Quattorci/C Clio Storia del presente
Alessandro Giacone
Professore associato di storia delle istituzioni politiche all’Università di Bologna
Approfondendo il suo intervento al seminario promosso da Democrazia futura nel gennaio 2024 a un mese dalla scomparsa Jacques Delors l’ultimo grande europeo, Alessandro Giacone, Professore associato di storia delle istituzioni politiche all’Università di Bologna, ripercorre nel suo saggio “Jacques Delors e lo sviluppo delle istituzioni europee (1985-1995)” il decennio ci ricorda l’autore “considerato come l’apogeo del ruolo e dell’influenza della Commissione europea”. Lo studio inizia rievocando “La prima fase dell’azione di Delors a capo della Commissione”, ovvero il periodo che va dal suo insediamento a capo della Commissione europea il 1 gennaio 1985 sino all’approvazione del Trattato di Maastricht. Giacone si sofferma poi su un aspetto fondamentale della concezione che nutre Delors nei confronti delle istituzioni europee, ovvero “La difesa del metodo comunitario” applicata nel corso dei primi due mandati della sua presidenza della Commissione “Dall’Atto unico all’Unione economica monetaria”. Segue la ricostruzione de “La seconda fase dell’azione di Delors a capo della Commissione” in cui presenta il suo celebre Libro bianco e pone le basi per l’allargamento dell’Unione europea, quando viene “confermato nel 1992 per un mezzo mandato per “consolidare l’eredità”: un periodo molto interessante, ma segnato da meno successi rispetto al periodo precedente”. Il testo si conclude con “Il bilancio del decennio deloriano a capo della Commissione europea” soffermandosi infine su “Il gran rifiuto di presentarsi alle elezioni presidenziali francesi del 1995” ed evidenziando “tre idee importanti” che a parere dello storico delle istituzioni europee costituiscono ” Il lascito intellettuale di Jacques Delors”: a) il concetto di “Federazione di Stati nazionali”, b) la “proposta Delors” di “politicizzare” le elezioni europee facendo indicare, dalle varie famiglie politiche, il candidato alla presidenza della Commissione europea; c) la proposta di creazione di una comunità europea dell’energia.
22 settembre 2024
Il decennio di presidenza di Jacques Delors (1985-1994) è stato spesso considerato come l’apogeo del ruolo e dell’influenza della Commissione europea. La storia di questo periodo è già stata scritta molte volte[1], come numerose sono le testimonianze dello stesso Delors e dei suoi collaboratori[2]. Mi limiterò quindi a una riflessione sull’importanza del settimo presidente della Commissione nello sviluppo delle istituzioni europee, ricordando le principali fasi del decennio delorista.
Il primo aspetto, spesso dimenticato, è che all’epoca, il mandato di presidenza durava quattro anni (e non cinque, come attualmente), tale decennio si divide in tre mandati (6 gennaio 1985-5 gennaio 1989; 6 gennaio 1989-5 gennaio 1993; 6 gennaio 1993- 5 gennaio 1995): due mandati quadriennali, e un biennio aggiuntivo per completare l’attuazione del Mercato unico e del trattato Maastricht.
La prima fase dell’azione di Delors a capo della Commissione
La nomina di Delors fu adottata al Consiglio europeo di Fontainebleau del 25-26 giugno 1984. Una decisione che poteva sembrare paradossale, poiché secondo il principio non scritto dell’alternanza tra Paesi membri, la presidenza della Commissione non spettava a un francese, ma a un tedesco[3]. Tuttavia, il cancelliere tedesco Helmut Kohl si disse disposto a rinunciare al turno di un tedesco a favore di un francese
«a condizione che le sue iniziali fossero J. D.»[4].
L’altro commissario francese era l’ex-ministro degli Esteri Claude Cheysson. Il Primo ministro britannico Margaret Thatcher si oppose all’eventualità di una presidenza Cheysson, conoscendolo bene, mentre non conosceva Delors, come pare abbia detto in seguito, con qualche rimorso retrospettivo[5].
Il nuovo presidente arriva a Bruxelles in un contesto favorevole. Dopo cinque anni di paralisi sul contributo britannico, la questione è stata risolta a Fontainebleau, come del resto è stata adottata la decisione di allargare la CEE a Spagna e Portogallo[6]. Delors può così contare sul sostegno di una nuova generazione di leader, non solo Kohl e François Mitterrand, ma anche i socialisti Bettino Craxi e Felipe Gonzáles. E anche il tema di una riforma delle istituzioni sembra maturo: il 14 febbraio 1984, il Parlamento europeo ha presentato il cosiddetto “Progetto Spinelli”[7].
A Fontainebleau, sono istituiti i comitati Dooge[8] e Adonnino[9], incaricati di riflettere a una riforma delle istituzioni e all’Europa dei cittadini.
I primi sei anni di presidenza della Commissione di Delors possono essere considerati una marcia trionfale, mentre il periodo che segue l’adozione del trattato di Maastricht sarà meno favorevole.
Negli ultimi mesi del 1984, non ancora entrato ufficialmente in carica, Delors compie un “tour” nelle capitali europee e, accompagnato dal fedele collaboratore Pascal Lamy, vi incontra i capi di Stato e di governo dei dieci Paesi membri. Non ha ancora un programma o un’idea preconcetta, ma propone tre opzioni:
- il completamento del Mercato comune europeo;
- il progetto di una moneta europea;
- il rilancio di una difesa comune.
Alcuni interlocutori manifestano reticenze sul secondo e il terzo punto, che appaiono ancora prematuri, mentre vi è unanimità sul primo obiettivo. Come noterà Delors,
«i paesi membri accettarono la mia proposta che, a dire il vero, non aveva nulla di originale perché si trattava di attuare… il trattato di Roma firmato nel 1957»[10].
Se i dazi doganali erano stati completamente aboliti nel 1968, i cosiddetti “ostacoli non tariffari” (in particolare, la diversità delle legislazioni sulle norme tecniche) lasciavano di fatto incompiuto il Mercato comune.
Il neopresidente espone il suo programma a Strasburgo il 14 gennaio 1985, affinché la Commissione affermasse
«la sua responsabilità politica di fronte al Parlamento”
e avviasse con esso
«un dialogo fiducioso e un lavoro utile all’Europa»[11].
In questo discorso, propone per la prima volta l’«Obiettivo 92» con la frase:
«Ė presunzione annunciare, e poi attuare la decisione di abolire tutte le frontiere all’interno dell’Europa da qui al 1992?».
Perché il 1992[12]? Perché otto anni corrispondono ai mandati di due Commissioni, e anche alla fine del periodo di transizione per l’adesione della Spagna e del Portogallo.
