I collezionisti del Cinquecento, proprio come accade oggi, amavano circondarsi di grandi opere d’arte, ma anche di memorabilia, feticci, cimeli vari e infine di semplici oggetti che nulla avevano a che fare con la parola arte, ma rientravano di diritto nella categoria dei desiderata, ovvero oggetti rari e quindi ritenuti indispensabili al fine di rendere prestigiosa una collezione.
Osservando le opere di Enzo Cucchi la prima cosa che viene in mente è che provengano proprio da una Wunderkammer del passato. Visitando una sua mostra sembra di trovarsi dentro una stanza delle meraviglie, piena di capolavori ma, questo anche grazie all’eterogeneità e all’originalità della sua produzione, ricca di opere così stravaganti, a tratti bizzarre, da sembrare cimeli, se non addirittura reliquie. Uso volutamente il termine reliquia per dare l’idea di qualcosa di così potente da apparire trascendente, sacra.
Questa è la peculiarità che contraddistingue Cucchi dalla maggior parte degli artisti contemporanei. Ancora oggi, il sentire comune, non si è abituato al passaggio, avvenuto più di un secolo fa, tra l’artista che osserva la natura e ne riproduce la bellezza e colui che indaga il mondo interiore esprimendolo con i pennelli. Forse è per questo motivo che è facile imbattersi in feroci critiche riguardo alcuni artisti contemporanei.
Tra loro ci sono effettivamente quelli che hanno ridotto l’atto creativo a mero lavoro retribuito; Cucchi è esattamente agli antipodi di questo modo di intendere l’arte, per lui il momento in cui il pensiero prende forma assume i connotati di un rito ieratico.
L’artista è dotato di una forza originaria, che gli permette di dare vita agli oggetti che tocca. Sarebbe da ipocriti dire che le sue opere non hanno nulla a che fare col fattore economico.
Il fatto è che Cucchi, demiurgo della pittura, non lascia che la sua arte venga plasmata dal mercato, dal volere dei galleristi e dai capricci dei collezionisti, ma, al contrario, riesce a compiere qualcosa di veramente eccezionale: richiama a sé l’attenzione dei musei e delle gallerie di tutto il mondo preservando la purezza della sua ricerca artistica:“Io dipingo per me, per meravigliarmi di ciò che faccio”.
Richiamando la celebre definizione di Giulio Carlo Argan, che definì Van Gogh “pittore per disperazione e non per vocazione”, mi sento di dire che per Cucchi vale esattamente il contrario, egli, nel suo essere artista si sente investito da una sorta di potere divino che permette alla sua mano di donare un’anima alle forme che dipinge. Per Cucchi l’arte e la vita sono la stessa cosa.
Così come una levatrice si stupisce di partecipare e contribuire alla nascita di una nuova vita, così Cucchi prova meraviglia verso se stesso quando riesce a generare una forma nella quale lui sente scorrere il soffio vitale. Come una puerpera non può prevedere il momento esatto in cui il figlio vedrà la luce, così l’artista marchigiano è in balia del caso, vittima dello spirito creativo che è l’unico a poter decidere il momento adatto per impossessarsi dell’uomo e trasformarlo in artista. Per questo Cucchi si sente a disagio quando gli viene chiesto di “creare” su commissione, semplicemente perché nel suo personale percorso artistico l’idea di commissionare arte è inconcepibile.
Non possono esserci condizionamenti esterni in qualcosa che è imprevedibile. Non si possono dare tempistiche al caso.
E soprattutto non si può chiedere a qualcosa di trascendente di farsi immanente per soddisfare i capricci di esseri umani che non provano rispetto per ciò che è sacro.
Cucchi in questo ricorda molto da vicino l’artista russo amato da Florenskij, ovvero colui che con le sue opere desiderava stupire Dio e per questo realizzava icone con lo scopo di renderle strumento di dialogo con il soprannaturale. Direi che potremmo definire Enzo Cucchi un artista diviso tra la concezione dell’arte tipica del mondo occidentale, votata alla ricerca del bello e della resa plastica della forma, e l’artista russo di fine Ottocento, quello a sua volta diviso tra uno jurodivyj (pazzo di Dio) e l’artista nella sua accezione più comune. Si capisce allora come Cucchi abbia potuto dominare la Transavanguardia portando il suo sguardo oltre le forme del presente.
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