Milano. In questi giorni si è svolto il Salone della responsabilità sociale e dell’innovazione, tre giorni di talk e dibattiti sul tema dello sviluppo sostenibile e delle sue “contraddizioni”. Il passaggio dal modello di crescita basato sul consumo ad un modello di sviluppo sostenibile dal punto di vista sociale e ambientale ha costi sociali tali da renderlo per certi versi insostenibile.
Inoltre prevede una fase di transizione complessa, cambiamenti profondi non solo nel modo di produrre ma anche in quello di pensare, di agire, di consumare e di comunicare. Una transizione inoltre che non è “veloce” come quella della tecnologia, spinta dal digitale e dall’intelligenza artificiale. Lo sviluppo sostenibile, così come descritto nell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite, necessita di una volontà politica e di scelte coraggiose a livello globale, volontà che oggi non sembra esserci.
Il fast fashion, le auto elettriche, il lavoro.
Il Fast Fashion costa poco. Anche le persone meno ricche possono permettersi di fare shopping da Shein o da Bershka. Lo stesso vale per i generi alimentari. In tempi recenti in Italia abbiamo sperimentato gli effetti dell’inflazione che come è noto fa lievitare il costo dei beni di prima necessità e si abbatte sui redditi più bassi. Qui da noi il potere d’acquisto, caso unico in Europa, è sceso negli ultimi trent’anni, inutile stupirsi del fatto che sia aumentato il consumo di beni a basso costo.
I vestiti che costano poco hanno però un costo molto alto in termini ambientali e sociali. La fast fashion inquina, perché contiene plastica e consuma molte più risorse di quelle il cui prezzo di mercato è maggiore. Inoltre il prezzo basso delle merci è quasi sempre garantito dal bassissimo costo del lavoro in alcune zone del pianeta decisamente meno fortunate del nostro mondo occidentale. Lo stesso vale per il costo dei servizi e la GIG economy.
Le contraddizioni: la sostenibile insostenibile
Spingere il consumi dei beni abbassando i prezzi non è quindi un buon sistema per garantire uno sviluppo sostenibile. Eppure sembra che oggi non ci siano alternative.
Il passaggio tra un modello basato sulla crescita e sul consumo ad un sistema “sostenibile”, implica molte contraddizioni e costi sociali molto significativi. Ci sono molti altri esempi che chiariscono meglio questa complessità. L’auto elettrica inquina meno ma il passaggio all’elettrico causa la perdita di molti posti di lavoro. Inoltre è un bene di lusso accessibile a pochi. Lo stesso discorso vale per il cibo e l’agricoltura di qualità.
La necessità di rinnovare e lanciare prodotti nuovi e innovativi comporta un aumento dei consumi di risorse, ma promuovere il riuso comporta minore produzione e minore lavoro. Per quanto riguarda le politiche per il lavoro e l’inclusione infine ormai è noto che il lavoro non redistribuisce più risorse in maniera efficace ma non si vedono ad oggi alternative concrete.
La sostenibilità passa da un cambiamento complessivo nei modi di agire e di pensare di tutti gli attori in campo. Passa dalle aziende che producono e dal mondo della finanza, passa dalle persone che consumano, e che fanno le scelte che orientano il mercato, passa dalla politica, che fa, o dovrebbe fare le scelte migliori per la comunità.
Serve allargare il campo, come va di moda dire oggi, a nuovi attori e a nuovi soggetti. Oggi i processi per la sostenibilità in Europa sono normati e la responsabilità sociale è un obbligo per la grandi aziende. Il processo però va sostenuto da una politica capace di interpretare la complessità di un mondo sempre più connesso. E capace anche di nuove narrazioni.
“Complessità e paradossi verso un futuro sostenibile”
Una società più sostenibile implica la riduzione della povertà e delle diseguaglianze, una maggior tutela delle risorse dell’ambiente e una riduzione sostanziale degli agenti inquinanti. Implica inoltre una maggiore inclusione sociale. Il passaggio all’economia green e la transizione spinta dal digitale che oggi rischia invece di aumentare le asimmetrie che ci sono è dunque un percorso denso di contraddizioni.
Una ricerca realizzata da Ipsos per il Salone (Ipsos | Csr 2024 – Complessità e paradossi verso un futuro sostenibile | Ottobre 2024), presentata nella giornata di apertura rileva come la maggior parte delle persone non pensi che siano inevitabili, il 76% della popolazione, e siano accettabili, il 69%%. La ricerca di Ipsos è la stessa che individua i casi che secondo i cittadini meglio mostrano le contraddizioni del processo, quelli di cui abbiamo parlato in precedenza,
Un processo che modifichi gli equilibri e gli interessi consolidati nel tempo va gestito tenendo conto di tutte le parti interessate e allargando il più possibile il campo della discussione. Magari ripartendo dai più giovani, mai cosi alto il numero dei ragazzi secondo gli organizzatori, e sperimentando nuove forme di comunicazione.
L’elefante di Andrea Morini
Il salone non è nuovo a contaminazioni tra forme di comunicazione e discipline. Quest’anno ad accogliere i visitatori nell’atrio della Bocconi è stato esposto l’elefante realizzato dall’artista Andrea Morini, alto 4 metri e lungo sei e ricoperto da un mosaico di rifiuti.
L’installazione è di grande effetto, si ispira alla necessità di ridurre l’impatto delle attività antropiche sull’ambiente e di salvaguardare la biodiversità. Oltre all’opera di Morini voluta da Fondazione Capellino ci sono le opere fotografiche di Claudio Beorchia e le tracce audio di Ylin Zhu.
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