Un aspetto da non sottovalutare in Delors è la sua capacità di inventare formule semplici, ripetute in innumerevoli circostanze, fino a diventare veri e propri mantra:
«L’Europa deve scegliere tra la sopravvivenza o il declino»[13],
«L’Europa non è un lungo fiume tranquillo»,
«Non ci si innamora di un mercato», poi modificata in «Non ci si innamora di una moneta»
«Bisogna essere inventori di semplicità»
e altri ancora. La formula più famosa è il trittico:
«La competizione che stimola, la cooperazione che rafforza, la solidarietà che unisce».
Un’altra caratteristica peculiare è l’indicazione di un obiettivo con una calendarizzazione precisa, capace di mobilitare le istituzioni europee. In quanto ex parlamentare europeo (presidente della Commissione economica e monetaria), Delors conosce le inefficienze del processo decisionale comunitario:
«La parola routine è stata utilizzata a proposito della procedura di convergenza delle politiche economiche. Potrebbe essere applicata all’insieme della vita comunitaria. L’Europa decide male e troppo tardi ed è raramente di una grande efficacia nell’applicazione delle decisioni che ha preso. Nasce così un processo di burocratizzazione, al tempo stesso paralizzante e troppo interventista»[14].
Grazie all’Obiettivo 1992, Delors riuscirà a mobilitare l’amministrazione di Bruxelles, con un lavoro defatigante che porterà la Commissione a sfornare migliaia di direttive.
Non si occupa in prima persona della gestione della macchina di Bruxelles (uno dei suoi rimpianti sarà quello di non averla riformata), che viene affidata ai suoi più stretti collaboratori, provenienti dalla fucina francese dell’ENA, come il già citato Pascal Lamy, Jean-Pierre Jouyet, François Lamoureux, Jérôme Vignon, Jean-Michel Baer[15].
Ma Delors ha capito che il “Mercato senza frontiere” implica anche una forte implicazione delle forze sociali. Come ricorda nel suo discorso inaugurale, la convergenza delle economie non avrà avuto senso se in due anni non si sarà
«invertita la curva infernale della disoccupazione»[16].
E vi annuncia il desiderio di arrivare alla prima convenzione collettiva europea (idea, questa, che gli viene dalla sua esperienza sindacale e del suo ruolo di negoziatore presso il Primo ministro Jacques Chaban-Delmas). Pochi giorni dopo, riunisce al castello di Val Duchesse i dirigenti sindacali e padronali, e nei mesi seguenti sarà dato avvio ai negoziati tra sindacati e imprenditori, che sfoceranno sulla direttiva-quadro sulla salute e la sicurezza sul lavoro[17]. E i partner sociali accompagneranno con favore le riforme necessarie all’Obiettivo 1992.
Le vicende degli anni seguenti sono note, e vorrei insistere sull’estrema rapidità del processo. Il Libro bianco della Commissione sul completamento del Mercato unico è preparato da Lord Arthur Cockfield nel primo semestre del 1985. Il Consiglio europeo di Milano si svolge il 28-29 giugno. La Conferenza intergovernativa (CIG) si apre a luglio, sotto presidenza lussemburghese, e conclude i suoi lavori a fine anno. L’Atto unico è firmato dai Dodici[18] il 17 e 28 febbraio 1986 ed entrerà in vigore il 1° luglio 1987. I negoziati della CIG sono durati solo sei mesi e il Trattato entra in vigore due anni e mezzo dopo il discorso inaugurale di Delors a Strasburgo.
Il ruolo di Delors nella prima riforma dei Trattati di Roma può essere riassunto nel modo seguente: presente a Stresa per un Consiglio informale dei ministri degli Esteri (8 giugno 1985), ne approfitta per incontrare a Milano Craxi (Presidente di turno del Consiglio europeo) ed esporgli le due opzioni possibili: una modifica di pochi articoli del trattato CEE o l’approvazione di un nuovo trattato.
Alla vigilia del vertice di Milano, Mitterrand e Kohl presentano un progetto di trattato intergovernativo, di cui né Delors né la Presidenza italiana sono al corrente. Delors lo considera un grave colpo inferto al metodo comunitario e manifesta la sua sorpresa sia a Kohl «che non ha insistito molto» sia a Mitterrand «con una certa brutalità»[19].
Il progetto non verrà poi discusso al Consiglio europeo, in cui Delors sottolinea con forza che non sarà possibile giungere al Mercato unico senza una riforma di un Trattato CEE, in cui erano presenti 33 disposizioni che richiedevano l’unanimità. Il giorno dopo, Craxi metterà ai voti la convocazione di una Conferenza intergovernativa per la riforma dei trattati (approvata con 7 voti contro 3).
Molti anni dopo, Delors commenterà in questi termini la decisione inedita di procedere a un voto in Consiglio europeo:
«Craxi era un uomo che decideva. Nel contesto italiano dell’epoca, tale capacità attirava l’attenzione e sorprendeva»[20].
Alla CIG viene dato mandato di preparare due trattati separati sulla politica estera e sul Mercato comune (con le disposizioni per estendere il voto a maggioranza qualificata). Durante i negoziati, Delors ne otterrà l’unificazione in un solo trattato – da qui il nome di Atto “unico” – di cui la Commissione è all’origine del 90 per cento delle proposte. Per questi motivi, definirà l’Atto unico come il suo “trattato preferito”[21], sottolineando che
«senza l’azione di Spinelli e del Parlamento, non gli sarebbe stato possibile inserire tutti qui fattori di progresso»
nella revisione del trattato CEE[22].
Come è noto, lo stesso Altiero Spinelli rimase molto deluso dall’abbandono del “suo” trattato, definendolo come
«un pesce di cui era rimasta solo la lisca».
Nei decenni seguenti, il pesce sarebbe stato in qualche modo “rimpolpato” dalle successive revisioni dei trattati, ma l’atteggiamento di Spinelli (poi scomparso l’anno seguente, nel maggio 1986) provocò in Delors «sorpresa e dolore»[23]. Una volta ratificato il trattato, la Commissione preparò la sua entrata in vigore predisponendo misure di accompagnamento affinché le economie più deboli potessero affrontare lo choc del Mercato unico. Il 15 febbraio 1987, Delors presentò al Parlamento la comunicazione “Réussir l’Acte unique”[24], concretatosi più tardi nell’adozione del primo pacchetto Delors:i fondi strutturali passarono da 5 a 14 miliardi di ecu[25]. Anche dal punto di vista formale, agli occhi di Delors, l’Atto unico non ha “un pollice di grasso”:
«È un trattato breve, che dice esattamente ciò che intende e si presta a poche controversie sulla sua portata o interpretazione. Con questo testo, la Commissione ha lo strumento politico di cui aveva bisogno, non solo per stabilire il mercato interno, ma anche per applicare politiche che avrebbero dato alla Comunità il volto di un modello europeo di società, un equilibrio tra mercato e regolamentazione, una sottile dialettica tra concorrenza, cooperazione e solidarietà»[26].
