno 1980 e che un attentato nello stesso giorno della firma dell’accordo bilaterale sarebbe risultato tardivo rispetto all’asserito obbiettivo libico di opporvisi, ne dedusse che Ustica era stato il primo di due colpi e che Bologna era stato il secondo, una sorta di ripetizione del sanguinoso primo messaggio, attuata giacché l’Italia non aveva recepito il segnale -o aveva fatto finta di nulla- ed era andata avanti nelle trattative con Malta, conclusesi positivamente il 2 agosto[15].
Parisi, negli anni Novanta, ribadì alla magistratura inquirente e poi alla Commissione Stragi le sue opinioni. Il 22 giugno 1993 il prefetto, che nel frattempo aveva lasciato il SISDE ed era passato al vertice della Direzione Nazionale della Pubblica Sicurezza, in seduta pubblica ricevette una domanda da parte di Zamberletti, membro dell’organismo parlamentare, sulla possibilità di un nesso tra Ustica e Bologna. La domanda non fu una sorpresa, per Parisi. Zamberletti, nel suo libro, afferma che Parisi
<<se l’aspettava. Forse l’aveva sollecitata. Francesco Cossiga me ne aveva parlato il giorno prima. “Puoi fare la domanda su Ustica a Parisi”>>[16].
Davanti alla domanda fattagli da Zamberletti in Commissione, Parisi dapprima divagò:
<< Non ho moltissime cose da dire. Penso che il riferimento del senatore Zamberletti riguardi soprattutto gli spunti venuti da rivelazioni di sedicenti appartenenti ai servizi segreti sovietici>>.
Ma Zamberletti intendeva tutt’altro. Parisi ne era ben conscio, e più avanti andò al punto:
<<in una mia audizione in questa sede e in una audizione da parte del giudice Priore, assistito dal pubblico ministero Salvi, da un punto di vista qualitativo non avevo escluso la possibilità che l’episodio dell’abbattimento dell’aereo di Ustica potesse rappresentare un segnale non percepito. Quando i messaggi non sono percepiti vengono replicati e reiterati finché non si capisce.
Quindi, potrebbe essersi trattato il 2 agosto, purtroppo, di una tragica replica stragistica>>[17].
Il Giudice Istruttore Rosario Priore, che sentì Parisi due volte e che ovviamente venne a conoscenza anche delle audizioni del prefetto in Commissione Stragi, definì <<lucidissima>> l’analisi del teste, al punto da ritenere
<<che il prefetto avesse saputo o percepito con le sue conoscenze e intelligenza fatti e circostanze, di cui con ogni probabilità non poteva apportare prova>>[18].
Nonostante ciò, però, Priore nel 1999 scartò l’ipotesi di un legame tra Ustica e Bologna.
A suo parere,
<<le somiglianze tra i due eventi, ben vagliate, tuttavia non sono così solide come si vorrebbe>>[19].
La sua maggiore perplessità era che tra le tracce di esplosivo nell’aereo di Ustica e quello di Bologna
<<v’è solo parziale coincidenza>>[20].
È discutibile che questo sia un valido motivo per escludere l’ipotesi, e le oltre dieci pagine seguenti spese da Priore per confrontare gli esplosivi, in larga parte attingendo dai processi per Bologna, non valgono a calare il sipario. Oltre tutto, dopo il 1999 ci sono state altre perizie esplosivistiche, che hanno cambiato sensibilmente le conclusioni sulle caratteristiche dell’ordigno di Bologna. Inoltre, come si è accennato in una delle note precedenti, in effetti Priore dopo avere chiuso l’istruttoria ha rivalutato l’ipotesi Zamberletti-Parisi, e nella citata intervista del 13 maggio 2016 ha dichiarato <<plausibile>> che il mandante di Ustica e di Bologna fosse Gheddafi, per la questione di Malta.
Paolo Bolognesi, presidente dell’associazione dei familiari delle vittime della strage di Bologna, invece ha liquidato la teoria di Parisi in poche parole:
<<il prefetto Parisi […] con il discorso di voler collegare Ustica con Bologna ha portato avanti quantomeno un grosso depistaggio mediatico>>[21].
In cosa consistevano gli accordi tra Italia e Malta che, secondo Zamberletti e Parisi, costituirebbero il movente di una doppia strage ad opera dei libici?
Malta, che per un secolo e mezzo aveva fatto parte dell’impero britannico, era uscita da quest’ultimo e nel 1974 era divenuta una repubblica autonoma. La partenza dall’isola degli ultimi militari britannici avvenne nel 1979. Malta voleva essere neutrale e aveva bisogno di assistenza, anche a fini di sviluppo economico. Alcuni Paesi mediterranei si erano mostrati interessati e si era prospettato così un accordo multilaterale secondo cui Malta sarebbe stata protetta e aiutata congiuntamente da quattro di essi, due europei e due africani: Francia, Italia, Algeria e Libia. Tuttavia, insorsero complicazioni che fecero saltare la soluzione multilaterale. La Libia continuò ad avere ambizioni sull’isola ma, per motivi legati ad interessi petroliferi e a contenziosi sulla delimitazione delle acque territoriali, Malta preferì sganciarsi da Tripoli e rivolgersi all’Italia, la quale decise di cogliere l’occasione[22]. Si arrivò così agli accordi bilaterali del 2 agosto 1980 tra Italia e Repubblica di Malta. Essi prevedevano una dichiarazione di neutralità dell’isola, la garanzia italiana di tale status con ogni mezzo politico e diplomatico, <<non esclusa l’assistenza militare>>, nonché assistenza finanziaria, economica e tecnica per mezzo politico-militare italiana a tutela della sovranità e della neutralità maltese[23].
Zamberletti, in qualità di Sottosegretario agli Esteri, era stato il principale negoziatore di parte italiana nell’intesa con Malta[24], ed era personalmente testimone del fatto che, nei mesi precedenti alla firma, la Libia aveva riservatamente comunicato alle autorità di Roma la propria contrarietà. Ai primi di giugno del 1980, una delegazione libica si era fatta ricevere da Zamberletti per chiedere formalmente al Governo italiano di non concludere l’accordo bilaterale con la Repubblica di Malta che si stava profilando. Inoltre, Zamberletti narra che in primavera il direttore del SISMI, Giuseppe Santovito, proprio per via dell’atteggiamento libico, aveva messo in guardia Zamberletti sulla pericolosità dell’operazione politico-diplomatica in preparazione. Ecco come Zamberletti riporta le parole di Santovito:
<<Come va questa storia di Malta? (…) ma Lei ha proprio deciso di grattare la schiena alla tigre? Abbiamo già irritato Gheddafi pochi mesi fa con la decisione di piazzare i missili a Comiso (…) Ora con l’accordo con La Valletta ci prepariamo a buttare fuori i libici da Malta. Non Le pare un po’ troppo? (…) i nostri rapporti economici sono eccellenti (…) sono buoni anche sul versante della sicurezza. [Gheddafi] tiene rapporti diretti e indiretti con quasi tutte le centrali del terrorismo arabo ed europeo, di sinistra e di destra. Per noi, guastare senza una ragione seria questi rapporti, sarebbe pericoloso>>[25].
Al che Zamberletti avrebbe replicato:
<<Generale, sta a Lei valutare i rischi e neutralizzarli>>
e Santovito avrebbe concluso:
<<Lei sta facendo una conversione a U sull’autostrada in un momento di grande traffico […] quasi certamente succederanno guai. Quali e di che tipo non lo so>>[26].
Per questo Zamberletti, che nel 1995 espose la sua tesi su Ustica e Bologna in un volume pubblicato nel 1995, lo intitolò La minaccia e la vendetta.
Dopo la strage di Bologna, Zamberletti mise al corrente dei suoi dubbi Cossiga e parlò di nuovo con Santovito. Nel volume, Zamberletti afferma di avere avuto l’impressione che Cossiga condividesse il suo sospetto[27].
Tuttavia, Cossiga, al Giudice Istruttore Priore, il 30 luglio 1992 disse che all’epoca nessuno
<<mise in collegamento [la strage di Bologna] con l’aereo di Ustica>>
e nel marzo 1995 dichiarò di non avere fatto caso all’intervento di Bisaglia del 5 agosto 1980, altrimenti
<<non avrebbe successivamente mancato>> di collegarlo alla tesi Zamberletti/Parisi avanzata <<molti anni più tardi>>[28].
Cossiga, dunque, si era dimenticato pure del colloquio con Zamberletti a breve distanza dai fatti, di cui il sottosegretario parlò ne La minaccia e la vendetta? E i due articoli di prima pagina del Corriere della Sera del 5 e 6 agosto 1980 gli erano sfuggiti? Si noti, comunque, che fra le dichiarazioni rese nel 1992 da Cossiga a Priore ce n’è una sui rapporti tra Italia e Libia di enorme importanza:
<<la politica italiana nei confronti della Libia è quella di tenere ogni cosa ad un livello piuttosto basso e di non creare mai occasioni di scontro per la massa enorme di interessi economici>>,
una linea politica che l’allora Presidente del Consiglio personalmente non condivideva
<<ma certamente [era] la linea politica del Governo […] dietro c’è tutta una massa di lavori che poi vogliono dire operai, salari…, quindi molte volte la mia purezza andava a scontrarsi con una concretezza che era più morale, forse, della mia purezza>>[29].
Quanto a Santovito, Zamberletti scrive:
<<sembra in imbarazzo quando gli ricordo l’ammonimento che mi ha rivolto […]. Santovito ora minimizza. Dice che non ci sono proprio elementi per dare un significato particolare a questa coincidenza. Che non è il caso di prendere alla lettera tutte le cose che si sono dette sulle conseguenze dell’accordo [tra Italia e Malta]>>[30].
