La lunga strada verso l’insediamento della nuova Commissione europea
Quindici/A Hermes Storie di geopolitica – Europa
Giampiero Gramaglia
Giornalista,
co-fondatore di Democrazia futura, già corrispondente a Washington e a Bruxelles
Giampiero Gramaglia in due pezzi scritti il 10 e il 21 settembre analizza La lunga strada verso l’insediamento della nuova Commissione europea evidenziando “Le incognite del secondo mandato di Ursula von der Leyen”. Nel primo scritto alla vigilia dell’annuncio della composizione del nuovo esecutivo e della ripartizione degli incarichi l’ex direttore dell’Ansa esamina come “Le crisi di Francia e Germania pesano sugli esordi della nuova squadra a Bruxelles”: “La lista delle cose da fare nella legislatura agli albori è lunga e pesante: c’è da attuare il Green Deal, “senza dimenticare le esigenze delle imprese”, come ora chiosano tutti; c’è da dotarsi di una politica delle migrazioni, da rivedere la politica agricola, da completare l’Unione bancaria. Ma, soprattutto – aggiunge Gramaglia – c’è un disperato bisogno di una politica estera e della difesa europea: bisogno che potrebbe essere drammaticamente acuito dall’esito delle elezioni presidenziali negli Stati Uniti il 5 novembre”. Nel secondo articolo Gramaglia affronta quella che definisce “La svolta al centro di Ursula von der Leyen, tra Draghi e Fitto”. “La presidente della Commissione europea – scrive il giornalista di Saluzzo -. presenta al Parlamento europeo la sua nuova squadra: lei ne emerge come ‘donna forte’ in un insieme di collaboratori che ha meno spessore di quello precedente, fatto di suoi fedelissimi e di neofiti, il profilo di alcuni dei quali non è particolarmente impressionante.
La ‘Ursula von der Leyen 2’, meno zeppa di ex premier ed ex ministri della ‘Ursula von der Leyen 1’, saprà gestire i dossier decisivi ma divisivi del prossimo quinquennio? Saprà difendere la democrazia minata da democrature illiberali, affrontare emergenze come i migranti, la sicurezza in un tempo di guerre, il cambiamento climatico?”, prima di concludere: “Politicamente, la composizione dell’Esecutivo conferma la svolta al centro delle istituzioni europee, con il Ppe che, oltre alle presidenze di Commissione e Parlamento, ha pure 14 commissari su 27. Ci sono cinque liberali, quattro socialisti e quattro membri di partiti fuori dalla maggioranza europeista dell’Assemblea dell’Unione europea, l’ungherese, il ceco, lo slovacco e l’italiano.
Undici donne e sedici uomini, nuovi portafogli come la delega per il Mediterraneo e quella, un po’ vuota per ora, per la Difesa”.
10 settembre 2024
Unione europea a pezzi
Le crisi di Francia e Germania pesano sugli esordi della nuova squadra a Bruxelles[1]
Cade tutto a pezzi: il titolo di Politico si riferisce alla Germania, dopo le elezioni di inizio settembre in due Laender dell’Est e le affermazioni delle estreme, la nera di Afd e la rosso-bruna dell’Alleanza, la Buendnis[2].
Ma il titolo si adatta all’Unione europea nel suo insieme: l’Unione europea s’avvia alle prime battute della sua nuova legislatura con i suoi due Paesi chiave, la Germania e la Francia, in mezzo al guado di crisi politiche, economiche e di governo imprevedibili negli sviluppi; con altri Paesi impantanati in trattative per la formazione di un esecutivo – Belgio e Bulgaria -; e con incertezze sugli equilibri di potere nella nuova Commissione e sulla coesione della maggioranza europeista formatasi a luglio nel Parlamento di Strasburgo.