In questo periodo, sono peraltro adottate decisioni importanti dal punto di vista storico-simbolico. Nel 1986, al Berlaymont viene issata per la prima volta la bandiera europea[27], un brand che diverrà onnipresente anche sulle etichette dei prodotti europei. All’epoca, è convinzione comune che le dodici stelle corrispondano ai Dodici stati membri della CEE: in realtà, il numero era già stato fissato nel 1955[28].
Dal 1985, il presidente della Commissione entra a far parte in modo strutturale del G7, partecipando ai vari vertici internazionali, il che avrà la sua importanza durante i negoziati del GATT. Di fatto, egli avrà anche a livello protocollare, uno status paragonabile a quella di un Capo di Stato.
Nel dicembre del 1986, viene lanciato il programma Erasmus, dopo un primo tentativo nel 1985[29]. Enrico Letta ha ricordato che Delors fece una concessione finanziaria a Margaret Thatcher, in cambio di “un programmino per studenti”[30]. Il Primo ministro inglese non intuì l’importanza strategica di un programma, di cui fino ad oggi hanno beneficiato 18 milioni di studenti. Si tratta anche di un’illustrazione del cosiddetto “spill over” verso un nuovo settore, poiché la formazione e l’università non erano (ancora) incluse nelle competenze comunitarie.
La difesa del metodo comunitario. Dall’Atto unico all’Unione economica monetaria
Nella sua concezione delle istituzioni europee, Delors difenderà sempre il metodo comunitario. Nei confronti del Consiglio europeo, ha un atteggiamento pragmatico: se ne riconosce la funzione di indirizzo, fa spesso notare che
«i capi di Stato e di governo non si svegliano al mattino pensando all’Europa».
Il compito della Commissione è quello di preparare e facilitare i compromessi, con un contatto continuo con i governi. Delors scrive nelle sue memorie che
«il suo compito essenziale era assicurarsi il controllo intellettuale dell’agenda del Consiglio europeo»,
cercando di limitare i temi in esso affrontati.
Significativo anche il suo metodo di lavoro, che consiste nel proporre ai membri del Consiglio delle note corte, di tre o quattro pagine, proponendo ai governi le varie opzioni[31].
Entrato in vigore l’Atto unico, Delors ha sottolineato che un Mercato unico sarebbe più efficiente con una moneta europea. Nel giugno del 1988, ben prima della caduta del muro di Berlino, il Consiglio europeo di Hannover dà mandato al presidente della Commissione di studiarne la possibile realizzazione con un comitato ad hoc. Va ricordato che, negli anni precedenti, dal 1979 al 1981 Delors aveva presieduto la Commissione sugli Affari economici e monetari al Parlamento europeo e che, anche da presidente della Commissione, aveva tenuto per sé il portafoglio degli Affari monetari (ma non quelli economici), partecipando a Basilea alle riunioni mensili dei Governatori delle banche centrali del Sistema Monetario Europeo (SME).
Nel formare il comitato, Delors si dimostra un fine stratega. Spiega a Kohl che bisogna includervi questi ultimi (e non i ministri delle Finanze) per la loro competenza specifica in materia monetaria[32]. Far partecipare i Governatori aveva peraltro il vantaggio di smorzare le opposizioni che si sarebbero probabilmente manifestate, in particolare quella del presidente della Bundesbank, Karl Otto Pöhl. Nella seduta inaugurale del Comitato (che prenderà il suo nome), Delors precisa che la scelta o meno di una moneta europea spetterà ai politici. Il loro compito è diverso: determinare le condizioni tecniche che renderebbero possibile il passaggio a una moneta europea (se possibile, unica).
Presieduto da Delors, il Comitato includerà i Governatori delle dodici banche centrali (Carlo Azeglio Ciampi per la Banca d’Italia) e tre tecnici, tra cui il segretario generale Tommaso Padoa-Schioppa, che avrà un ruolo eminente. Il principale ostacolo riguarda l’indipendenza delle Banche centrali, fieramente avversata dai socialisti francesi per ragioni storiche. Nel 1924, l’esperienza del “cartello delle sinistre” si era infranta sul “Mur de l’argent” degli azionisti della Banca di Francia. Nel 1936, una delle prime misura del Fronte popolare di Léon Blum ne era stata la nazionalizzazione. Mezzo secolo dopo, l’idea di una necessaria subordinazione di una Banca centrale al potere politico continua ad essere difesa dal ministro delle Finanze Pierre Bérégovoy e dalla direzione del Tesoro francese. Ho avuto modo di parlarne di recente con l’allora governatore della Banca di Francia, Jacques de Larosière. Questi chiese un appuntamento al presidente Mitterrand, spiegandogli di essere stato nominato ad personam nel Comitato Delors, e non in quanto rappresentante della Francia. Personalmente favorevole all’indipendenza della Banca centrale, disse che avrebbe difeso tale posizione (anche per motivi strettamente tecnici) e che in caso contrario, avrebbe dato le dimissioni da Governatore. La risposta interlocutoria di Mitterrand
«Nelle democrazie moderne, vi è una tendenza a delegare dei poteri ad autorità indipendenti»
gli dette un sostanziale via libera. Caduto questo ostacolo, i lavori del Comitato Delors procedettero spediti, come testimoniato da de Larosière:
«Delors era un presidente silenzioso e, secondo me, fu questo uno dei fattori che gli permisero di ottenere l’unanimità. Non prese parte alle discussioni, non ci concertavamo prima delle riunioni: tutti sono stati al gioco. Non ha cercato di influenzare la discussione, ma ha lasciato sviluppare un accordo, che alla fine fu unanime, grazie anche a quello che avevo ottenuto dal presidente Mitterrand»[33].
L’importanza del Rapporto del Comitato Delors risiede più nell’aver raggiunto l’unanimità che nel contenuto stesso dell’Unione economica e monetaria (UEM), che ricalcava le tre fasi già previste nei primi anni Settanta dal rapporto Werner (libertà dei movimenti di capitale; istituzione dell’Istituto monetario europeo, la futura BCE; entrata in circolazione della moneta unica).
L’unica novità, che verrà poi adottata a Maastricht, sarà l’introduzione di un calendario preciso per il passaggio alla terza fase. Il Rapporto del Comitato Delors viene presentato et approvato al Consiglio europeo di Madrid del 26-27 giugno 1989 in un contesto segnato dall’inizio dello smantellamento della Cortina di ferro (il Muro di Berlino resterà in piedi ancora per qualche mese).