L’atteggiamento di Santovito dopo il 2 agosto 1980, quindi, era incoerente con quello da lui tenuto alcune settimane addietro, come rileva Zamberletti, ma bisogna aggiungere che è in armonia con la linea complessiva dell’Italia verso la Libia descritta da Cossiga. Le autorità del nostro Paese si preoccupavano sistematicamente di non entrare in conflitto con la Libia, a prescindere dall’accertamento di cosa di male quest’ultima avesse o non avesse davvero fatto: nei casi di Ustica e Bologna, ciò poteva significare allontanare i sospetti dalla Libia anche senza sapere se quest’ultima fosse colpevole.
Del resto, si era fatto a quel modo anche in altre circostanze. Con riferimento alla Libia, nel gennaio 1974, allorché il quotidiano londinese Times aveva ventilato l’ipotesi di un coinvolgimento di Gheddafi nella strage all’aeroporto di Fiumicino avvenuta a dicembre 1973, Aldo Moro, di fronte alla Commissione Esteri del Senato gettò acqua sul fuoco, in nome di interessi superiori:
<<è importante, dunque, non far prevalere dubbi, ragioni emotive, i quali potrebbero fermarci nella strada che abbiamo cominciato a battere>>[31].
Quando si aveva il dubbio che potesse esserci di mezzo un alleato, si faceva questo e altro. All’indomani della strage di Peteano del 1972, fatta dal fascista Vincenzo Vinciguerra e da altri suoi camerati, si era depistato per tenere le indagini alla larga dall’organizzazione segreta Stay Behind nel timore che l’esplosivo provenisse da un suo deposito e perciò essa fosse coinvolta, mentre in realtà non era così.
Indubbiamente, alla luce di quello che si è visto fin qui, la ricostruzione Zamberletti-Parisi è dotata di riscontri, possiede una sua logica. Contribuisce alla sua plausibilità anche la pessima reputazione della Libia di Gheddafi, uno “Stato-canaglia” che più tardi ammise la responsabilità dell’abbattimento di un aereo civile avvenuto nei cieli di Lockerbie nel 1988 (ammissione interessata, peraltro, perché consentì al Paese arabo di essere esonerato dalle sanzioni che la comunità internazionale gli aveva imposto a causa della sua mancanza di collaborazione alle indagini).
Il problema è: ci sono elementi contro la tesi di Zamberletti-Parisi? In caso affermativo, gli elementi a favore della tesi del sottosegretario e del prefetto possono essere giudicati preponderanti rispetto agli elementi che hanno valenza opposta?
La citata sentenza/ordinanza del procedimento Italicus-bis diede atto a Zamberletti di avere svolto un ragionamento
<<connotato da una particolare forza persuasiva>>,
ma lo bocciò, asserendo che la strage di Bologna era
<<certamente un evento maturato all’interno degli ambienti dell’eversione di destra>>[32].
Un rigetto aprioristico, questo, che in quanto tale non persuade e che, a rigore, sbarra la porta all’interpretazione di Bologna come replica di Ustica, ma non pregiudica l’interpretazione della sola Ustica, purché si separi il fatto del 27 giugno da quello del 2 agosto. Tuttavia, a ben vedere, elementi a sfavore dell’ipotesi che la matrice dei due episodi fosse libica ci sono. A cominciare dal movente, che era meno forte di quanto sembrasse a Zamberletti.
Guardiamo all’insieme dei rapporti tra Roma e Tripoli invece di concentrare l’attenzione unicamente sulla questione maltese. La Libia aveva petrolio, lavori per le imprese italiane, una partecipazione azionaria nella FIAT (a partire da fine 1976), potere sulla comunità dei nostri connazionali che vivevano sul suo territorio, una guardia costiera in grado di intervenire a piacimento nei confronti dei pescherecci siciliani. D’altro canto, il lavoro delle imprese italiane in Libia era importante per lo sviluppo del Paese arabo, il regime avanzava pretese di risarcimenti relativi al passato[33] e Gheddafi aveva il problema di un gruppo di dissidenti esuli in Italia, che potevano essere colpiti dagli agenti del regime di Tripoli soltanto grazie all’accondiscendenza – o addirittura collaborazione – delle autorità del nostro Paese[34]. E si potrebbe andare avanti, nella descrizione della <<massa enorme di interessi>> evocata da Cossiga.
Un trattato per la protezione di Malta valeva il rischio di compromettere le relazioni con l’Italia? È evidente, inoltre, che all’occorrenza ciascuno degli interessi suddetti poteva essere trasformato da Tripoli in una carta da giocare per fare pressione su Roma[35]. Ancora in tema di intreccio di interessi tra Italia e Libia, da notare che la FIAT all’indomani di Ustica contattò i libici. Il dirigente FIAT Cesare Romiti testimoniò in aula:
<<Li avevo sentiti, naturalmente, subito dopo l’incidente di Ustica […]. Temevamo tutti fosse stato un missile. Uno sconfinamento, una battaglia segreta nei cieli, l’arma che parte e colpisce l’aereo civile. Mi rassicurarono>>[36].
Le rassicurazioni da parte di un soggetto sospettato valgono fino a un certo punto ma, come è stato osservato, incrinano le posteriori affermazioni di Gheddafi secondo cui a Ustica gli americani avrebbero tentato di sbarazzarsi di lui con un missile e aprono la porta ad altri scenari[37]: tra questi, a mio parere, che la Libia sapesse chi era stato davvero, perché era abbastanza vicina agli attentatori per saperlo, e non lo abbia rivelato.
Un altro motivo di perplessità circa la tesi di Zamberletti-Parisi è che la Libia reagì apertamente alle intese tra Italia e Malta il 21 agosto 1980, inviando unità militari a disturbare le attività di trivellazione nelle acque della secca di Medina avviate dalla Saipem II del gruppo ENI. Il ministro della Difesa Lelio Lagorio, a sua volta, mandò corvette fregate italiane in zona e i libici desistettero dalla loro azione[38].
La diplomazia italiana, peraltro, fu attenta a minimizzare l’accaduto alla secca di Medina, al fine di salvaguardare l’insieme dei rapporti tra Roma e Tripoli[39]. Questo episodio attesta che effettivamente la Libia era irritata dall’alleanza italo-maltese e dalle sue ricadute in campo economico ed energetico, ma non si spingeva al di là di una provocazione relativamente modesta, tale da non alterare le relazioni italo-libiche in maniera irreversibile. La provocazione alla secca di Medina fu proporzionata al livello di importanza del contenzioso per Malta, verrebbe da dire. Qualora Ustica e Bologna fossero state effettivamente due gravissimi attentati libici contro l’Italia a causa degli accordi del 2 agosto, perché la Libia, sempre a causa della questione maltese, il 21 dello stesso mese avrebbe compiuto un gesto di ben più basso profilo nella secca di Medina?
Infine, nell’ipotesi Zamberletti-Parisi la Libia avrebbe inferto all’Italia due colpi tremendi, mentre non avrebbe tenuto alcun comportamento ostile nei confronti dell’altro contraente degli accordi del 2 agosto, cioè Malta. È difficile pensare ad una disparità di trattamento così radicale, pur tenendo conto che le maniere forti contro l’isola avrebbero potuto precludere un’eventuale futura riapertura di spazi per la Libia che, nell’estate 1980, non era niente affatto certa.
La variante Gotor
In una serie di articoli pubblicati dal settimanale L’Espresso tra il 21 giugno e il 19 luglio 2020[40] e, più tardi, in un volume sulla storia italiana degli anni Settanta[41], Miguel Gotor ha asserito che, il giorno della caduta del DC9 nei cieli di Ustica, la Francia e/o gli Stati Uniti avevano tentato di uccidere Gheddafi presumendo che egli fosse in volo nella zona, ma il leader libico si era salvato grazie ad un avvertimento da parte del SISMI e, a seguito dell’accaduto, aveva tratto la conclusione che
<<i servizi italiani, lungi dal proteggerlo come avevano fatto fino a quel momento, avevano in realtà favorito le condizioni per una sua eliminazione>>.
Pertanto, Gheddafi avrebbe deciso una gravissima rappresaglia nei confronti del nostro Paese, consistita nella strage del 2 agosto 1980[42]. Di passaggio, si noti che la versione di Gotor è parecchio somigliante alle dichiarazioni rese negli anni Novanta al giudice istruttore Priore da un boss mafioso, Francesco Di Carlo, ciclicamente riesumate dalla stampa[43].
Tornando a Gotor, quanto all’esecuzione della strage di Bologna, la Libia si sarebbe avvalsa di neofascisti italiani. Egli sostiene che
<<sul piano storico, non vi è alcuna contraddizione pratica e logica l’azione di una manovalanza neofascista, filoaraba perché antisemita, e gli ispiratori libici della strage di Bologna>> i quali <<si servirono di ciò che trovarono di ferocemente ideologizzato e disponibile>>[44].
Le contraddizioni e le debolezze di tale ricostruzione, però, si profilano già molto prima che l’argomentazione di Gotor arrivi alle conclusioni. Innanzi tutto, fino ad oggi (estate 2024), come si legge nel libro di Gotor uscito nel 2022:
<<le cause della strage di Ustica non sono state mai giudiziariamente accertate in modo conclusivo>>[45].
Dunque, non è chiaro perché l’ipotesi della bomba dovrebbe essere una <<favoletta>>[46], né si capisce perché
<<l’ipotesi più probabile>> sarebbe <<quella di un passaggio ravvicinato di un aereo a velocità supersonica che abbia potuto provocare il collasso e lo schianto della fusoliera>>[47];
la teoria della quasi-collisione, lanciata nel 1999 dal giudice Priore, alla luce delle crescenti difficoltà nel sostenere che la causa fu un missile, è stata demolita in tribunale, e non si conoscono sciagure né prima né dopo le quali siano dovute ad una dinamica del genere.
Che davvero Gheddafi avesse originariamente programmato di transitare in volo nella zona di Ustica la sera del 27 giugno 1980 e cambiato idea all’ultimo momento, andrebbe provato, e attualmente non lo è affatto. Nel 1999, il giudice istruttore Rosario Priore affermò che, sebbene Gheddafi abbia
<<sempre sostenuto che quella sera del 1980 si era puntato contro di lui>>,
Tuttavia
<<non sono state mai addotte prove in tal senso>>,
pur richieste dall’Italia[48].
