UNO VALE 1?

Tra le molte e strumentali scempiaggini che accompagnarono e favorirono la distruzione della Prima Repubblica all’alba degli anni ’90 ebbe un certo ruolo la convinzione che la Nazione non avesse più bisogno di una accreditata e stabile classe dirigente.

Al di là della strumentalità, questa convinzione venne sostenuta dalla sbagliata interpretazione di una serie di situazioni e fatti storici.

La cultura post – comunista (che non aveva ereditato nulla della grandezza e rispettabilità dei predecessori) unì in un unico schema interpretativo la caduta del Muro di Berlino e i processi socio – economici semplicisticamente definiti come “globalizzazione”.

A quegli ingenui occhi apparve risolta la contraddizione mondiale che li aveva visti comunque e sempre schierati dalla parte sbagliata.

Non più costretti a divincolarsi nei confusi giri di parole in merito alla dittatura sovietica si sentirono finalmente liberi di non dover pensare nulla.

Molto li aiutò in questa autoliberazione l’idea che la globalizzazione rappresentasse il passaggio intermedio prima di quello finale cui comunque dovevano fingere di aspirare.

Finalmente il concetto di “sinistra” poteva perdere ogni riferimento, tipico del riformismo socialista, alla realtà concreta per definirsi a priori in virtù di qualcosa di superiore.

Il mondo si era avviato verso una fase positiva in cui i concetti precedenti (Nazione, Patria e ricadute sociali conseguenti) erano destinati a scomparire e tutti sarebbero stati in contatto e dialettica con tutti.

Diventava dunque inutile studiare e approfondire. Diventava dannoso progettare riforme su cui impegnarsi e, magari, essere pure sconfitti.

Non vi era più bisogno di prospettare agli elettori schemi di organizzazione sociale da realizzare in caso di vittoria.

Bastava esserci, ben riconoscibili e presenti. Al resto ci avrebbe pensato lo sviluppo unitario ed organico del mondo finalmente sfuggito al condizionamento della contrapposizione USA vs URSS.

Accanto a questa impostazione “di sinistra” si alimentava, ben più efficace, una impostazione tecnocratica e conservatrice.

Si riteneva, e si operava per questo scopo, che la nuova società dovesse essere necessariamente governata da una ristretta fascia di persone in grado di recepire e gestire i veri snodi della nuova condizione.

Come accade in presenza di una nuova tecnologia cardiologica mai sperimentata, se si vuole che funzioni non occorre esitare nel recarsi a Houston ed affidarsi a Denton Cooley.

Se non si vuol fare, non ci si lamenti dopo.

Agli occhi di questa posizione i meccanismi ottocenteschi di formazione dei gruppi dirigenti apparivano ora desueti e dannosi.

Per di più essi avevano comportato ben due guerre mondiali, e nessuno poteva dimenticarlo.

A fiancheggiare queste due posizioni (che banalmente abbiamo definito di sinistra e conservatrice) si accalcava poi la fideistica illusione che il mondo interconnesso avrebbe favorito una sorta di democrazia diretta e partecipata.

Sarebbe stato finalmente possibile interrogare su ogni cosa tutti i cittadini seguendo poi le indicazioni vincenti e non potendo mai essere incolpati di strumentalità.

Questa posizione venne rappresentata da un noto attor comico che genialmente trasformò l’italico qualunquismo in una posizione politica e in una lista elettorale.

Non potendo poi, per motivi giudiziari, l’attor comico presentarsi alle elezioni si auto -elevò a garante della palingenesi democratica e determinò (con la norma dei due mandati) che nessuno potesse formarsi e crescere in quanto membro della classe dirigente.

Anzi, e di nuovo, il concetto stesso di classe dirigente doveva scomparire.

Il risultato di questa falcidia democratica è davanti agli occhi di tutti e si articola in una serie di punti spesso drammatici:

  • Scomparsa della rappresentazione democratica dei bisogni parziali presenti nella società e della successiva organizzazione su scala generale
  • Trasferimento della rappresentazione di questi bisogni in forme ribellistiche, strumentali o violente (dalla Salis alle aggressioni al personale sanitario)
  • Enorme dilatazione della corruzione individuale non più sottoposta a controlli e valutazioni dall’alto
  • Abnorme crescita degli incidenti (anche mortali) sul lavoro, giunti oggi a livello precedente lo Statuto dei Lavoratori
  • Crescente liquidità della posizione dei politici, nessuno dei quali appare più responsabile ed impegnato su ciò che ha sostenuto il giorno prima
  • Costante incremento dell’astensionismo elettorale e del disprezzo per la politica e le Istituzioni

e così via, chi più ne ha più ne metta.

Insomma, di fronte alla necessità di combinare in un unico procedimento la necessità di garantire attraverso un processo democratico la formazione di una consapevole e capace classe dirigente, l’Italia si è bellamente dichiarata inabile e vi ha platealmente rinunciato.

La Nazione che, all’indomani della sconfitta in una guerra sbagliata e dopo venti anni di regime, si era comunque presentata al mondo con una classe dirigente espressione di tutte le sue dinamiche interne rinuncia oggi a qualunque identità e strategia.

Tanti fattori, anche di carattere internazionale, certamente influiscono su questo annichilimento collettivo.

Certamente, però, anche la rinuncia alla Memoria e alla Storia ha contribuito in maniera decisiva.


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