Viene deciso l’avvio della prima fase dell’UEM il 1° luglio 1990. E nei mesi seguenti, quando Kohl proporrà il piano di dieci punti per riunificazione delle due Germanie, ci sarà l’accordo non scritto (e forse neanche orale, tanto la situazione era chiara ai due leader) con il quale Mitterrand accettava la riunificazione tedesca in cambio della rinuncia al marco[34].
Il rapido passaggio dall’Atto unico al Rapporto del Comitato Delors e quindi al Trattato di Maastricht costituisce un’ottima illustrazione della “teoria dell’ingranaggio”, secondo la quale una misura conduce necessariamente alla seguente[35]. Tuttavia, il “cammino verso Maastricht”, per riprendere l’espressione di Kenneth Dyson e Kevin Featherstone[36], non fu affatto agevole e non particolarmente consona agli orientamenti di Delors[37]. Questi avrà sempre un atteggiamento ambivalente in merito al trattato che istituiva l’Unione europea (Ue): da un lato, ne apprezzava il versante economico (e il fatto che a Maastricht fosse fissata una data per l’avvio della terza fase) che riprendeva le disposizioni del rapporto del Comitato Delors; dall’altro, riteneva prematuro parlare di una politica estera comune (come purtroppo dimostrerà, di lì a poco, la guerra in ex-Jugoslavia) e soprattutto si oppose, sia in privato sia con interviste giornalistiche, alla struttura in tre pilastri[38], che rompeva l’unità del metodo comunitario, dedicando troppo spazio alla cooperazione intergovernativa.
Il Trattato di Maastricht, insomma, non fu opera di Delors.
I difetti di funzionamento che egli aveva intravisto si manifestarono negli anni seguenti e non solo sul piano della PESC. Bisognerà attendere il Trattato di Lisbona (entrato in vigore nel 2009) perché il secondo e terzo pilastro fossero comunitarizzati, segnando una vittoria “postuma” di Delors (che tuttavia era ancora molto attivo in campo europeo).
Come è noto, l’approvazione del Trattato di Maastricht fu irta di insidie, prima con il “no” della Danimarca (che votò una seconda volta, in cambio di un opting out sulla moneta unica analogo a quello già ottenuto dal Regno Unito), poi con la vittoria di stretta misura del “sì” al referendum francese (20 settembre 1992).
La seconda fase dell’azione di Delors a capo della Commissione: Libro bianco e allargamento
Dopo Maastricht inizia la seconda fase dell’azione di Delors a capo della Commissione, confermato nel 1992 per un mezzo mandato per “consolidare l’eredità”: un periodo molto interessante, ma segnato da meno successi rispetto al periodo precedente.
Contrariamente a quanto avvenuto per l’Atto unico, l’entrata in vigore del trattato di Maastricht (1° novembre 1993) non avviene in un contesto favorevole. Ci sono state le crisi monetarie del 1992 e del 1993 e l’esplosione della disoccupazione di massa che toccava soprattutto i giovani.
Per favorire un rilancio economico, la Commissione europea presentò il Libro bianco “Crescita, competitività e impiego: le sfide per entrare nel XXI° secolo”[39], un documento importante sul piano intellettuale, considerato come il testamento dell’azione di Delors. Vi si preconizzavano un programma di grandi infrastrutture (trasporti, energia) e di reti informatiche (le cosiddette autostrade dell’informazione) e un investimento sostanziale per la formazione e la ricerca. Il tema dell’ambiente è molto presente, con la proposta di una carbon tax sulle emissioni di diossido di carbonio.
Sul piano intellettuale, il documento è approvato all’unanimità al Consiglio europeo di Essen (9-10 dicembre 1994), l’ultimo al quale partecipò Jacques Delors.
Si pone tuttavia il problema del finanziamento, stimato a 20 miliardi di ecu in 20 anni, in parte ottenuti con un prestito comunitario. Su questo ultimo punto, vi fu opposizione da parte di Regno Unito, di Germania e poi di altri paesi “frugali”, che si manifestò anche negli anni seguenti.
Il Libro bianco rimarrà un testo di riferimento durante la presidenza Santer (1994-1999), ma non fu attuato nei suoi aspetti comunitari.
L’altro lascito essenziale del decennio delorista furono i vari allargamenti: nel 1985, gli Stati membri erano dieci, e quindici quando lasciò la presidenza della Commissione. In questi anni, sono poste le basi per il grande allargamento del 2004. Dopo la Spagna e il Portogallo, nel 1990 tocca ai Länder della ex-Repubblica Democratica Tedesca (Rdt), un allargamento spesso dimenticato che riguarda 18 milioni di persone e che richiede uno sforzo di adattamento alla normativa comunitaria, come ricordato da Delors nelle sue Memorie:
«Nel mese di agosto, la Commissione si è mobilitata, molti hanno sacrificato le loro vacanze per ultimare i nuovi testi sull’applicazione delle leggi europee ai Länder dell’Est, la libera circolazione delle persone, dei beni, dei servizi e dei capitali come esisteva all’epoca, i benefici della coesione economica e sociale o l’agricoltura, che era un problema poiché c’erano grandi imprese agricole di stato e abbiamo dovuto terminare il nostro lavoro senza sapere esattamente qual era l’estensione delle superfici agricole della RDT. Ma non si siamo fatti fermare da questa difficoltà. Le scadenze dovevano essere rispettate».
Dopo l’ex-RDT, la Commissione prepara l’entrata dei futuri stati membri dell’Unione europea. Innanzitutto, bisogna modificare il numero di seggi al Parlamento (quelli della Germania riunificata passano da 81 a 99) e le regole di voto al Consiglio[40].
Il 2 maggio 1992, viene firmato l’accordo di libero scambio con i paesi dell’EFTA[41], che crea lo Spazio economico europeo – ancora oggi, l’acronimo EEE è visibile nei nostri aeroporti.
Si tratta di una tappa importante verso l’ingresso nell’Unione europea di Austria, Finlandia e Svezia (ma non della Norvegia)[42], che avverrà il 1° gennaio 1995, quando l’ultimo mandato di Delors è ormai agli sgoccioli.
In parallelo, vengono adottati il secondo pacchetto Delors (26 miliardi di ecu) per i fondi di coesione, il programma PHARE per aiutare economicamente i paesi dell’ex-blocco comunista (più Cipro e Malta), mentre al Consiglio europeo di Copenaghen del 21-22 giugno 1993 vengono definiti i criteri politici ed economici per i Paesi candidati all’adesione, che all’epoca verrà ritenuta troppo prematura (e in seguito troppo tardiva). A distanza di anni, non è possibile risolvere questo dibattito, ma si può constatare che i successivi allargamenti si sono svolti senza dar luogo a nessuna delle conseguenze negative allora prospettate.
