Da diversi millenni la specie umana convive, ed insieme combatte, con quella che appare come una sua caratteristica fondante.
Vale a dire la “conoscenza” (meglio ancora la “possibilità di conoscenza”) come strumento per la creazione dei rapporti di forza e di dipendenza fra gli appartenenti alla specie.
Governare e discriminare la possibilità di accesso agli strumenti del libero conoscere è stato da sempre alla base, insieme ovviamente ad altri fattori, del potere dei ceti dirigenti.
“Sapere è potere” si potrebbe dire se si cercasse uno slogan. Banale ma vero.
Interessante è però che il controllo sulle possibilità di conoscenza non si sia applicato soltanto alle conoscenze tecniche o scientifiche ma abbia riguardato anche la sfera religiosa sia nei suoi versanti più elevati ed importanti sia nelle credenze più semplici e popolari.
La Chiesa di Roma, cui tanto dobbiamo per il nostro sviluppo e il nostro presente, ha per molti secoli vietato il possesso della Bibbia anche, ma forse soprattutto, alle famiglie nobili e benestanti.
Si riteneva (non a torto, come dimostrò Martin Lutero) che allargare ai non ecclesiastici la possibilità di leggere e interpretare i Testi Sacri avrebbe potuto essere pericoloso per il potere e per il ruolo della Chiesa stessa.
Non si deve poi ridurre questo paradigma alle questioni teoriche o di principio.
Esso pervade di sé anche la vita pratica, nei suoi aspetti più materiali.
Quando, negli anni ’30, il geniale ingegnere Taylor analizzò e modificò i sistemi di organizzazione del lavoro fece, con successo, una operazione per taluni versi analoga a quella fatta a suo tempo dalla Chiesa Romana.
Suddivise i processi lavorativi in una serie di operazioni apparentemente tutte sganciate l’una dall’altra.
Il lavoro in linea, così, abbatteva i tempi morti e permetteva all’operaio di ripetere ad oltranza lo stesso semplice gesto senza dispersione di energia.
Naturalmente, e tuttavia, questa opera di apparente razionalizzazione portava con sé il fatto che al singolo lavoratore veniva sottratta la conoscenza dell’intero processo lavorativo che sino a pochi anni prima aveva fatto parte della sua personale capacità contrattuale.
La sostituibilità del singolo operaio aumentava enormemente e più si semplificava l’azione da compiere più diventava facile allontanare dal mezzo di produzione l’eventuale indisciplinato.
Gli operai cercarono di reagire attribuendo al concetto di “lavoratore collettivo” (secondo l’esempio gramsciano) quelle conoscenze che venivano ora negate al singolo.
Su quella base nacquero e agirono i Consigli di Fabbrica che oggi sembrano però una esperienza superata e dimenticata.
Insomma, forse si può sostenere che la battaglia sull’effettivo accesso alle conoscenze costituisce una costante della Storia umana ed è, insieme ad altri fattori, un elemento decisivo nei diversi passaggi storici e sociali.
Se si può accettare questo presupposto si deve anche aggiungere che stiamo iniziando a vivere una fase totalmente nuova nel percorso della nostra specie (o almeno di una parte di essa).
Per millenni il Sapere è stato considerato come depositato e chiuso entro confini specifici e ben definiti.
Che si trattasse di elaborate dottrine religiose, di contenuti artistici o spirituali, di forme di organizzazione della società o del lavoro, poco qui importa.
Il singolo individuo riteneva, generalmente non a torto, che esse non fossero a disposizione facilmente di tutti ma che costituissero un patrimonio cui cercare faticosamente di attingere anche per migliorare il proprio posizionamento sociale.
Il fervido invito allo studio che il bravo genitore rivolgeva alla prole, arricchito anche dalla affermazione che “il professore ha sempre ragione” appartiene, insieme a tanti altri momenti, a questa cultura diffusa.
La rivoluzione che forse stiamo oggi vivendo (e non è detto sia positiva) consiste nella dilagante convinzione che Tutto sia depositato in un unico contenitore elettronico e che il futuro del singolo come delle comunità dipenda soltanto dalla capacità di accedere a questo immenso universo.
Tutto, ma proprio Tutto.
Dai vari Vangeli Apocrifi che mi vado pian piano rileggendo al metodo per non far puzzare il cadaverino di un neonato che mi accingo a sotterrare.
Anzi, e ancor peggio. Ciò che non trovo non esiste, non c’è o, al limite, è disfunzionale.
Molti nuovi e drammatici comportamenti sociali si spiegano alla luce del nuovo ed illusorio paradigma.
Al bravo genitore appare normale contestare l’insegnante che ha irrogato un brutto voto al figliolo. Egli va a scuola soltanto per ottenere quel pezzo di carta ancora necessario in virtù di una Legge che gli appare arcaica.
Quando lo avrà ottenuto troverà su un tutorial quel che gli serve e non dovrà passare il giudizio di un insegnante nato e cresciuto in un altro mondo.
E perché non si dovrebbe aggredire il personale medico delle cui cure ci si sente insoddisfatti?
Quelle persone non appaiono più come portatori di una conoscenza che, più o meno efficacemente, è stata posta a disposizione di chi certamente non la deteneva.
Quelle conoscenze paiono a disposizione di tutti, rintracciabili sul telefonino magari grazie all’aiuto di un giovane nipote dalle veloci dita.
Una grande illusione, certo, ma dalle conseguenze ancora più profonde di quelle velocemente qui esposte.
La più grande di esse è la rimozione della realtà reale quando ci arriva addosso senza la mediazione onnicomprensiva del telefonino.
Se cerchiamo un tutorial che ci spieghi come far cessare la guerra in Ucraina di colpo esso ci butta addosso una quantità di analisi contraddittorie fra loro.
Esse chiedono, solo per essere comprese, tempo e fatica. Vale a dire il contrario esatto dello strumento che stiamo cercando di usare.
L’adepto della Grande Illusione ha a quel punto un’unica scelta.
Rimuovere freneticamente tutto quello che non può essere racchiuso in quel piccolo schermo che contiene tutto ed attraverso egli si esprime.
Rimuovo la guerra,dunque. Mantengo solo le immagini più sanguinose e drammatiche insieme a qualche slogan facile da ripetere.
Rimuovo le profonde dinamiche economiche che, solo per adesso, non mi sono ancora completamente ricadute addosso.
Tanto, ed è l’ultima momentanea conclusione, anche la Politica mi raggiunge solo attraverso lo stesso mezzo.
Anche essa, insomma, ha imparato a non perdere tempo con la realtà reale, e va bene così.
NDT.: L’architetto della serie di film MATRIX.
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