Kamala potrebbe davvero essere la prima donna nera presidente degli Stati Uniti. È una donna che colleziona primati, è una campionessa del sogno americano e del ceto medio, ha un sorriso magnetico e una narrazione diversa da quella sempre più cupa del suo attempato avversario.
Ha la postura giusta per affrontare la partita. La Harris ha capito che per vincere bisogna parlare al centro, al ceto medio. Ha capito anche che può esistere oggi un “populismo progressista”, una politica che sia capace e disposta ad ascoltare il popolo e possa essere “progressista”. O riformista, o di sinistra. Del resto che l’inflazione, la transizione digitale e la conversione al Green scarichi i suoi effetti collaterali sui ceti meno abbienti è cosa nota, e riconoscerlo non vuol dire essere populisti. Dipende ovviamente da quali risposte si danno.
Facciamo un passo indietro. Kamala è l’erede di Joe Biden il presidente che ha voluto e pensato l’intervento economico più importante negli Stati Uniti negli ultimi 30 anni, 3.800 miliardi di dollari in tre piani quinquennali. Un piano per il lavoro che ha portato il paese alla piena occupazione, un provvedimento per le le infrastrutture e uno per la riduzione delle emissioni di carbonio, l’Inflation Reduction Act, 740 miliardi in investimenti in iniziative per combattere il riscaldamento globale ha l’obiettivo di ridurre del 40% rispetto al 2005 le emissioni di gas serra entro il 2030. Il più importante a livello mondiale.
La politica di Trump partiva e parte dall’idea neoliberista “classica” dello sgocciolamento, il “trickle down”: è sufficiente aumentare il benessere dei più ricchi per favorire la crescita di tutti. I più ricchi investirebbero, consumerebbero, creerebbero nuove aziende e posti di lavoro, e la crescita economica arriverebbe infine anche alle fasce più povere, ma in via residuale, attraverso un trickle down, lo “sgocciolamento” verso il basso. Lo stato per Trump è “minimo”, non investe e taglia le tasse, privatizza fiducioso che il privato faccia bene qualunque cosa, scuola e sanità compresa.
La politica dei Dem invece si ispira alla teoria economica del “Middle out” e del “Bottom up”: il benessere e la ricchezza di una società devono venire dalle fasce basse e medie della popolazione, che con la loro spesa terranno alta la domanda in beni e servizi per le aziende, che a loro volta prospereranno e assumeranno sempre più lavoratori.
Lo stato deve quindi garantire servizi accessibili di qualità: scuole, sanità, servizi per l’infanzia e una rete di sicurezza sociale. Oltre al ruolo dello Stato che torna forte, gli altri temi distintivi, ugualmente importanti: i diritti civili, la parità di genere, le minoranze, i flussi migratori, le regole per il digitale.
Insomma Harris e Trump non la pensano allo steso modo praticamente su nulla.
E la partita tra i due non è solo una sfida tra programmi e modi di essere, i due interpretano uno scontro tra due mondi e due visioni sempre più lontane tra loro.
Ci sono due Americhe, il centro del paese, l’America “profonda” degli Stati “rossi”, repubblicani da sempre, e la costa sugli Oceani, il “muro blu” dei democratici.
Nelle coste blu la nuova economia emergente, le BigTech, le grandi Università, la Silicon Valley. Nella paese rosso invece l’agricoltura, la Rust Bell e la manifattura sempre meno determinante, un’America emarginata e isolata, dove non c’è l’Internet veloce, le scuole, e i ponti cadono a pezzi, buona parte della rete idrica ha ancora condutture in piombo.
Queste due “Americhe” si confrontano tra loro con toni e asperità da guerra civile. Oggi però non si decide se tutelare le grandi piantagioni di cotone del sud o le fabbriche del Nord. Il valore sta nell’immateriale, nel digitale e nell’innovazione tecnologica che stravolge l’organizzazione del lavoro, i consumi e il tempo libero e divide il mondo tra vincitori e vinti.
Difficile stupirsi se i vinti, o chi si sente travolto dall’innovazione provi a porre resistenza a questo processo. L’idea che il merito sana tutto e che se sei povero è colpa tua non va più di moda come prima del Covid. Oggi sembra essere tornato di moda Keynes…
Le presidenziali americane esercitano da sempre una grande importanza e un grande fascino ovunque. Stavolta però non è la stessa cosa, il mondo è sempre più piccolo e sempre più connesso, l’emergenza climatica è una realtà che ormai solo Trump e pochi altri si ostinano a negare e l’intelligenza generativa apre scenari sempre nuovi. L’esito delle presidenziali americane sarà determinante per i prossimi anni e per tutti noi.
Inutile aggiungere da che parte stiamo...
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