Francia e Germania, le paratie stagno contro l’estrema destra fanno acqua
Eppure, in questo bailamme, la Francia, che due mesi dopo il voto politico ha un premier designato, l’esperto centrista ed europeista Michel Barnier, 73 anni, ma non ha ancora un governo, trova tempo per accapigliarsi se lasciare, o meno, sulla Torre Eiffel il logo delle Olimpiadi: la sindaca socialista Anne Hidalgo, che si tuffò nella Senna per il successo dei Giochi, lo vuole tenere; la sua rivale all’orizzonte 2026, Rachida Dati, ministro della Cultura uscente e presidente del settimo arrondissement, quello dove sorge la Torre Eiffel, lo vuole togliere.
Una riprova che discutere di quisquiglie quando i problemi sono ben altri non è una specialità solo italiana. Con Barnier, a Palazzo Matignon arriva una figura di peso dei conservatori neogollisti, cioè un esponente della ‘destra repubblicana’, in barba alle aspirazioni delle sinistre di avere la guida dell’esecutivo forti del successo elettorale.
Ma il primo ministro designato deve mettere insieme i cocci di un quadro politico frammentato e poi varare una legge di bilancio complicata dai vincoli europei: la sinistra ‘insoumise’ strepita e grida alla vittoria rubata; invece, l’estrema destra resta sorniona alla finestra e giudicherà il governo in base alle sue prestazioni. I leader del Rassemblement National Marine Le Pen e Jordan Barella, per ora, non si mettono di traverso, sperando che la ‘conventio ad excludendum’ nei loro confronti s’attenui.
L’esperienza di negoziatore maturata come ‘Mister Brexit’ dell’Unione europea, in dialogo con i britannici, verrà utile al ‘vecchio’ Barnier: il più anziano premier della Quinta Repubblica succede al più giovane, Gabriel Attal, 33 anni quando s’insediò.
Ma c’è chi è convinto che Barnier, ex ministro degli Esteri e degli Affari europei, ex commissario europeo al mercato interno, durerà poco, perché il presidente Emmanuel Macron, nonostante tutte le sue assicurazioni contrarie, non arriverà a fine mandato, nella primavera 2027.
Come, in Germania, potrebbe non arrivarci il cancelliere socialdemocratico Olaf Scholz, il cui potere è eroso, voto dopo voto, da risultati che rendono manifesta l’impopolarità della coalizione rosso-giallo-verde.
Le elezioni in Turingia e Sassonia hanno anche avuto riflessi al di fuori dell’Unione: l’avanzata di partiti in diversa misura filorussi galvanizza il Cremlino, proprio mentre l’aggressività del presidente russo Vladimir Putin induce persino la Svizzera a ripensare la propria neutralità, progettando cooperazioni rafforzate con Unione europea e Nato.
Il venire meno, in Germania e in Francia della tenuta delle paratie stagno che tengono, o tenevano, l’estrema destra lontana dal potere crea malesseri e preoccupazioni anche nei Palazzi di Bruxelles.
Chi s’illudeva che il secondo mandato di Ursula von der Leyen a capo della Commissione europea, la ‘Ursula von der Leyen’, sarebbe stato più agevole del primo, segnato dalla pandemia e dalle guerre, potrebbe ricredersi:
“il peggio deve ancora venire”,
scrive ancora Politico che, di questi tempi, non fa prova di ottimismo.
La presidente Ursula von der Leyen doveva presentare la composizione della sua seconda Commissione e la distribuzione dei portafogli ai presidenti dei gruppi del Parlamento europeo mercoledì 11 settembre. Ma la scadenza è slittata di quasi una settimana: i tasselli del mosaico non erano ancora tutti collocati.
Perché è slittato di quasi una settimana l’annuncio della distribuzione dei portafogli della Commissione
La richiesta di Ursula von der Leyen di potere scegliere per ogni Paese tra un uomo e una donna non è stata accolta dai governi dei 27: l’Esecutivo europeo 2024-2029 è nettamente maschile – i due terzi sono uomini -, più del precedente, mentre la presidente ambiva alla parità di genere. Il commissario designato sloveno, Tomaz Vesel, s’è addirittura fatto da parte, perché il suo Paese designasse una donna.