Semmai, anzi, da tempo sono noti documenti che destituiscono di fondamento le accuse di Gheddafi[49]. In ogni caso, è un’illazione l’attribuzione alla Francia e/o agli Stati Uniti d’America di un piano omicida, da attuare proprio il 27 giugno 1980, talmente maldestro da non prevedere neppure un controllo per verificare se effettivamente il Capo di Stato libico avesse preso l’aereo da abbattere oppure no.
Il comportamento di Gheddafi, qualora si fosse formato i convincimenti immaginati da Gotor, sarebbe stato profondamente illogico: la Libia avrebbe dovuto essere riconoscente verso l’Italia che lo aveva salvato, lungi dal vendicarsi. Persino nel caso in cui Gheddafi avesse imputato a
<<una fazione della nostra intelligence>> [di avere tramato con altri Paesi per farlo uccidere n.d.r.], <<egli ben conosceva la costitutiva divisione nei servizi segreti italiani tra un campo fiduciario filoisraeliano e uno filoarabo>>[50]
(citazione che traggo da un articolo scritto dallo stesso Gotor, il 28 giugno 2020), perciò eventualmente la sua ritorsione avrebbe colpito la fazione sua nemica, la Francia e gli Stati Uniti d’America, non la popolazione civile italiana in vacanza il 2 agosto. Inoltre, sul piano motivazionale, vale quanto si è detto in precedenza commentando la versione di Zamberletti. L’ingente quantità di rapporti economici, finanziari ed energetici tra Roma e Tripoli nonché l’accondiscendenza italiana rispetto alla caccia contro i dissidenti libici fuggiti in Italia, tutti aspetti delle relazioni italo-libiche illustrati doviziosamente da Gotor nei suoi articoli, ostano contro l’idea che il 2 agosto 1980 Gheddafi abbia ordinato un atto tale da rischiare di mandare all’aria tutto questo.
Insomma, Gotor si confuta da solo. Chi continua a cercare un mandante della strage di Bologna fornito di un movente convincente, cui aggregare i fascisti in veste di esecutori, non riesce a identificarlo in Gheddafi.
Bologna fu un mezzo per distogliere l’attenzione da Ustica?
Come si è accennato all’inizio di questo scritto, la sentenza di primo grado del “processo-mandanti” per la strage di Bologna ritiene plausibile che gli attentatori abbiano avuto tra i loro scopi anche l’occultamento della colpevolezza della NATO riguardo all’abbattimento del DC9 di Ustica[51].
Si noti che i giudici bolognesi dichiarano apertamente, in una nota a pag. 605, che in relazione a Ustica essi muovono
<<dalle notorie conclusioni della sentenza ordinanza del 1999 del giudice Priore e dalle conclusioni della Cassazione Civile sulle responsabilità civili>>,
ovvero non tengono in nessun conto le sentenze penali di primo grado, secondo grado e Cassazione le quali, come si è documentato, escludono categoricamente che a Ustica ci sia stata battaglia aerea.
La Corte d’Assise di Bologna si richiama piuttosto alla <<opinione qualificata>> di Vincenzo Vinciguerra[52], stragista fascista autore della strage di Peteano del 31 maggio 1972, il quale all’epoca di Ustica e di Bologna era in galera da un anno, e non ne è più uscito[53]. A detta di Vinciguerra, nel 1980
<<il Governo italiano ha due problemi da risolvere, uno è la costruzione della base di Comiso, ma l’altro, fondamentale in quel momento, è l’installazione dei missili Cruise e Pershing in Italia, in funzione antisovietica: se la strage di Ustica, se la verità sulla strage di Ustica si fosse saputa, se si fosse conosciuta una partecipazione anche indiretta di caccia americani in quel cielo, nell’abbattimento del nostro aereo, tutto questo il Governo italiano come avrebbe potuto farlo? […] la strategia americana, militare e politica, sarebbe andata in imbarazzo, in difficoltà […] dopo la strage di Bologna, di Ustica se ne ricominciò a parlare nel 1986. La strage di Bologna ha offuscato, ha offuscato tutto ciò che riguardava Ustica>>[54].
La Corte ha preso per buono tutto ciò e, essendo consapevole che tale accostamento tra Ustica e Bologna
<<potrebbe essere ritenuto in contraddizione rispetto al fatto che l’attentato terroristico [alla stazione di Bologna] fosse stato concepito molti mesi prima rispetto alla sua attuazione concreta>>,
ha giudicato <<plausibile>> che
<<sia pure dopo che la decisione di compiere la strage era stata assunta, gli avvenimenti di Ustica possano avere contribuito ad accelerare l’organizzazione della strage, già deliberata nelle sue linee essenziali […] oppure a confermare e rafforzare il proposito criminoso, aggiungendo una fortissima causale ulteriore>>[55].
Il minimo che si possa fare di fronte alle congetture dell’ergastolano è osservare che la sua versione cozza contro dati di fatto. Il Parlamento si occupò di Ustica fino al 10 luglio, giorno in cui il Ministro della Difesa Lagorio ne parlò in Senato, informando che erano da escludersi collisioni in volo con aerei militari italiani e che al momento della scomparsa del DC9 il traffico aereo era relativamente rarefatto. Poi, come scrivono Bonazzi e Farinelli,
<<calò il silenzio sul caso per circa un mese. Non è difficile comprendere i perché. Luglio fu un momento di grande instabilità politica. Non solo vi fu la mozione di sfiducia nei confronti del Ministro di Grazia e Giustizia Tommaso Morlino, che occupò energie e discussioni fino alla risoluzione del 31 luglio, ma si arrivò anche all’apice di quella drammatica vicenda che nel maggio precedente portò l’allora Presidente del Consiglio dei Ministri Francesco Cossiga a essere accusato di avere favorito la latitanza di Marco Donat-Cattin, militante della formazione terroristica Prima Linea e figlio di uno degli uomini più importanti della Democrazia Cristiana. Il 27 luglio, alla Camera, il rinvio all’Alta Corte di Giustizia di Cossiga venne respinto>>[56].
Bonazzi e Farinelli, inoltre, nella succinta cronologia della vicenda di Ustica offerta dalla loro citata monografia Ustica. I fatti e le fake news, all’interno dell’arco temporale che secondo Vinciguerra dovrebbe essere vuoto a causa del presunto oscuramento susseguente all’attentato di Bologna, indicano diciannove eventi. Tra questi, ve ne sono di importanti: la restituzione alla Libia del relitto del Mig 23 caduto sulla Sila, le prime analisi di dati radar, la relazione preliminare della commissione amministrativa di inchiesta guidata dall’ingegner Luzzatti, prese di posizione da parte dell’Itavia e dell’Aeronautica Militare, la revoca delle concessioni all’Itavia e la dichiarazione di insolvenza della compagnia, la relazione della Commissione Luzzatti, la nomina del Giudice Istruttore Vittorio Bucarelli, la nomina della commissione peritale Blasi.
La stampa, alla vigilia della strage di Bologna, aveva accantonato Ustica e si occupava di argomenti diversi da Ustica. Gli italiani, dal canto loro, verso fine luglio pensavano alle imminenti vacanze che, per molti, sarebbero iniziate nel fine settimana tra il 2 e il 3 agosto.
I giudici del “processo-mandanti” hanno indicato una coincidenza a sostegno delle valutazioni di Vinciguerra. Si tratta di un’intercettazione ambientale eseguita nel 1996 in casa di Carlo Maria Maggi, durante la quale l’ex-leader di Ordine Nuovo e i suoi familiari fecero commenti sulle notizie del telegiornale riguardanti Ustica. Maggi, rivolgendosi al figlio, disse:
<<Ustica è stato un episodio di Guerra Fredda, come ha detto questo qua [il giornalista televisivo]: perché la strage di Bologna è stato un tentativo di confondere le acque, capisci? Per fare dimenticare Ustica>>[57].
Per giunta, a pagina 1181 delle motivazioni della sentenza bolognese si legge che negli anni Novanta non era solo Maggi a sostenere che Bologna fosse stata un diversivo rispetto a Ustica: anche Aldo Bellini, padre di Paolo Bellini, era di questo parere, e il figlio nel 1999 aveva riferito ciò alla Procura Distrettuale Antimafia del capoluogo emiliano. Nemmeno Bellini senior, avevano indicato fonti, riscontri, o prove a sostegno della sua opinione. È significativo che la magistratura competente per la vicenda di Ustica – inquirente e giudicante, civile e penale – non abbia dato peso a quelle conversazioni familiari, di cui era a conoscenza. Vinciguerra, nel 2021, in pratica non aveva fatto altro che ripetere una diceria, già agli atti da lungo tempo. Piuttosto, le dichiarazioni fatte nel 1999 da Bellini junior comportano un problema logico per chi, come l’autorità giudiziaria bolognese, ritiene costui colpevole dell’attentato alla stazione ferroviaria. Non si vede infatti per quale ragione un colpevole, nel 1999, avrebbe spontaneamente indirizzato gli inquirenti verso una pista buona alla quale loro ancora non pensavano, mettendo nei guai i suoi complici e alla lunga anche sé stesso.
L’uranio
In epoca successiva alla fine del procedimento penale per Ustica, alcuni giornalisti, separatamente l’uno dall’altro, hanno lanciato interpretazioni della strage di Ustica che hanno in comune fra loro la presunta causale: un traffico clandestino di uranio, per scopi militari. Mi riferisco in particolare a Claudio Gatti[58], a Paolo Cucchiarelli[59] e alla redazione del programma televisivo Report[60].Tutti loro immaginano che il DC9 trasportasse nascostamente quel carico, destinato all’estero, e che l’aereo civile sia stato abbattuto per impedire l’esportazione. Gatti e Report sostanzialmente si limitano alla vicenda di Ustica, mentre Cucchiarelli si spinge ad applicare la causale dell’uranio anche all’attentato di Bologna. Peraltro, è bene chiarire subito che nessuno di loro ha le prove che il DC9, in servizio esclusivamente nei cieli italiani e diretto la sera del 27 giugno a Palermo, ultimo scalo della giornata, davvero trasportasse uranio.