Il bilancio del decennio deloriano a capo della Commissione europea
Il bilancio di questo decennio è impressionante: l’Europa di oggi deve molto alle Commissioni Delors, a trent’anni dalla fine dell’ultimo mandato:
- il completamento del mercato unico, con un aumento esponenziale degli scambi intercomunitari;
- la nascita dell’Unione europea e la sua estensione a gran parte del continente europeo con istituzioni e normative che, nonostante i loro limiti innegabili, sono riuscite ad affrontare crisi molto gravi;
- l’innegabile sviluppo economico dei diciotto Paesi che si aggiunti dal 1986;
- l’adozione dell’euro in venti Stati dell’Unione europea e il suo ruolo internazionale di seconda moneta di riserva dopo il dollaro;
- lo sviluppo di una cittadinanza europea, con nuovi diritti e programmi d’azione, di cui Erasmus è l’esempio più significativo.
Come ha ricordato nel marzo 2024 Pascal Lamy (citando la formula di Pieter Altmaier), nella storia europea solo due statisti sono riusciti a raggiungere tutti gli obiettivi della loro agenda: Otto von Bismarck e Jacques Delors[43].
Il gran rifiuto di presentarsi alle elezioni presidenziali francesi del 1995
Nonostante tutto ciò, in Francia il ricordo di Delors è legato soprattutto al suo rifiuto di presentarsi alle elezioni presidenziali del 1995, a cui era dato favorito da tutti i sondaggi. Per gran parte dei francesi, Delors è passato alla storia come
«l’homme qui dit non»[44].
Una reazione sintomatica, su cui ci sarebbe da riflettere anche sul piano psicanalitico, in un paese in cui sembra esistere solo l’elezione del Presidente della Repubblica (di cui non si analizza neanche l’operato; l’unico tema di interesse è sapere chi sarà il successore). La sorpresa fu enorme anche perché Delors aveva appena pubblicato quello che probabilmente è il suo libro migliore, L’Unité d’un homme[45], un bilancio del proprio impegno politico che sembrava appunto preludere a una candidatura presidenziale. L’11 dicembre 1994, la dichiarazione in diretta televisiva della non-candidatura[46], arrivò al termine di un lungo excursus sull’esperienza decennale a Bruxelles, che sembrava poter proseguirsi all’Eliseo.
I motivi di quella decisione non sono misteriosi: Delors li spiegò alla giornalista Anne Sinclair in quella popolare trasmissione televisiva; e vi è tornato varie volte negli anni seguenti, sia nelle proprie Memorie[47], sia in varie interviste, in cui è trapelato anche qualche rimpianto[48].
Vi erano innanzitutto considerazioni di tipo personale e familiare. Delors stava per compiere 70 anni e dopo averne trascorso una vita di Capo di Stato per gli ultimi dieci, ritmati ognuno da centinaia di visite all’estero, desiderava una vita più tranquilla: in questo vi fu una forte influenza della moglie, Marie, e anche il desiderio di preservare l’avvenire politico della figlia, Martine Aubry, in cui egli vedeva una futura candidata alle presidenziali[49].
Alla decisione, tuttavia, contribuirono anche motivazioni prettamente politiche: Delors disse che
«i rimpianti di oggi sarebbero stati inferiori alle delusioni di domani».
Sapeva di non essere sulla linea ideologica di sinistra del PS del segretario Henri Emmanuelli, che pure aveva sollecitato insistentemente la sua candidatura[50]. Era favorevole a un’alleanza di centro-sinistra tra i socialisti e i centristi dell’Udf, e non alla formula della “gauche plurielle” che sarà poi adottata da Lionel Jospin. Il segretario dell’Udf, François Bayrou diede un parere negativo[51]. A quel punto, la candidatura tramontò, come riassunto dallo stesso Delors:
«Una tale maggioranza si poteva trovare al crocevia tra socialismo e democrazia cristiana. Ho applicato felicemente questo metodo a livello europeo, perché, francamente, la situazione vi si prestava. Ed è così che abbiamo potuto far progredire la costruzione europea. Ma tale modello non era trasferibile in Francia, impressione confermata dall’atteggiamento ambiguo, se non riservato o proprio ostile, da parte dei politici francesi che si proclamavano ancora (ma sempre meno) della democrazia cristiana»[52].
A distanza di tre decenni, possiamo riesaminare le varie argomentazioni. Ovviamente, la scelta di non presentarsi alle presidenziali era pienamente legittima sul piano personale.
Del resto, una sua elezione non era per nulla scontata. Stava per finire il secondo settennato di presidenza Mitterrand, e non sarebbe stato semplice eleggere un altro socialista, anche se anomalo come Delors. Del resto, i sondaggi del dicembre 1994 non avrebbero per forza corrisposto al voto dell’aprile 1995. Si pensi al fatto che nello stesso periodo, il Primo ministro in carica, Édouard Balladur, era stato a lungo il favorito dei sondaggi, e alla fine non riuscì neanche a qualificarsi per il secondo turno. Jacques Delors non amava far campagna, e soprattutto non voleva mentire agli elettori: sarebbe riuscito ad affrontare una campagna in cui gli avversari di centro-destra avrebbero sparato a zero sull’“uomo di Bruxelles”?
Meno importante sembra l’argomento anagrafico: considerando che Delors sarebbe vissuto per quasi trent’anni, quasi sicuramente sarebbe stato in grado di terminare il settennato presidenziale, e magari anche di essere – come Mitterrand – nuovamente candidato.
E anche l’argomento politico può essere ribaltato. Molte vicende politiche, anche recenti, hanno dimostrato che il potere esercita la stesso attrazione di quella che, la notte, esercita un lampione stradale sugli insetti. Ė molto probabile che una presidenza Delors sarebbe riuscita ad attrarre i deputati di centro nella maggioranza parlamentare[53].
Con il senno di poi, si può anche dire che la sua defezione non fu una catastrofe per la sinistra. Colui che ne fu il candidato, Lionel Jospin, arrivò inaspettatamente in testa al primo turno delle presidenziali[54], e pur superato al secondo turno da Jacques Chirac, riuscì poi a vincere le legislative del 1997 e a governare per cinque anni. La rinuncia di Delors non ebbe le stesse conseguenze della pesante sconfitta di Jospin al primo turno delle presidenziali del 2002.
Ma il punto è un altro. In quanto presidente della Commissione, Delors occupò la funzione che, per questione di temperamento, gli si addiceva maggiormente, quella del mediatore e del fautore di compromessi.
«Ho sempre detto ai miei successori: “Siete una sorta di Commissaire au Plan, e non un capotribù. Chi comanda sono i Capi di Stato”»[55].