Nella ‘Ursula von der Leyen 2’, ci sono ex premier ed ex ministri, parlamentari europei, figure dell’informazione e della televisione, ma, nell’insieme, il profilo politico della nuova Commissione appare meno robusto di quello della precedente. L’Italia non contribuisce a rialzarlo, avendo avvicendato un ex premier con un ex ministro, cioè Raffaele Fitto al posto di Paolo Gentiloni.
Anticipazioni sulla distribuzione dei portafogli, visti come
“più mirati agli interessi dei singoli Paesi che non all’agenda europea nel suo insieme”
– e questo non stupisce- suscitano perplessità e preoccupazioni in ambienti europeisti. Se ne rende interprete la professoressa Cristina Vanberghen, studiosa e analista dell’Istituto universitario europeo di Firenze. Mentre, nell’attesa dell’annuncio della distribuzione degli incarichi, l’ipotesi che vicepresidenze e portafogli importanti tocchino a Paesi e a governi che non sono nella maggioranza che ha dato l’indispensabile investitura a von der Leyen ha creato malumori politici, specie fra i socialisti e i liberali – i popolari sono egemoni nella nuova Commissione, con più della metà dei posti -. Il che rendeva delicata proprio la posizione di Raffaele Fitto.
Commissione europea, l’agenda e le guerre
La lista delle cose da fare nella legislatura agli albori è lunga e pesante: c’è da attuare il Green Deal,
“senza dimenticare le esigenze delle imprese”,
come ora chiosano tutti; c’è da dotarsi d’una politica delle migrazioni, da rivedere la politica agricola, da completare l’Unione bancaria. Ma, soprattutto, c’è un disperato bisogno di una politica estera e della difesa europea: bisogno che potrebbe essere drammaticamente acuito dall’esito delle elezioni presidenziali negli Stati Uniti il 5 novembre.
Invece, mentre le guerre incombono ai confini a Est e a Sud, e il conflitto in Medio Oriente innesca fermenti di terrorismo nell’Unione, i 27 restano alle prese con litigi da cortile, ad esempio sui visti che l’Ungheria vuole concedere a russi e bielorussi e sulle restrizioni che vuole imporre ai rifugiati ucraini. E la pista ucraina nell’esplosione del Nord Stream, nell’estate del 2022, avvelena i rapporti tra Polonia e Germania: Varsavia si rifiuta di collaborare con Berlino per l’arresto di un cittadino ucraino residente in Polonia sospettato di essere responsabile del sabotaggio.
Più seria è la questione se consentire o meno all’Ucraina di condurre attacchi in territorio russo usando armi europee: il capo della diplomazia europea Josep Borrell è favorevole e chi gli succederà a novembre, l’ex premier estone Kaja Kallas, lo è più di lui; ma i distinguo fra i 27 sono numerosi e articolati; e la Germania stringe i cordoni della borsa degli aiuti all’Ucraina, citando vincoli di bilancio.
Però, dell’atteggiamento verso l’Ucraina si potrà parlare con conoscenza di causa migliore solo dopo le elezioni negli Stati Uniti il 5 novembre: su armi e aiuti, la parola di Washington è determinante.
Un segnale di ottimismo, sul dinamismo dell’Unione, può venire dalla presentazione del rapporto sulla competitività europea dell’ex premier italiano ed ex presidente della Banca centrale europea Mario Draghi, ammesso che questo documento non sia destinato a fare la fine di quello presentato prima dell’estate sul completamento del mercato unico da un altro ex premier italiano, Enrico Letta: finire in un cassetto e lì restare. Draghi è preoccupato dalla mancanza di competitività tecnologica della ‘vecchia Europa’, senza cui – avverte – non c’è né innovazione né competitività:
“Per me, è un incubo”.