Di Gatti, quindi, basti dire che secondo lui il DC9 italiano fu abbattuto da Israele, e che Report nella puntata di domenica 26 maggio 2024, ha veicolato la tesi di Gatti senza apportarvi variazioni di rilievo. Al fine di mantenere omogeneità all’analisi sull’ipotesi di nesso tra Ustica e Bologna e di non allontanarmi troppo dal filo conduttore di essa, mi riservo di tornare sulle congetture di Gatti e sulla puntata di Report un’altra volta, eventualmente.
Quanto a Cucchiarelli, egli è convinto che il DC9 Itavia stesse trasportando uranio, destinato in parte alla Libia di Gheddafi e in altra parte al Pakistan. Invero, la lunga istruttoria sulla vicenda di Ustica condotta da Priore concluse, sulla base di perizie scientifiche, che il suddetto trasporto era una fantasia, e la citata sentenza/ordinanza del procedimento Italicus-bis, capitolo XIV, annovera il
<<traffico di armi o di parti di armi>> per mezzo del DC9 sulla tratta Bologna-Palermo tra le tesi <<fondate unicamente su fragilissimi ragionamenti>>.
Persino Gatti, il quale crede alla storia dell’uranio, ammette di non avere trovato prove del presunto trasporto di tale materiale[61]. A giudizio di Cucchiarelli, invece, la perizia sarebbe priva di valore perché
<<ovviamente il materiale era schermato…o no?>>[62].
Egli dà per scontato non soltanto che il carico di uranio ci fosse, ma anche che le autorità italiane ne fossero al corrente e che, disgraziatamente, fossero venuti a saperlo anche altri soggetti, contrarissimi. L’aereo italiano sarebbe stato abbattuto da Secret Team,
<<una struttura che conduce affari, svolge operazioni di intelligence coperte e non autorizzabili dal governo Usa e ha una propria politica estera e una rete che interviene in molti Paesi chiave>>[63].
L’arma del delitto di Ustica sarebbe stata una sfiammata di gas di scarico emessi da un aereo militare posizionatosi davanti al DC9. Questa tesi, però, è stata demolita da Franco Bonazzi e Francesco Farinelli, i quali hanno obiettato che allora l’aereo attaccante avrebbe dovuto volare a velocità tale da fare entrare in funzione il postbruciatore, la cui fiamma è lunga appena cinque metri, e se avesse tentato di investire con la fiamma il DC9 per qualche decina di secondi, come immaginato da Cucchiarelli, andando alla velocità di mille chilometri all’ora si sarebbe allontanato di chilometri dall’aereo civile, assai più lento[64].
Dopo Ustica, sarebbe arrivata Bologna,
<<perché i nostri governanti non capirono (o fecero finta di non capire) il primo avvertimento>>.
Con le stragi di Ustica e di Bologna, insomma, l’Italia sarebbe stata rimessa in riga.
A prima vista, lo schema della ripetizione somiglia a quello di Parisi, ma nel caso di Cucchiarelli è difficile capire cosa mai avrebbero potuto e dovuto fare i governanti italiani per dare segno di avere inteso il primo avvertimento. Per il resto, la ricostruzione di Cucchiarelli può essere accolta esclusivamente da chi: 1) non si fidi delle perizie scientifiche circa l’assenza di uranio a bordo del DC9; 2) postuli che molti soggetti fossero a conoscenza del presunto trasporto in segreto; 3) reputi credibili l’esistenza della fantomatica Secret Team nonché le funzioni e la potenza che Cucchiarelli le attribuisce; 4) sia convinto che un aereo possa abbatterne un altro a colpi di gas di scarico.
Ustica, Bologna e la crisi del “lodo Moro”
Dopo avere esaminato le ipotesi di un legame tra Ustica e Bologna da tempo sul tappeto, è il momento di proporne un’altra che, a differenza delle precedenti, punta l’indice non verso uno Stato sovrano o la NATO, ma verso un’organizzazione combattente palestinese, lo FPLP di George Habbash, notoriamente votata all’esportazione del terrorismo mediorientale in area europea ed effettivamente resasi responsabile di numerosi funesti attentati. Giova invitare il lettore ad applicare al presente paragrafo un concetto già visto nell’introduzione del presente studio: poiché stavolta il presunto protagonista è un soggetto non dotato di aviazione militare, l’ipotesi che si sta per sviluppare è compatibile con la tesi che il disastro di Ustica sia stato prodotto da una bomba a bordo del DC9 Itavia, mentre sarebbe da cassare qualora in futuro venisse dimostrato in maniera inoppugnabile che invece fu conseguenza di una battaglia aerea.
Verso metà degli anni Duemila due consulenti della Commissione parlamentare d’inchiesta sul dossier Mitrokhin, Lorenzo Matassa e Gian Paolo Pelizzaro, aprirono un filone che per la strage di Bologna (almeno) porta verso un’organizzazione terroristica internazionale dell’epoca, capeggiata dal famigerato Carlos, la quale collaborava con i guerriglieri palestinesi, con la Libia di Gheddafi e con altri soggetti antioccidentali. Da allora, questo filone è stato rafforzato da alcune scoperte sul “lodo Moro”, sulla sua crisi iniziata verso la fine del 1979 a causa della decisione italiana di processare i responsabili di un traffico di missili sul nostro territorio invece di tollerarlo secondo gli accordi segreti con i terroristi palestinesi stretti a fine 1973, e sulle gravi ed esplicite minacce rivolte nel corso del 1980 dal Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina (FPLP) al nostro Paese, documentate da carte del SISMI che fino al 2015 erano rimaste coperte da segreto di Stato poi scaduto.
Il “lodo Moro” era un accordo clandestino tra Italia e organizzazioni armate palestinesi, fatto a fine 1973 in due tempi (il secondo tempo servì ad includere anche formazioni inizialmente rimaste al di fuori dell’intesa). Fondamentalmente, era un accordo in materia di sicurezza, in base al quale i principali artefici del terrorismo mediorientale di allora si sarebbero astenuti da attacchi contro il nostro Paese in cambio di impunità, libertà di movimento e traffici anche illeciti. Si trattava perciò di un accordo formalmente illegale, che però non va giudicato esclusivamente sul piano giuridico in quanto era ispirato dal principio della Ragione di Stato. Erano gli anni in cui il terrorismo palestinese precedentemente confinato in Medio Oriente era stato esportato anche in Europa, con l’obiettivo di costringere in tal modo i Paesi occidentali a prendere posizione netta sulla questione arabo-israeliana. Molti di questi Paesi, infatti, strinsero con i guerriglieri palestinesi accordi bilaterali simili al “lodo Moro”. In Italia, ha preso il nome di “lodo Moro” per via del ruolo preminente avuto da Aldo Moro nella decisione politica di risolvere in questa maniera il problema della salvaguardia del Paese da attacchi di terrorismo internazionale[65].
L’emersione del “lodo Moro” è stata lenta e faticosa, ma inesorabile. All’epoca, l’esistenza del “lodo” fu intuita da alcuni, ma negata da altri, compresi personaggi che, a posteriori, si è scoperto essere sempre stati a conoscenza di esso.
In seguito, essendo divenuto ormai difficilissimo negare che il patto fosse esistito, qualcuno, tra cui ufficiali del SISMI che ebbero parte nell’implementazione del patto, lo ha presentato alla stregua di un generico, normale accordo politico, alterandone perciò i tratti. I giudici bolognesi del processo Cavallini, ancora nel 2021, lo hanno messo in forse, scrivendo nelle motivazioni che
<<l’esistenza del lodo Moro non è mai stata provata>>
e lo declassarono al rango di <<voci correnti>>[66].
Con buona pace degli ormai pochissimi che continuano a disconoscere la realtà storica, è sicuro che il “lodo Moro” esistette, ed è altrettanto sicuro che entrò in crisi verso la fine del 1979, perché l’Italia tentò di sottrarvisi, paventando una saldatura tra i terroristi mediorientali che spadroneggiavano sul territorio nazionale e i terroristi “rossi” nostrani. L’occasione fu la scoperta ad Ortona di un traffico di missili, la quale comportò un processo penale che il Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina (FPLP) avrebbe voluto mandare a monte in nome del “lodo Moro” e che le autorità italiane, invece, vollero mandare avanti.
Oggi, soprattutto attraverso le carte del colonnello del SISMI Stefano Giovannone che già sono divenute di dominio pubblico (altre lo diventeranno a breve, come si è già anticipato) sappiamo che il FPLP minacciò ripetutamente l’Italia per questo motivo. Abbiamo anche la data a partire dalla quale i terroristi arabi, riservatamente, comunicarono di essere intenzionati a riprendersi la loro
<<libertà di azione nei confronti dell’Italia, dei suoi cittadini e dei suoi interessi con operazioni che potrebbero coinvolgere anche innocenti>>,
stante l’indisponibilità del nostro Paese ad aderire alla loro richiesta di rispettare il “lodo Moro”: 12 maggio 1980. Un mese e mezzo prima di Ustica, quasi tre prima di Bologna.
Dunque, il terrorismo palestinese aveva un movente e aveva addirittura preannunciato attentati.
Il FPLP, a differenza della Libia, non aveva una massa di interessi che potessero trattenerlo, a differenza di Gheddafi, e non aveva gli strumenti di pressione in possesso di quest’ultimo. L’unico mezzo che i terroristi avevano per imporre le loro condizioni era l’uso della forza contro i civili. La Libia rischiava di perdere molto, andando ad uno scontro frontale con l’Italia; il FPLP non aveva da perdere nulla o quasi, visto che era stata l’Italia a disdire l’accordo clandestino chiamato “lodo Moro”.