In queste parole, si ritrova il riferimento al Commissariato generale al Piano, creato da Jean Monnet nel 1946 e luogo di formazione per Delors ai tempi di Pierre Massé, quando aveva partecipato al dialogo sociale tra imprenditori e sindacati. Il Piano era un produttore di accordi e di idee. Delors era riuscito a svolgere un ruolo analogo anche a Bruxelles, con i membri del Consiglio europeo, con le altre istituzioni comunitarie e con i partner sociali.
Avrebbe potuto avere un impatto paragonabile come presidente della Repubblica francese? Ovviamente non lo sapremo mai. Possiamo solo sottolineare il pallido bilancio dei due mandati di colui che fu eletto nel 1995. Cosa resta dell’azione presidenziale di Jacques Chirac? Quasi nulla.
Con la rinuncia ad essere candidato alle presidenziali, Delors non pensava tuttavia che con essa si chiudesse anche la sua carriera politica. Gli accadde più o meno quel che era successo a Monnet, non confermato nel 1955 alla presidenza dell’Alta Autorità della Ceca, sempre molto presente nel dibattito grazie al Comitato d’azione per gli Stati Uniti d’Europa, ma senza più avere responsabilità esecutive. Delors voleva ancora essere utile, e vi furono due importanti lost rendez-vous.
Nel 1997, al momento della formazione del governo Jospin si parlò di lui al ministero degli Esteri. Delors era disponibile, nel momento in cui si negoziava il Trattato di Amsterdam (in particolare, il “governo economico” dell’euro e il patto di stabilità). Ma in periodo di coabitazione, sia per il Presidente della Repubblica Jacques Chirac sia per il Primo Ministro Lionel Jospin, una personalità come Delors era sicuramente troppo ingombrante per condurre il Quai d’Orsay. Gli venne preferito il tecnico Hubert Védrine, già collaboratore di Mitterrand. A Delors venne offerto il ministero della Giustizia, che rifiutò non sentendosi competente.
Nei mesi seguenti, fece pervenire al governo socialista molte note sul funzionamento del governo economico: la moneta unica era un tavolo che doveva reggersi su due gambe: oltre alla politica monetaria (di competenza della BCE) bisognava coordinare le politiche di bilancio degli stati dell’eurozona. Non nascose la sua delusione quando Jospin e il ministro dell’Economia Dominique Strauss-Kahn rinunciarono a difenderle al Consiglio europeo di Amsterdam del 16-17 giugno 1997 e, purtroppo, bisogna notare che, da allora, non sono stati fatti molti passi avanti.
Nel dicembre 2001, vi fu la seconda occasione mancata, quando il Consiglio europeo di Laeken istituì la Convenzione europea, che poi elaborò il Trattato costituzionale. Per il suo passato e la sua esperienza, Delors poteva sembrare il candidato naturale alla presidenza della Convenzione[56]. Si impose tuttavia la scelta di un’altra grande personalità europeista, l’ex-presidente Valéry Giscard d’Estaing.
Ho avuto modo di chiedere allo stesso Jospin perché non avesse difeso la candidatura di Delors. Mi rispose che sarebbe stato il presidente ideale, ma che contrariamente a Giscard d’Estaing, non aveva fatto campagna[57]. Delors avrebbe voluto essere nominato e non volendo esporsi in prima persona, fece tramontare propria candidatura, anche se intervenne frequentemente ai dibattiti sul futuro delle istituzioni europee.
Nel 2005, l’autore di queste righe partecipò all’organizzazione di un meeting alla Maison de l’Amérique latine con Jacques Delors e François Hollande (allora segretario del Parti Socialiste in Francia) per difendere il “sì” alla costituzione europea. Fu probabilmente l’ultimo comizio comune tra le due personalità. Da presidente, Hollande invitò una sola volta all’Eliseo colui che aveva considerato come il suo mentore politico, mentre Delors si dolse di non essere maggiormente consultato[58].
Nonostante i rapporti con difficili col Parti Socialiste, Delors continuò ad avere un ruolo attivo sulla scena pubblica. Per circa vent’anni, fino a quando si ritirò a vita privata, fu in qualche sorta “il volto dell’Europa”, intervenendo ad innumerevoli conferenze, trasmissioni, presentazioni di libri, eccetera. Oltre a vari incarichi nazionali ed internazionali[59], fondò il gruppo di studi “Notre Europe” (oggi Istituto Jacques-Delors), che presiedette fino al 2004[60] e che diede, e dà tuttora, un importante contributo al dibattito di idee e di progetti sull’Europa[61].
Il lascito intellettuale di Jacques Delors: tre idee importanti
Oltre alle realizzazioni del decennio alla Commissione, anche il lascito intellettuale di Delors è degno di nota. Vorrei concludere ricordando brevemente tre idee da lui lanciate e tuttora importanti.
Il primo è il concetto di “Federazione di Stati nazionali”, già espresso al momento dell’approvazione del trattato di Maastricht. Nell’introduzione del volume Le Nouveau concert européen, Delors ricorda le divisioni tra unionisti e federalisti al Congresso dell’Aja, prima di concludere:
«Per gli unionisti la costruzione dell’Europa deve compiersi essenzialmente sulla base di una cooperazione tra gli Stati. Vi si riconosceranno i fondamenti della tesi inglese; per i federalisti l’unione degli europei non è possibile che se gli Stati consentono a dei trasferimenti di sovranità alle istituzioni comunitarie. […] Tale distinzione è sempre utile per capire le discussioni attuali. Ma l’Europa delle realtà si è ispirata a entrambe le tesi»[62].
Per Delors, si trattava quindi di affermare che l’obiettivo della Federazione europea non sarebbe potuto andare avanti senza il concorso delle nazioni. Il concetto di “Federazione di Stati” fu accolto come una contraddizione in termini sia dai federalisti che dai sovranisti, ma ebbe grande fortuna nei discorsi sul futuro dell’Unione tra il 2000 e il 2001[63]. Difensore dell’idea di un’avanguardia europea, Delors la rilanciò nel 2000 mentre si avvicinava l’allargamento dell’Unione, proponendo un “nucleo duro” dotato di istituzioni proprie[64], mentre si dichiarava scettico sul funzionamento delle cooperazioni rafforzate.
La seconda idea importante fu la cosiddetta “proposta Delors”, che fu presentata nel 1996: “Notre Europe” proponeva di “politicizzare” le elezioni europee facendo indicare, dalle varie famiglie politiche, il candidato alla presidenza della Commissione europea. La proposta Delors ebbe poi una traduzione istituzionale nel 2007. L’art. 17.7 del Trattato sull’Unione europea stipula che
«tenendo conto dei risultati delle elezioni del Parlamento europeo», il Consiglio europeo «propone al Parlamento europeo un candidato alla carica di presidente della Commissione».