Dovrebbe esserlo pure per i leader dei 27: von der Leyen lo prende sul serio – parlando in luglio al Parlamento, pronunciò 22 volte la parola competitività -; i governi probabilmente esiteranno a prendere di petto il problema che richiese investimenti colossali e, quindi, la messa in comune di fette di debito – ricetta indigesta per molti Paesi, nonostante, o forse a causa, dell’esperienza del Next Generation Eu, che in Italia si legge Pnrr -.
Anche qui, Politico ci illumina di ottimismo:
“Il piano di Draghi per aggiustare un’Europa rotta appare già impossibile da realizzare: è pieno di buoni propositi, ma è politicamente impraticabile”.
22 settembre 2024
Ucraina e migranti primi test
La svolta al centro di Ursula von der Leyen, tra Draghi e Fitto[3]
“Da regina a imperatrice”.
Questa, per Politico[4], l’evoluzione di Ursula von der Leyen. La presidente della Commissione europea presenta al Parlamento europeo la sua nuova squadra: lei ne emerge come ‘donna forte’ in un insieme di collaboratori che ha meno spessore di quello precedente, fatto di suoi fedelissimi e di neofiti, il profilo di alcuni dei quali non è particolarmente impressionante.
La ‘Ursula von der Leyen 2’, meno zeppa di ex premier ed ex ministri della ‘Ursula von der Leyen 1’, saprà gestire i dossier decisivi ma divisivi del prossimo quinquennio?
Saprà difendere la democrazia minata da democrature illiberali, affrontare emergenze come i migranti, la sicurezza in un tempo di guerre, il cambiamento climatico?
E saprà reggere il timone dell’Unione mentre i Paesi guida, la Francia e la Germania, vivono una crisi politica e altri Paesi fondatori, l’Italia e l’Olanda, conoscono sbandamenti sovranisti?
‘Ursula von der Leyen 2’: i primi test, Ucraina e migranti
I primi test sono già arrivati, sull’Ucraina e i migranti. Giovedì 19 settembre 2024, il Parlamento europeo ha votato a larga maggioranza (425 sì, 131 no, 63 astensioni) una risoluzione non vincolante. in cui afferma che l’Ucraina deve essere in grado di colpire obiettivi militari legittimi in Russia e che, quindi, le attuali restrizioni all’uso dei sistemi d’arma occidentali vanno abolite.
Fin quando restano in vigore,
“l’Ucraina non può esercitare pienamente il suo diritto all’autodifesa e rimane esposta ad attacchi contro la popolazione e le infrastrutture”.
Fonte: Institute for the Study of War with American Enterprise Institute’s Critical Threats Project | The New York Times, 8 settembre 2024
Il voto crea divisioni nei gruppi parlamentari e nelle delegazioni nazionali. Gli eurodeputati italiani sono per lo più contrari alla risoluzione, con qualche distinguo nel Partito Democratico e in Forza Italia. L’Italia, del resto, come altri Paesi, è contraria all’utilizzo delle armi occidentali in territorio russo. I governi dovranno ora cercare, nel Consiglio dei ministri dell’Unione europea e poi in dialogo con gli Stati Uniti in seno alla Nato, un punto d’incontro.
La risoluzione chiede il rispetto degli impegni assunti dai 27 con l’Ucraina in materia di armamenti e munizioni e di
“mantenere ed estendere la politica di sanzioni contro la Russia, la Bielorussia e Paesi e entità non appartenenti all’Unione europea che forniscono alla Russia tecnologie militari e a doppio uso”,
fra cui l’Iran e la Corea del Nord.
E la pace? Qui siamo al minimo sindacale: c’è l’invito ai governi
“a lavorare per ottenere il più ampio sostegno internazionale possibile all’Ucraina e per individuare una soluzione pacifica al conflitto”.
L’incontro a Kiev, venerdì 20 settembre tra Ursula von der Leyen e Volodymyr Zelensky (Fonte: Euronews)
Il giorno dopo il voto, Ursula von der Leyen è andata a Kiev – per l’ottava volta in due anni e mezzo – per portare al presidente ucraino Volodymyr Zelensky la buona novella e un pacchetto di aiuti potenzialmente da 35 miliardi di euro garantiti dagli assets russi sequestrati nei 27.