Il FPLP, benché avesse intensi e buoni rapporti con l’OLP, di cui faceva parte, e con la Libia, aveva comunque una sua autonomia rispetto a loro[67].
I palestinesi giocavano una loro partita con l’Italia, distinta da quella giocata dalla Libia. La lettera di proteste indirizzata al tribunale abruzzese in gennaio e, poi le esplicite minacce seguenti rivolte all’Italia tramite il canale riservato del SISMI, recavano la firma del solo FPLP, non anche della Libia. Gli agenti libici che si erano recati a Roma, da Zamberletti, per opporsi all’imminente accordo tra Italia e Malta, non fecero parola del “lodo Moro”.
È altamente probabile che Gheddafi fosse informato del “lodo Moro” e della crisi di quest’ultimo che in quel periodo era in atto, e forse sarebbe riuscito a dissuadere il FPLP, se ci avesse provato; tuttavia, allo stato attuale delle conoscenze, sembra proprio che il dittatore di Tripoli non abbia mosso un dito, scegliendo di non intromettersi.
L’Italia, a sua volta, si regolava diversamente a seconda di quando era alle prese con il FPLP o con la Libia. Ai palestinesi del FPLP, rifiutava la scarcerazione del loro massimo esponente in Italia, Abu Anzeh Saleh, e la manipolazione del processo; alla Libia, negli stessi mesi, concesse l’espatrio di un gruppo di sicari che sul territorio italiano avevano ucciso oppositori di Gheddafi[68].
Nell’ottica di un attentato ad opera di un gruppo terroristico anziché di una battaglia aerea scatenata dall’aviazione di uno Stato sovrano, Ustica ha caratteristiche che la distinguono nettamente dalle altre stragi contro civili italiani avvenute dal 1969 in poi: il bersaglio fu un aereo in volo, il luogo fu in corrispondenza di una zona di mare aperto, per giunta particolarmente profondo. In caso di esplosione in una banca, in una piazza o in una stazione ferroviaria, dopo la fase dei soccorsi, che è prioritaria, bastano poche ore a individuare la causa in una bomba. Ma per un aereo che si inabissa a oltre tremila metri di profondità, l’accertamento è molto più difficile e richiede tempi lunghissimi, tanto è vero che a distanza di 44 anni ancora si discute se l’esplosione sia avvenuta all’interno o all’esterno[69].
Quindi, se Ustica era stata un segnale non avvertito e perciò poi replicato a Bologna, come diceva Parisi, era però un segnale avvertibile, come lo definisce lo studioso Claudio Pizzi[70], ovvero intelligibile per gli addetti ai lavori anche se non per l’opinione pubblica. Ustica era l’ideale dal punto di vista di uno stragista che volesse mandare un segnale comprensibile soltanto ai conoscitori di un background riservato, e non agli altri. Questa è proprio la situazione in cui dal 12 maggio 1980 in poi si trovava il FPLP.
Dopo il disastro del 27 giugno, il Governo proseguì non solo sulla strada dell’accordo con Malta, ma anche sulla linea dura per i fatti di Ortona, il relativo procedimento penale e l’accantonamento del “lodo Moro”. Nel caso della questione maltese, Zamberletti la sera del 27 giugno 1980 non ebbe sospetti e perciò tirò dritto. Santovito, che lo aveva avvertito per quanto concerneva la Libia e Malta, ma non aveva fatto altrettanto per il processo sui fatti di Ortona, a quanto se ne sa dopo Ustica non avvicinò Zamberletti, né altri politici. Può anche darsi che Santovito fosse incerto egli stesso su cosa fosse accaduto a Ustica, ma può darsi anche che egli non volesse essere accusato di essere stato incapace di scongiurare un attentato libico di cui aveva avuto sentore o, nell’eventualità di un attentato palestinese per il “lodo Moro”, di essere tacciato di non avere nemmeno preavvertito l’autorità politica così come aveva fatto con Zamberletti a proposito della questione maltese. In mancanza di nuovi e più decisi moniti da parte del SISMI, la volontà politica di stringere l’accordo bilaterale con Malta e di finirla con il “lodo Moro” rimase incontrastata e pertanto invariata, e si arrivò alla replica del 2 agosto.
Dopo la strage alla stazione di Bologna, l’Italia tornò gradualmente sui suoi passi e ripristinò il “lodo Moro”, che rimase in vigore per qualche anno. Nelle alte sfere politico-istituzionali, l’ala favorevole ad assecondare i palestinesi prevalse sull’ala più rigida nei loro confronti, come si vide ad esempio nel braccio di ferro tra il colonnello del SISMI Stefano Giovannone, che a Beirut implementava con il massimo zelo il “lodo Moro”, da lui considerato indispensabile, e l’ambasciatore italiano in Libano Stefano d’Andrea, che subì dal personale del SISMI scorrettezze tali da configurare reati penali. L’ambasciatore venne sconfessato dalla Farnesina e trasferito in Danimarca. Il detonatore della “guerra dei due Stefani” fu la sparizione avvenuta il 2 settembre 1980 dei giornalisti Graziella De Palo e Italo Toni nella zona di Beirut all’epoca pienamente controllata dall’OLP, dove i due italiani si erano recati per condurre inchieste. D’Andrea riteneva che la responsabilità della sparizione fosse da attribuire ai palestinesi e si attivò, ma ad ostacolarlo intervennero
<<il col. Giovannone ma anche il gen. Santovito, praticamente complici dei palestinesi>>, i quali riversarono sul diplomatico false accuse <<tese a screditarne l’azione di ricerca della verità>>[71].
Come si vede, poche settimane dopo la strage di Bologna si passò dall’intransigenza verso i palestinesi riguardante il traffico di armi scoperto ad Ortona alla fattiva collaborazione con essi per impedire di fare luce sul sequestro e omicidio di De Palo e di Toni. A metà ottobre il Governo Cossiga II cadde, a Palazzo Chigi andò Forlani, e nel 1981 Saleh fu scarcerato.
Pertanto, è singolare l’affermazione di Gotor secondo cui prima e dopo Bologna i contatti tra Italia e organizzazioni palestinesi
<<proseguirono come se nulla fosse accaduto>>[72].
Lo stesso Gotor aggiunge che atteggiamenti amichevoli del nostro Paese verso i mediorientali sarebbero diventati impensabili qualora il SISMI avesse sospettato un coinvolgimento di questi ultimi nel massacro del 2 agosto[73]; tale ragionamento può e deve essere rovesciato, nel senso che l’Italia, il 2 agosto 1980, ebbe la (ri)prova che i palestinesi avevano cominciato ad attuare le loro terribili minacce, era consapevole di non poter impedire nuovi attacchi dello stesso genere e di non avere i mezzi per annientare il FPLP. Allora, non potendo debellare il nemico, scelse di scendere nuovamente a patti con esso, concludendo che il ritorno al “lodo Moro” era il male minore.
L’ipotesi di duplice attentato palestinese, al pari dell’ipotesi libica, è una plausibile spiegazione anche delle due false rivendicazioni che tiravano in ballo la stessa persona, il fascista Affatigato, sulle quali Priore nel 1999 si esprimeva nei seguenti termini:
<<Anche il fatto che in occasione delle due stragi si siano usate le rivendicazioni sopra specificate, analoghe se non identiche, palesemente con finalità d’inquinamento delle inchieste ma rivelatesi immediatamente solo dei tentativi maldestri, indica soltanto che vi era un unico centro, sicuramente nell’ambito dei Servizi e simili>> che, depistando <<i primi e fondamentali passi>> delle indagini, <<protegge[va] i veri autori, di cui quel centro era sicuramente a conoscenza>>[74].
Infine, all’interno dell’ipotesi palestinese sviluppata fin qui, è doveroso però mettere in risalto un elemento dissonante, che per la pista libica invece non sussiste. Si tratta delle presenze a Bologna del tedesco Thomas Kram che, come è noto, è sospettato dai sostenitori della pista palestinese di essere stato l’esecutore materiale della strage presso la stazione ferroviaria cittadina, per conto della rete terroristica internazionale di Carlos. Risulta infatti che Kram era a Bologna non soltanto a cavallo tra 1 e 2 agosto 1980, ma anche a febbraio dello stesso anno (e durante il suo soggiorno invernale alloggiò nello stesso albergo, Hotel Lembo, in cui il 22 febbraio alloggiò anche Paolo Bellini, condannato dai giudici del “processo-mandanti”, i quali non hanno ritenuto di dover interpellare il tedesco riguardo all’impressionante coincidenza.
Siamo in anticipo di quasi tre mesi rispetto al 12 maggio che, stando alla documentazione disponibile fino a oggi, sarebbe la data in cui i palestinesi si sarebbero temporaneamente svincolati anch’essi dal “lodo Moro”, fintanto che l’Italia non avesse accettato di ricominciare a conformarsi all’accordo. I mesi salgono a quattro, se si guarda al 27 giugno, il giorno di Ustica. Se Kram in febbraio era a Bologna in vista di un attentato da realizzare nei mesi seguenti, ciò significa che il 2 agosto non fu una replica del 27 giugno, bensì una decisione autonoma? Forse, ma non è da escludere invece che i palestinesi avessero concepito le ritorsioni già quando si profilavano le condanne in primo grado per i fatti di Ortona, emesse il 25 gennaio. In altri termini, che si fossero, per così dire, “portati avanti con il lavoro”, in attesa di vedere se l’Italia avrebbe ceduto o resistito alle minacce. L’ostacolo costituito dalla presenza di Kram a febbraio, insomma, c’è, ma è tutt’altro che insormontabile.