Disposizione effettivamente applicata nel 2014, con la nomina di Jean-Claude Juncker; ignorata nel 2019, quando a Manfred Weber, Spitzenkandidat del PPE, venne preferita Ursula von der Leyen; e nuovamente applicata nel 2024, quando la stessa von der Leyen fu candidata del PPE e confermata a capo della Commissione. Con qualche difficoltà, la prassi sembra quindi essersi consolidata.
Nel 2013, Jacques Delors e “Notre Europe” presentarono una proposta di creazione di una comunità europea dell’energia[65]. Negli anni precedenti, Delors aveva spesso criticato i Capi di governo europei che andavano
«a fare la danza del ventre di fronte a Putin»
per acquistare il gas e petrolio russo. Veniva proposta una mutualizzazione degli acquisti di energia a livello europei, migliorando la capacità negoziale comune ed organizzando la distribuzione egualitaria nei paesi europei.
Ciò non è avvenuto negli anni seguenti, anche se la crisi del Covid ha illustrato le possibilità della mutualizzazione degli acquisti e la ripartizione dei vaccini a livello europeo, un modello che potrà essere trasferito anche al campo dell’energia.
Nonostante le delusioni che Delors subì negli ultimi anni di vita, il suo lascito non è stato dimenticato. Nel 2015, in occasione del suo novantesimo compleanno, divenne la terza personalità dopo Jean Monnet[66] e Helmut Kohl, a ricevere il titolo onorifico di cittadino europeo.
La sua scomparsa, il 27 dicembre 2023, fu seguita da un omaggio nazionale a Parigi all’Esplanade des Invalides il 5 gennaio 2024, con un discorso pronunciato dal presidente Emmanuel Macron, in presenza di moltissime personalità europee.
[1] Cf. The European Commission 1986-2000: history and memories of an institution, a cura di Ėric Bussière, Vincent Dujardin et alii, Luxembourg, Publications Office of the European Union, 2019; Bino Olivi, Alessandro Giacone, L’Europe difficile, Histoire politique de la construction européenne, Paris, Folio Gallimard, 2007, p. 185-328; Charles Grant, Delors: Inside the house Jacques built, London, Nicholas Brealey Publishing, 1994; Éric Bussière, L’Europe de Jacques Delors, Paris, Sorbonne Université Presses, 2024.
[2] Jacques Delors, Le nouveau concert européen, Paris, Odile Jacob, 1992; Id., L’unité d’un homme, Entretiens avec Dominique Wolton, Paris, Odile Jacob, 1994; Id., Combats pour l’Europe, Parigi, Economica, 1999; Id., Mémoires (avec Jean-Louis Arnaud), Paris, Plon, 2004; Notre Europe et Id., L’Europe tragique et magnifique, Paris, éditions Saint-Simon, 2006; Cécile Amar, L’homme qui ne voulait pas être roi. Conversations avec Jacques Delors, Paris, Grasset, 2016.
[3] Dalla fine del mandato di Walter Hallstein (1967), nessun tedesco aveva presieduto la Commissione. I presidenti seguenti erano stati il belga Jean Rey (1967-1970), l’italiano Franco Maria Malfatti e l’olandese Sicco Leendert Mansholt (1970-1973), il francese François-Xavier Ortoli (1973-1977), l’inglese Roy Jenkins (1977-1981) e il lussemburghese Gaston Thorn (1981-1985). Di conseguenza, l’ultimo mandato di un presidente francese era scaduto solo otto anni prima.
[4] Jacques Delors, Mémoires, op. cit. alla nota 2, p. 167.
[5] Nelle sue Memorie, Delors dice di non essere stato al corrente del rifiuto della Thatcher nei confronti di Cheysson. Ibidem.
[6] Delors elogerà il predecessore, Gaston Thorn (che pure non ha lasciato un grande ricordo nella memoria collettiva) per aver spianato la strada verso il rilancio europeo.
[7] Cf. in particolare, Altiero Spinelli, Come ho tentato di diventare saggio, Bologna, Il Mulino, 1999; Id., Diario europeo 1976-1986, a cura di Edmondo Paolini, Bologna, Il Mulino, 1992; Pietro Graglia, Altiero Spinelli, Bologna, Il Mulino, 2008; su questa fase, Bino Olivi, Alessandro Giacone, L’Europe difficile, Histoire politique de la construction européenne, op. cit. alla nota 1, pp. 173-183.
[8] Dal nome del senatore ed ex ministro degli Esteri irlandese John Dooge.
[9] Dal nome del parlamentare europeo democristiano Pietro Adonnino.
[10] Jacques Delors, Le nouveau concert européen, op. cit. alla nota 2, p. 15.
[11] Ibidem, p. 27.
[12] Anche se il Mercato unico nascerà ufficialmente solo il 1° gennaio 1993.
[13] La frase suona decisamente meglio in francese: «Europe: la survie ou le déclin».
[14] Jacques Delors, Le nouveau concert européen, op. cit. alla nota 2, p. 56.
[15] Senza dimenticare Émile Noël, segretario generale della Commissione europea dal 1958 al 1987.
[16] Jacques Delors, Le nouveau concert européen, op. cit. alla nota 2, p. 31. Curiosamente, Delors dimenticherà di aver parlato di «inversione di curva della disoccupazione», formula ripresa (forse involontariamente) dal futuro presidente François Hollande nella campagna presidenziale del 2012. Cf. Cécile Amar, L’homme qui ne voulait pas être roi, op. cit. alla nota 2, p. 88.
[17] Nel 1989, gli Stati membri della CEE (ad eccezione della Gran Bretagna) adotteranno la Carta comunitaria dei diritti sociali fondamentali dei lavoratori, che aggiornava la carta sociale europea firmata a Torino nel 1961.
[18] Dal 1° gennaio 1986, la CEE si è allargata a Spagna e Portogallo.
[19] Jacques Delors, Mémoires, op. cit. alla nota 2, p. 209.
[20] Ibidem, p. 212.
[21] É anche il titolo del 7° capitolo delle Memorie. Ibidem, pp. 202-228.
[22] Ibidem, p. 175.
[23] Ibidem.
[24] Vedine il discorso riprodotto in Jacques Delors, Le nouveau concert européen, op. cit. alla nota 2, pp. 50-60.
[25] Sul primo pacchetto Delors, cf. Jacques Delors, Mémoires, op. cit. alla nota 2, pp. 229-246.
[26] Ibidem, pp. 227-228.
[27] Sulle circostanze dell’adozione della bandiera europea, cf. Jacques Delors, Mémoires, op. cit. alla nota 2, p. 318.
[28] La bandiera a dodici stelle fu adottata nel 1955 dall’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa, ma solo nel 1986 sarà comune a tutte le istituzioni europee (decisione presa al Consiglio europeo di Milano).