Fronte migranti, i recenti passi della Germania, che ha sospeso Schengen, e dell’Olanda, che vuole potersi sganciare dal Patto dell’Unione europea sulla migrazione e l’asilo, rendono ancora più difficile la definizione d’una linea europea. Il leader xenofobo olandese Geert Wilders prospetta una “mini-Nexit”, nonostante le remore di Bruxelles sulla richiesta dell’Aia.
‘Ursula von der Leyen 2’ e gli errori di parallasse Draghi e Fitto
Leggere gli esordi della ‘Ursula von der Leyen 2’ in ottica italiana espone a due errori di parallasse, che per sintesi chiameremo Draghi e Fitto. Il primo errore consiste nel sovrastimare l’impatto del grosso rapporto sulla competitività presentato dall’ex premier italiano, ed ex presidente della Banca centrale europea, oltre che ex governatore di BankItalia, Mario Draghi. In Italia, se ne parla molto; altrove, molto meno.
L’allora presidente del Consiglio italiano Mario Draghi interviene all’Assemblea generale delle Nazioni Unite
La validità del rapporto non è in discussione: l’analisi è precisa, le ricette radicali e coraggiose. Ma il rischio di documenti del genere è di finire in un cassetto e di restarci, come è appena capitato all’altro rapporto di un ex premier italiano, Enrico Letta, sul completamento del mercato unico: presentato prima dell’estate, attende che il nuovo commissario al mercato interno lo legga, se vorrà farlo.
Intendiamoci! la sorte del rapporto di Draghi non è segnata: se dentro c’è qualcosa di funzionale alle priorità di Ursula von der Leyen o ai disegni di uno o più governi di peso, allora qualche input potrà essere raccolto. Anche se contro l’idea di mettere in comune il debito per stimolare la competitività dell’Europa ‘frugali’ e sovranisti hanno già alzato le barricate.
Per il Parlamento europeo, il rapporto è la base per la nuova legislatura, ma il nodo è quel che ne dirà il Consiglio dei ministri dell’Unione: popolari, socialisti, liberali e verdi esprimono apprezzamento; a popolari e conservatori piacciono, soprattutto, le misure a sostegno delle imprese.
Una trappola può essere il fatto che il documento di Draghi, accanto a considerazioni valide e condivisibili, si presta a una lettura ‘negazionista’ del problema del cambiamento climatico. L’ha già fatta la premier italiana Giorgia Meloni: parlando alla Confindustria, promette di rivedere “il disastroso” Green Deal europeo, basato su “un approccio ideologico” e che rischia “di portare alla deindustrializzazione”. Nelle stesse ore, parlando a Long Island, Donald Trump faceva credere al suo uditorio di inutili idioti che il pianeta si sta raffreddando e che tutta ‘questa storia del riscaldamento globale è una fanfaluca.
Il secondo errore sta nel credere al racconto governativo del ruolo attribuito al commissario italiano Raffaele Fitto, cui spetta una delle sei vicepresidenze – l’Italia ne ha sempre avuta una, tranne che nell’ultimo esecutivo, dove però aveva il portafoglio più pesante, l’economia -. Di concreto, Fitto ha ben poco in mano, a parte la gestione del Recovery Fund, che in italiano si scrive Pnrr e che è materia essenzialmente italiana, essendone l’Italia di gran lunga la maggiore beneficiaria. Pur avendo come vicepresidente il coordinamento della coesione e delle riforme, Fitto dovrà sempre coordinarsi coi commissari competenti sulle singole materie – quello dell’economia è un osso duro, il lituano Valdis Dombrovskis -, che non riferiranno a lui, ma direttamente a Ursula von der Leyen. La presidente ha certamente tenuto conto delle riserve di socialisti, liberali e verdi sull’assegnare un potere eccessivo all’esponente di un partito fuori dalla maggioranza europeista. L’esultanza governativa per le sue deleghe appare, dunque, eccessiva.