Una conclusione e una proposta
Concludendo, l’idea di un nesso tra Ustica e Bologna conserva una sua forza, nonostante che in ambito saggistico e soprattutto in ambito giudiziario abbia avuto finora poca fortuna. L’originale versione proposta in questo scritto, che pone al centro della scena non più la Libia o altri Stati sovrani o la NATO bensì il FPLP, e indica quale ipotetico movente la temporanea crisi del “lodo Moro”, ha il limite di adattarsi soltanto alla versione dell’incidente di Ustica secondo cui quest’ultimo fu effetto di una bomba a bordo. Non si adatta, invece, all’idea alternativa che l’aereo civile sia stato abbattuto nel corso di una battaglia aerea. Tuttavia, nell’ambito dell’ipotesi-bomba, l’ipotesi di una matrice palestinese sia per Ustica che per Bologna appare caratterizzata da vari e significativi punti a favore e da nessuno talmente debole da fare dubitare di tutto l’impianto.
Al punto in cui si è, fatti salvi i giudicati penali e civili, sarebbe opportuno uno sforzo da parte delle istituzioni per uscire dalla paralizzante incertezza tra bomba all’interno del DC9 e battaglia aerea. A questo fine, la mia proposta è di creare un organismo terzo per confrontare le due versioni e tentare di superare le divergenze, o quanto meno di ampliare la sfera di ciò che può essere unanimemente riconosciuto, come ad esempio lo è che non ci fu cedimento strutturale. Il lavoro di un apposito comitato di saggi, -formato, ad esempio, da membri indicati rispettivamente da Presidente della Repubblica, Presidenti di Senato e Camera, Cassazione Civile, Cassazione Penale, e Consiglio di Stato[75]– potrebbe essere bene accetto a tutti, e utile in funzione di ulteriori progressi nella comprensione del fatto.
[1] Cora Ranci, autrice della monografia Ustica, una ricostruzione storica, Roma-Bari, Laterza, 2020, 272 p., è tra coloro che scartano l’ipotesi di legami tra Ustica e Bologna. La negativa valutazione da parte degli inquirenti è tra i motivi per i quali è scettica anche lei (ivi, p.66). Franco Bonazzi e Francesco Farinelli, coautori di Ustica. I fatti e le fake news, Vicchio (Firenze), LoGisma, 2019, 368 p. sono invece tra i sostenitori dell’esistenza di un rapporto tra le due vicende (ivi, pp. 348-349). Bonazzi e Farinelli, in proposito, osservano che l’ex-Giudice istruttore Rosario Priore, in un’intervista del 13 maggio 2016, aderì anch’egli all’idea che Ustica e Bologna fossero due stragi collegate fra loro. Cf. intervista rilasciata a Francesco Grignetti de La Stampa, reperibile online all’indirizzo: www.lastampa.it/cronaca/2016/05/13/news/il-giudice-priore-e-plausibile-che-dietro-ustica-e-bologna-ci-fosse-gheddafi-1.34998582/.
[2] Cfr. la sentenza/ordinanza n. 18/2001 del procedimento Italicus-bis, capitolo XIV, La strage di Bologna e quella di Ustica. Nondimeno, in apertura del capitolo la sentenza concedeva che avere ipotizzato un nesso tra Ustica e Bologna era <<ovvio in considerazione della contiguità spazio-temporale dei due avvenimenti>>.
[3] Si veda a pag. 485 delle motivazioni della sentenza, depositate il 5 aprile 2023, redatte dai giudici Caruso e Cenni.
[4] I tre Pubblici Ministeri, Settembrino Nebbioso, Vincenzo Roselli e Giovanni Salvi, illustrarono la loro posizione alla Commissione parlamentare d’inchiesta sul terrorismo e le stragi (d’ora in avanti: Commissione Stragi) in audizione, il 29 settembre 1998. Il resoconto stenografico dell’audizione è oggi online, presso il sito www.parlamento.it, alla voce: <<Organismi Bicamerali>> della Legislatura XIII.
[5] Contra, il prefetto Vincenzo Parisi. Il 17 ottobre 1990 Parisi, che all’epoca era Capo della Polizia, davanti alla Commissione parlamentare d’inchiesta sul terrorismo e le stragi (d’ora in avanti: Commissione Stragi) disse che
<<non si può escludere che alcuni gruppi terroristici abbiano una loro aviazione, gruppi terroristici che in quanto tali sono in grado di mandare mezzi aerei dotati di missili>>
(cfr. il resoconto stenografico della seduta, p. 353).
Peraltro, avendo presente l’interpretazione data da Parisi alla vicenda di Ustica, è presumibile che egli volesse preservare l’ipotesi della strage con finalità terroristiche – da lui contrapposta a quella di un atto di guerra – rispetto ad eventuali risultanze tecniche peritali in favore di uno scenario di battaglia aerea. Ad ogni modo, l’opinione di Parisi che anche gruppi terroristici non facenti parte di uno Stato sovrano potessero disporre di aerei militari non è mai stata condivisa da nessuno, che io sappia.
[6] Sentenza/ordinanza del Giudice Istruttore Priore, depositata il 31 agosto 1999, p. 4854. Il testo della sentenza/ordinanza è disponibile online, all’indirizzo: www.stragi80.it/doc/la-sentenza-ordinanza-del-g-i/#:~:text=Per%20Priore%20il%20DC9%20è,violati%20i%20confini%20e%20i%20diritti.
[7] L’inchiesta penale su Ustica fu riaperta a seguito di dichiarazioni alla stampa fatte nel 2008 da un personaggio importante quale l’ex-Presidente della Repubblica Cossiga. La presidentessa di un’associazione di familiari delle vittime, Daria Bonfietti, ultimamente, ha sollecitato gli inquirenti. Cfr. Daria Bonfietti, “Un giorno per la memoria senza retorica”, Il Manifesto, 9 maggio 2024.
[8] Si ricorda che l’indiscusso capo di Avanguardia Nazionale, Stefano Delle Chiaie, decenni orsono fu imputato anch’egli nei processi per la strage di Bologna, ma fu assolto con formula piena.
[9] Antonio Padellaro, “Se c’è una centrale straniera del terrore il Governo italiano è deciso ad agire”, Il Corriere della Sera, 8 agosto 1980. Dopo l’8 agosto, Padellaro non pubblicò più nulla fino almeno a Ferragosto, benché il Corriere tra 8 e 15 agosto contenga alcuni pezzi sulla strage di Bologna firmati da suoi colleghi, privi di richiami a Ortona e ai palestinesi.
[10] Nel 1980 vi furono polemiche, anche sui giornali, circa l’esistenza e la circolazione di un falso verbale della riunione del 5 agosto 1980. Ne parla Paolo Cucchiarelli, nelle pagine 396-399 della sua monografia Ustica&Bologna. Attacco all’Italia,Milano, La Nave di Teseo, 2020, 382 p. L’Autore ritiene che il falso verbale sia esistito davvero e che poi sia andato perduto.
[11] <<Non è detto che lanciando l’ipotesi del collegamento intendesse puntare il dito sulla Libia>>, commenta giustamente lo studioso Claudio Pizzi, autore della poco nota ma interessante monografia Ripensare Ustica, Milano, copyright dell’Autore, 2017, 286 p. [il passo citato è a p. 263].
[12] Andrea Purgatori, “Ustica, verbale segreto. Il documento recuperato negli archivi del Cesis va in Commissione Stragi”, Corriere della Sera, 4 aprile 1995.
[13] Daria Lucca, “Ustica e Bologna? Silenzio, si depista”, Il Manifesto, 4 aprile 1995.
[14] Cfr. p. 4843 della sentenza/ordinanza del Giudice Istruttore Priore, depositata il 31 agosto 1999 citata alla nota 6, nonché p. 58 del volume scritto da Giuseppe Zamberletti stesso che si intitola La minaccia e la vendetta. Ustica e Bologna: un filo fra due stragi, Milano, FrancoAngeli, 1995, 128 p.
Il testo della sentenza/ordinanza è disponibile online, all’indirizzo: www.stragi80.it/doc/la-sentenza-ordinanza-del-g-i/#:~:text=Per%20Priore%20il%20DC9%20è,violati%20i%20confini%20e%20i%20diritti.
[15] L’incontro tra Parisi e Zamberletti avvenne in forma privata, una sera a cena. Fu proposto e organizzato da un altro prefetto, Enzo Mosino. L’andamento dell’incontro è stato descritto da Zamberletti nelle pagine 57-60 del citato volume di Giuseppe Zamberletti, La minaccia e la vendetta…, op. cit. alla nota 14.
[16] La minaccia e la vendetta, op. cit. alla nota 14, p. 64.
[17] Il resoconto stenografico dell’audizione è pubblicato negli atti della Commissione Stragi. I brani riportati sopra sono presenti anche nel volume di Zamberletti, La minaccia e la vendetta, ibidem, pp. 60-63.
Il 17 ottobre 1990, davanti alla medesima Commissione Stragi, Parisi era stato più sfumato. Inizialmente disse che Bologna
<<potrebbe aver rappresentato anche una replica della strage di Ustica, passata in sordina perché banalizzata>>;
più avanti, che
<<non possiamo dire oggi con certezza se vi sia un legame tra Ustica e Bologna. (…) Per quanto riguarda il collegamento non presento perentoriamente un’ipotesi di rapporto tra Ustica e Bologna>>
Cfr. il Volume V degli Atti della Commissione Stragi, Legislatura X, rispettivamente a pag. 34 e a pag. 353.
[18] Sentenza/ordinanza Priore, citata alla nota 6, pp. 1363-1364.
[19] Ivi, p. 4843.
[20] Ibidem.
[21] Dichiarazione testuale, riportata a pag. 488 delle motivazioni della sentenza di primo grado del “processo-mandanti”.
[22] Per approfondimenti, si consulti il saggio di Mariele Merlati, “«Condemned to a Mediterranean destiny». L’Italia e l’accordo per la neutralità di Malta dell’estate del 1980”, Ventunesimo Secolo, XVI (41), dicembre 2017, pp. 91-109.