[29] Jacques Delors, Mémoires, op. cit. alla nota 2, p. 319.
[30] Cf. l’intervento di Enrico Letta al convegno dell’Associazione Italiques del 7-8 dicembre 2017 in 1997-2017: Vent’anni di scambi culturali italo-francesi, a cura di Alessandro Giacone, Roma, Aracne, 2018, 164 p. [p. 99].
[31] Jacques Delors, Mémoires, op. cit. alla nota 2, p. 226.
[32] Ibidem, p. 333. Sulle circostanze della nascita del Comitato, cf. pure l’intervista di Jacques Delors consultabile su https://www.youtube.com/watch?v=OsvBq0JLKf8&list=PLPLK3MM8qIjGF9iexoEACx6yBry9rwJdG.
[33] Testimonianza di Jacques de Larosième all’autore, 25 gennaio 2023, pubblicato su Conviction, Bulletin de l’Association Michel Rocard, VII (51), febbraio 2023, pp. 10-15.
Cf. https://michelrocard.org/themes/rocard/static/pdfviewer/?docid=679882&language=fra# .
[34] Sui «prodigiosi cambiamenti» del 1989, cf. Jacques Delors, Mémoires, op. cit. alla nota 2, pp. 268-303.
[35] Ibidem, p. 206.
[36] Kenneth Dyson e Kevin Featherstone, The road to Maastricht, Negociating Economic and Monetary Union, Oxford, Oxford University Press, 1999.
[37] In merito al ruolo di Delors nel negoziato di Maastricht, mi riferirò soprattutto a quanto ho scritto in Alessandro Giacone, «Il trattato di Maastricht negli archivi di François Mitterrand» in 1989, l’anno che cambiò la storia, Annali della Fondazione Giuseppe Di Vittorio (2021), a cura di Adolfo Pepe e Antonio Varsori, pp. 115-156.
[38] Il primo pilastro, di natura comunitaria, corrispondeva al Mercato unico e alla moneta; il secondo Politica estera e di sicurezza comune (Pesc) e il terzo, Giustizia affari interni, erano di natura intergovernativa.
[39] Sul Libro bianco, cf. Jacques Delors, Mémoires, op. cit. alla nota 2, pp. 416-428.
[40] Sul cosiddetto compromesso di Ioannina, cf. Bino Olivi e Alessandro Giacone, op. cit. alla nota 1, pp. 319-321.
[41] L’EFTA (European Free Trade Association) era stata creata nel 1960 dal Regno Unito come risposta alla CEE. Nel 1992 contava sette paesi (Austria, Finlandia, Islanda, Liechtenstein, Norvegia, Svezia, Svizzera).
[42] Per referendum, il popolo norvegese voterà contro l’adesione all’Unione europea.
[43]Intervento di Pascal Lamy alla Giornata di studi organizzata dall’Università Paris 8 e dall’INSP (25 marzo 2024):
[44] Nel 1995, il primo biografo di Delors (Gabriel Milési, Jacques Delors, Paris, Belfond, 1984) si affrettò a ripubblicarne una versione aggiornata con un nuovo titolo: Id., Delors, l’homme qui dit non, Paris, Editions n. 1, 1995.
[45] Jacques Delors, L’unité d’un homme. Entretiens avec Dominique Wolton, op. cit. alla nota 2.
[46] “7 sur 7” di Anne Sinclair. Cf. https://www. youtube.com/watch?v=EoGKtUjAxro.
[47] Cf. il capitolo «Retour sur 1994» in Jacques Delors, Mémoires, op. cit. alla nota 2, pp. 19-27.
[48] «J’aurais pu être un bon président» nell’intervista contenuta nel documentario Jacques Delors, itinéraire d’un Européen, a cura di Cécile Amar, France 5, 2022.
[49] Ministra del Lavoro (1991-1993), poi dell’Occupazione e della Solidarietà sociale (1997-2000) della Sanità, Martine Aubry è sindaca di Lille dal 2001. Fu segretaria del Partito socialista dal 2008 al 2012, ma fu sconfitta da François Hollande alle primarie del partito per le elezioni presidenziali.
[50] Nelle Memorie, Delors ricorderà di
«non essere mai stato il candidato del cuore dei socialisti. Ma solamente il loro candidato per difetto».
Jacques Delors, Mémoires, op. cit.alla nota 2, p. 21
[51] Contrariamente a quanto farà nel 2007, appoggiando Ségolène Royal.
[52] Jacques Delors, Mémoires, op. cit., p. 23-24.
[53] L’attualità francese ci ha dimostrato come sia possibile governare per anni senza maggioranza parlamentare. Ma questo è un altro dibattito.
[54] Delors presiedette il comitato di sostegno alla campagna di Jospin.
[55] Cécile Amar, L’homme qui ne voulait pas être roi. Conversations avec Jacques Delors, op. cit.alla nota 2, p. 20.
[56] Negli anni precedenti il suo nome era stato indicato per una funzione analoga dallo stesso presidente Chirac.
[57] Con abilità, Giscard d’Estaing non aveva escluso di essere candidato alle presidenziali del 2002. Non volendo avere rivali a destra, Chirac ne ebbe uno stimolo supplementare per inviare il vecchio avversario alla Convenzione.
[58] Su questo punto è prezioso il libro-intervista con Cécile Amar, L’homme qui ne voulait pas être roi. Conversations avec Jacques Delors, op. cit. alla nota 2, pp. 16-17.
[59] La presidenza della Commissione UNESCO sull’educazione e la formazione permanente, e quella del Conseil de l’emploi, des revenus et de la cohésion sociale (Cerc) dal 2000 al 2008.
[60] I suoi successori furono Pascal Lamy, Tommaso Padoa-Schioppa, Antonio Vitorino. Oggi l’Istituto Jacques-Delors è presieduto da Enrico Letta.
[61] Cf. Notre Europe et Jacques Delors, L’Europe tragique et magnifique, op. cit. alla nota 2.
[62] Jacques Delors, Le Nouveau concert européen, op. cit. alla nota 2, p. 10.
[63] Fu utilizzata, tra gli altri, da Jacques Chirac, Lionel Jospin, Joschka Fischer e Carlo Azeglio Ciampi.
[64] «L’Européen Delors critique l’Europe», Le Monde, 19 gennaio 2000.
[65] Notre Europe, “Towards an European energy community”, 29 settembre 2013, disponibile all’URL
https://institutdelors.eu/en/publications/towards-a-european-energy-community-a-policy-proposal
[66] Nelle sue Memorie, Delors scrive di non aver mai conosciuto Monnet, ma in realtà nelle agende di quest’ultimo vi è la traccia di tre incontri con Delors (assieme ad altre persone).
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