Nell’opposizione, c’è chi dubita delle credenziali europeiste del neo vicepresidente e chi come Alessia Morani scrive argutamente sui social:
“Assistiamo al paradosso di un commissario alla coesione che in Italia sostiene lo spezzatino istituzionale dell’autonomia differenziata. Surreale!”.
‘Ursula von der Leyen 2’: cifre e volti della nuova Commissione
Lasciamo in un canto screzi e ritardi che hanno segnato l’allestimento della nuova Commissione: lo slittamento d’una settimana della presentazione al Parlamento europeo è una quisquiglia; le beghe slovene per la sostituzione di un commissario in corsa pure; i lai di Ursula von der Leyen perché le donne sono meno di quante lei auspicava anche. E i tira e molla con l’Italia per le deleghe a Fitto ricalcano quelle con molti altri Paesi.
L’unico fatto saliente, che mostra che Ursula von der Leyen vuole gestire questa sua seconda Commissione da ‘padre padrone’, è la fulminea conclusione della ‘quérelle’ con Thierry Breton, che esce di scena dall’alba al mattino e lascia il posto all’ex ministro deli Esteri francese Stéphane Sejourné, per cui il presidente Emmanuel Macron ottiene, senza colpo ferire, le attribuzioni desiderate, industria e tecnologia.
Politicamente, la composizione dell’Esecutivo conferma la svolta al centro delle istituzioni europee, con il Ppe che, oltre alle presidenze di Commissione e Parlamento, ha pure 14 commissari su 27. Ci sono cinque liberali, quattro socialisti e quattro membri di partiti fuori dalla maggioranza europeista dell’Assemblea dell’Unione europea, l’ungherese, il ceco, lo slovacco e l’italiano.
Undici donne e sedici uomini, nuovi portafogli come la delega per il Mediterraneo e quella, un po’ vuota per ora, per la Difesa.
“Ogni membro è uguale agli altri”,
ricorda von der Leyen. Ma, come nella fattoria di Orwell, qualcuno è più uguale degli altri: balza agli occhi il peso della spagnola Teresa Ribera, socialista, primo vicepresidente, che ha ambiente e la concorrenza, materia in cui Bruxelles ha un potere enorme. Molto forte il trio baltico, con Kaje Kallas, ex premier estone, liberale, a capo della diplomazia europea, vicepresidente e presidente del Consiglio dei ministri degli esteri, il lettone Valdis Dombrovskis, Ppe, all’Economia e il lituano Andrius Kubilius, pure Ppe, alla difesa.
Adesso, i commissari designati devono affrontare l’esame del Parlamento.
Secondo Politico, alcuni di essi rischiano la bocciatura, ma fra i più esposti non vi sarebbe Fitto: nel dargli le deleghe, Ursula von der Leyen. ha già tenuto conto dei malumori di socialisti, liberali e verdi per un suo ruolo eccessivo. I cinque più a rischio di essere impallinati sarebbero l’ungherese, per avversione generalizzata al premier Viktor Orban, e il maltese, per povertà di curriculum, oltre che, per scandali pregressi, la belga, che pure è un ministro degli Esteri, la bulgara e la slovena.
[1] Scritto il 10 settembre 2024 per The Watcher Post. Cf. https://www.giampierogramaglia.eu/2024/09/10/ue-a-pezzi-francia-germania/.
[2] Matthew Karnitschnig,” Things fall apart”, Politico, 6 settembre 2024.Cf. https://www.politico.eu/newsletter/berlin-bulletin/things-fall-apart/.
[3] 21 settembre 2022. Cf. https://www.giampierogramaglia.eu/2024/09/21/uvdl-2-svolta-al-centro/.
[4] Barbara Moens, Max Griera, Jacopo Barigazzi, “From queen to empress: Inside Ursula von der Leyen’s power grab”, Politico, 19 settembre 2024.
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