[23] Si veda la Dichiarazione del Governo della Repubblica italiana sulla neutralità di Malta, al paragrafo 5.2. I testi degli accordi italo-maltesi del 1980 sono riprodotti integramente in Fiammetta Atzei, “La neutralità di Malta e l’Italia: cronistoria dei rapporti italo-maltesi, 1976-1985”, Rivista di Studi Politici Internazionali, LII, (207), luglio-settembre 1985, pp. 409-440.
[24] Il Ministro degli Esteri nel 1980 nella prima metà del 1980 passò di mano due volte. A gennaio, Attilio Ruffini subentrò d’urgenza a Franco Maria Malfatti, il quale aveva avuto un problema di salute. Zamberletti scrive che Ruffini,
<<stretto fra le difficoltà del nuovo e per lui difficile incarico>> ricevuto all’improvviso <<non si occupò di Malta>>.
Sempre a detta di Zamberletti, se ne disinteressò pure il successore di Ruffini, l’esperto Emilio Colombo, che era tornato alla Farnesina ad aprile con la nascita del governo Cossiga II, perché aveva cattivi rapporti personali con l’interlocutore maltese, il premier Dom Mintoff. Quindi, la faccenda fu lasciata interamente nelle mani di Zamberletti, il quale godeva di piena fiducia da parte del Presidente del Consiglio Cossiga (cfr. Giuseppe Zamberletti, La minaccia e la vendetta, op cit. alla nota 14, pp. 10-11.)
[25] Giuseppe Zamberletti, La minaccia e la vendetta, op. cit. alla nota 14, pp. 27-28.
[26] Ibidem. Santovito non poté pronunciarsi sulla versione di Zamberletti, poiché era morto nel 1984.
[27] Si torni a Giuseppe Zamberletti, La minaccia e la vendetta, op. cit. alla nota 14, andando stavolta a pagina 37.
[28] Sentenza/ordinanza Priore, citata alla nota 6., pp. 1396-1399.
[29] Ivi, p. 1396. In sede storiografica, Valentine Lomellini e altri hanno confermato la sudditanza dell’Italia nei confronti della Libia, instauratasi negli anni Settanta;
<<Era [stata] la crisi energetica ad imporre una svolta importante nelle relazioni tra i due Paesi>> e l’Italia <<pareva appesa al desiderio di salire nella lista libica di gradimento dei Paesi europei (…) l’antico colonizzatore andava ora alla ricerca del consenso dell’ex colonizzato>>
Valentine Lomellini, Il “lodo Moro”. Terrorismo e ragion di Stato 1969-1986, Roma-Bari, Laterza, 2021, XII-210 p. [questa citazione si trova a p. 75].
[30] Giuseppe Zamberletti, La minaccia e la vendetta, op. cit. alla nota 14, pp. 37-38.
[31] Cfr. il resoconto sommario della seduta di Commissione del 23 gennaio 1974, riprodotto in: MINISTERO AFFARI ESTERI, Testi e documenti sulla politica estera dell’Italia. 1974, Roma 1975.
[32] Si torni al capitolo XIV dell’atto della magistratura bolognese.
[33] Nel 1956, l’Italia aveva concordato con l’allora monarca libico Idris un risarcimento per danni di guerra. Il regime di Gheddafi riaprì la questione, pretendendo assai di più.
[34] L’accondiscendenza divenne addirittura collaborazione nella prima metà del 1980, allorché il 14 febbraio e il 29 marzo il SISMI passò ai servizi segreti libici informazioni utili a rintracciare i fuoriusciti presenti in Italia (cfr. la sentenza/ordinanza Priore, citata alla nota 6, p. 4763).
[35] Considerazioni di questo genere sono state da me espresse in varie occasioni, tra cui la mia recensione, il 5 maggio 2022 su storiaglocale.com al libro di Valentine Lomellini Il “lodo Moro”, op. cit. alla nota 29. Cfr. https://storiaglocale.com/oggi-il-lodo-moro-non-vige-piu-ma-il-dilemma-tra-ragione-di-stato-e-istanze-di-verita-e-giustizia-continua-ad-incombere-su-di-noi/.
Anche Benedetta Tobagi, nel suo Le stragi sono tutte un mistero, Roma-Bari, Laterza, 2024, 288 p., è pervenuta alla conclusione, alle pp. 214-215, che gli <<immani interessi economici>> avrebbero dovuto trattenere la Libia da stragi di civili italiani e che Ustica e Bologna sarebbero state reazioni sproporzionate rispetto alla stipula degli accordi tra Italia e Malta. La Tobagi non mi cita al riguardo, dunque presumo che abbia proceduto senza conoscere il mio scritto online di due anni prima.
[36] Fonte: Claudio Pizzi, Ripensare Ustica, op. cit. alla nota 11, p. 18.
[37] Claudio Pizzi, Ripensare Ustica, op. cit. alla nota 11, p. 18.
[38] Ecco la testimonianza in proposito fornita da Lagorio alla Corte d’Assise di Roma il 6 dicembre 2001:
<<Ad un bel momento navi militari libiche cominciarono a tenere un atteggiamento ostile nei confronti di questa nave che batteva bandiera italiana, invitandola a sgombrare il banco della Medina […]. Inviai la Marina e l’Aviazione a compiere un’azione di protezione di questa nave italiana e due navi militari con protezione aerea andarono sul posto. Trassi questa conclusione: se il governo libico voleva vedere se l’Italia era pronta ad onorare il patto di protezione militare nei confronti di Malta, ecco, ora la prova ce l’ha. La cosa finì bene perché la marina libica si ritirò>>.
Il testo integrale del verbale della testimonianza è reperibile in: www.leliolagorio.it/documenti.htm, nella sezione Il caso “Ustica” (ultima consultazione: 14 luglio 2024).
Circa la tesi di Zamberletti, Lagorio fu abbottonatissimo. Nelle sue memorie, scrisse:
<<Non ho elementi per rispondere, convalidare o smentire>>
Lelio Lagorio, L’ora di Austerlitz. 1980: la svolta che mutò l’Italia, prefazione di Enzo Bettiza, Firenze, Polistampa, 2005, 412 p. [la citazione si trova a p.117].
[39] Valutazione, condivisibile, di Cora Ranci, a p. 65 del volume Ustica, una ricostruzione storica, op. cit. alla nota 1.
[40] I titoli e le date degli articoli sono: “La verità in fondo al mare”, 21 giugno 2020, “Abbattuto dalla Guerra Fredda”, 28 giugno 2020, “Una strage con colpevoli”, 5 luglio 2020 e “Il filo libico che lega Ustica e Bologna”, 19 luglio 2020.
[41] Miguel Gotor, Generazione Settanta. Storia del decennio più lungo del secolo breve, 1966-1982, Torino, Einaudi, 2022, 462 p.
[42] Gotor ha ripetuto questo schema nel suo volume Generazione Settanta …, op. cit. alla nota 41, p. 353.
[43] Dal paragrafo sulle parole del Di Carlo presente nella sentenza/ordinanza di Rosario Priore:
<< Altra persona che riferisce fatti relativi alla strage di Ustica, anzi ne dà contesto e conseguenze, è il collaboratore di giustizia Di Carlo Francesco […] fu nell’85 arrestato e condannato in Gran Bretagna. Nelle carceri di quel Paese entrò in confidenza, ricevendone stima e fiducia, con un personaggio che gli parlò della strage e circostanze, come anche di fatti precedenti e susseguenti. Il personaggio che viene chiamato “Hindawi” […] arrestato nell’aprile dell’86 per aver tentato di collocare un ordigno esplosivo su un aereo diretto in Israele […] aveva stretto amicizia con il Di Carlo […] il Di Carlo, che al tempo dei colloqui si ritiene ancora in Cosa Nostra, prende a fargli domande su quell’evento, giacché su quell’aereo stima – confondendo in verità il DC9 Itavia con il velivolo precipitato l’anno prima al largo di Palermo – viaggiasse un appartenente a Cosa Nostra, tale Salvatore Mafara>>.
A detta dell’arabo, <<i servizi segreti, la CIA, sapevano che il colonnello Gheddafi si doveva spostare in tale giorno e in tale ora per andare a ritirare un premio, non so in quale paese del Nord Europa. Doveva andare a ritirare un premio e sapevano che a quell’ora doveva passare di lì. E hanno organizzato per fargli un attentato. In tutto l’attentato erano d’accordo i servizi segreti italiani, ma in parte, perché c’è stato qualcuno che ha fatto il doppio gioco e ce l’ha fatto sapere, perché c’erano politici e anche servizi segreti italiani che erano filo-oriente. E ci hanno fatto sapere questa situazione. Il Colonnello cambia situazione, infatti va via a Malta […] Ha dato ordine e si sono messi quelli in volo e hanno avuto un conflitto. Uno è ritornato alla base da dove era partito e uno è caduto, come è caduto uno degli americani stessi […] Gheddafi era arrabbiato con l’Italia, perché i governanti in quel periodo e i servizi di maggioranza gli avevano fatto questa cosa. Da questo decidono di fare la strage di Bologna>>.
Hindawi, però, ha negato di avere fatto confidenze a Di Carlo (sentenza/ordinanza Priore, citata alla nota 6, p. 1461). Il racconto del mafioso italiano è totalmente privo di validi riscontri, dunque, nonché infarcito di falsità quali il presunto atterraggio di Gheddafi a Malta.
Tra gli articoli di stampa che di tanto in tanto hanno rilanciato il racconto di Francesco Di Carlo, si vedano: Mariateresa Conti, “Strage di Bologna, un pentito di mafia: ‘Fu una vendetta libica contro l’Italia’”, Il Giornale, 22 agosto 2011, che a sua volta menziona un articolo de <<Il Giornale di Sicilia>> di cui purtroppo non fornisce gli estremi (cfr. https://www.ilgiornale.it/news/strage-bologna-pentito-mafia-fu-vendetta-libica-contro.html#google_vignette) e Giuseppe Martorana, “Bologna chiama Ustica e Ustica chiama Bologna, due stragi e troppi misteri”, presso il sito del Centro Pio La Torre, all’indirizzo: www.piolatorre.it/public/r/bologna-chiama-ustica-e-ustica-chiama-bologna-due-stragi-e-troppi-misteri-4059/. Nel volume di Gotor Generazione Settanta Generazione …, op. cit. alla nota 41,non sono citati né Francesco Di Carlo, né il paragrafo della sentenza/ordinanza di Priore in questione, né articoli di stampa in proposito. Di Carlo morì il 16 aprile 2020.
[44] Francesco Di Carlo, invece, aveva detto a Priore:
<<La strage di Bologna, per quello che mi dice lui [Hindawi], non c’entra proprio con il fascismo, con la destra>>.
[45] Miguel Gotor, Generazione Settanta …, op. cit. alla nota 41, p. 349.
[46] Ivi, p. 348.
[47] Ivi, pp. 349-350.
[48] Sentenza/ordinanza 31 agosto 1999, p. 4964.
[49] Gotor sembra averne preso coscienza durante la stesura di Generazione Settanta…, dove a pag. 349 scrive che
<<le ultime indagini non hanno finora trovato alcuna traccia di una presenza di Gheddafi o di altri dignitari libici in volo sui cieli italiani quella sera>>.
Non si sa a quali indagini si riferisca, purtroppo.
Può essere utile ricordare che nel 1991 la Farnesina acquisì dalle autorità della Polonia una recisa smentita delle voci di un viaggio di Gheddafi verso il loro Paese in data 27 giugno 1980 o vicina a quest’ultima. Inoltre, nel 1989 l’ambasciatore italiano a Tripoli, Giorgio Reitano, rilevava la riluttanza delle autorità libiche ad approfondire le cause del disastro e riteneva lo facessero perché interessate non alla verità, bensì a
<<sfruttare propagandisticamente una questione, quella di Ustica, sulla quale in realtà non dispongono di elementi specifici, nel quadro dell’ormai tradizionale polemica contro gli Stati Uniti>.
Sul presunto viaggio in Polonia e sulla comunicazione dell’ambasciatore Reitano, cfr. Claudio Gatti e Gail Hammer, Il quinto scenario, prima edizione pubblicata da Milano, Rizzoli, 1994, 322 p. e seconda edizione, del solo Gatti, pubblicata con il titolo Il quinto scenario. Atto secondo. I missili di Ustica. La strage del 27 giugno 1980. Le risposte, dopo decenni di domande,Milano, Fuoriscena, 2024, 336 p.
[50] Miguel Gotor “Abbattuto dalla Guerra Fredda”, L’Espresso, 28 giugno 2020. Egli si ripete a pag. 353 di Generazione Settanta…, op. cit. alla nota 41.
[51] Valutazione condivisa dalla saggista Benedetta Tobagi, in un’intervista da lei rilasciata a La Stampa, pubblicata il 6 agosto 2024.
[52] Cfr. p. 605 delle motivazioni della sentenza di primo grado del “processo-mandanti”.
[53] Sull’ingiustificata patente di attendibilità che i giudici bolognesi e i cultori di teorie cospirative conferiscono a Vinciguerra, rimando ad un altro mio lavoro: Vladimiro Satta, “’Processo-mandanti’: la storia non si fa con le bolle”, Democrazia Futura, III (10) marzo-giugno 2023, pp. 783-799. Cfr. https://www.key4biz.it/democrazia-futura-processo-mandanti-la-storia-non-si-fa-con-le-bolle/455528/.
[54] Affermazioni testuali, leggibili nelle motivazioni della sentenza del “processo-mandanti”, p. 606.
[55] Ivi, pp. 1181-1182.
[56] Franco Bonazzi, Francesco Farinelli, Ustica. I fatti e le fake news, op. cit. alla nota 1, p. 239.
[57] Motivazioni sentenza “processo-mandanti”, pp. 1178-1180.
[58] Cfr. Claudio Gatti, Il quinto scenario – Atto secondo, op. cit. alla nota 49. Il volume del 2024 è un’edizione aggiornata rispetto alla prima edizione risalente al 1994.
[59] Paolo Cucchiarelli, Ustica&Bologna. Attacco all’Italia, op. cit. alla nota 10. Egli ha ribadito il suo punto di vista nel corso di svariate interviste all’indomani dell’uscita del libro.
[60] Puntata di domenica 26 maggio 2024, Rai 3.
[61] Per Gatti, cfr. Marco Lillo, “Fu un aereo da guerra israeliano ad abbattere il DC9 sopra Ustica”, Il Fatto Quotidiano, 26 maggio 2024.Cf. https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2024/05/26/fu-un-aereo-da-guerra-israeliano-ad-abbattere-il-dc-9-sopra-ustica/7562615/.
[62] Questa la risposta di Cucchiarelli alla domanda in proposito fattagli da una collega che lo intervistò: Monica Mistretta, Cucchiarelli: “Ecco la verità su Ustica. DC9 abbattuto dalla sfiammata di un caccia”, Critica Liberale, 29 settembre 2020. Cf. https://criticaliberale.it/2020/09/29/cucchiarelli-ecco-la-verita-su-ustica-il-dc9-abbattuto-dalla-sfiammata-di-un-caccia/.
[63] Cfr. Massimiliano Virgilio, “Strage di Ustica, intervista a Paolo Cucchiarelli: ‘40 anni fa la fine di una nazione’”, fanpage.it, 26 giugno 2020.Cf. https://www.fanpage.it/cultura/strage-di-ustica-intervista-a-paolo-cucchiarelli-40-anni-fa-la-fine-di-una-nazione/.
[64] Cfr Franco Bonazzi, Francesco Farinelli, “Le invenzioni su Ustica di Paolo Cucchiarelli, giornalista ‘investigativo’”, Avantionline, 24 luglio 2020.Cf. https://www.avantionline.it/le-invenzioni-su-ustica-di-paolo-cucchiarelli-giornalista-investigativo. Non sono a conoscenza di repliche da parte di Cucchiarelli.
[65] Sui lineamenti del “lodo Moro” e sul contributo personale dato all’operazione da Moro, che ne fu il primo garante italiano finché rimase in vita, rimando ad altri miei scritti, tra cui: Vladimiro Satta, “Lodo Moro, sì”, ovvero la recensione datata 2022 al libro di Valentine Lomellini Il lodo Moro. …, op. cit- alla nota 29; Vladimiro Satta, “Lodo Moro e strage di Bologna, passando per Venezia e Damasco”, Avanti online, 28 aprile 2022 (www.avantionline.it/il-lodo-moro-e-la-strage-di-bologna-passando-per-venezia-e-per-damasco/); Vladimiro Satta, I nemici della Repubblica. Storia degli anni di piombo, Milano, Rizzoli, edizione aggiornata 2024, 976 p. (prima edizione: 2016).
[66] Motivazioni della sentenza Cavallini di primo grado, p. 1838.
[67] Questo valeva per tutte le organizzazioni combattenti che ricevevano appoggi da parte di uno Stato sovrano. Nel caso dei Paesi dell’Est Europa che in qualche misura aiutavano il terrorismo mediorientale e l’organizzazione ORI (talvolta detta: Separat) capeggiata da Carlos, la problematicità dei loro rapporti è stata messa a fuoco bene da Gianluca Falanga, La diplomazia oscura. Servizi segreti e terrorismo nella Guerra Fredda, Roma, Carocci, 2021, 252 p.
[68] Questo eloquente bilancio si legge nella più volte citata sentenza/ordinanza di Priore, citata alla nota 6, pp. 4767-4768:
<<In conseguenza di tali delitti [le uccisioni di dissidenti fuoriusciti in Italia, avvenute nel 1980] furono catturati sette cittadini libici; di questi sei furono scarcerati nell’ambito di breve se non brevissimo tempo; il restante morì in carcere per causa naturale. Soltanto un imputato, contumace, fu condannato per il reato ascrittogli>>.
[69] Per escludere con cognizione di causa cedimenti strutturali, guasti e simili, si dovette attendere la pre-relazione della Commissione Luzzatti pubblicata a dicembre 1980. La Commissione fece presente di non essere in condizione di dire di più, fino a quando non fosse stato ripescato il relitto.
[70] Claudio Pizzi, Ripensare Ustica, op. cit. alla nota 11, p. 18.
[71] Le virgolette sono tratte dalla sentenza/ordinanza del Giudice Istruttore competente per il caso Toni/De Palo, Renato Squillante, p. 8. Giovannone e Santovito, rinviati a giudizio, morirono entrambi prima che il processo a loro carico si concludesse, mentre fu condannato il maresciallo alle dirette dipendenze di Giovannone, il quale aveva coadiuvato il suo superiore.
Per maggiori dettagli sulla vicenda Toni / De Palo e sul conflitto tra il SISMI e l’ambasciatore D’Andrea, rimando ad un mio articolo pubblicato il 26 dicembre 2022 dal quotidiano Reggio Report con il titolo intitolato “L’assassinio di Graziella De Palo e Italo Toni. Perché 42 anni di misteri”, che riprodusse la mia relazione ad un convegno in materia svoltosi a Roma pochi giorni addietro.
[72] Miguel Gotor, Generazione Settanta …, op. cit. alla nota 41, p. 353.
[73] Ibidem.
[74] Sentenza/ordinanza Priore, citata alla nota 6, p. 4853.
[75] Ho già formulato tale proposta in un recente articolo sul quotidiano La Ragione, che è stato pubblicato il 27 giugno 2024 con il titolo “Due verità uguale nessuna verità”. Dopo l’uscita dell’articolo sono stato raggiunto da una telefonata dell’ex-senatore Vincenzo Ruggero Manca, il quale mi ha segnalato che una proposta analoga era stata da lui fatta nel suo libro Ustica. Assoluzione dovuta, giustizia mancata, Prefazione di Giovanni Pellegrino, postfazione di Giovan Bartolo Parisi, Roma, Koinè, 200, p. 192.
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