Il triste stato della produzione e distribuzione a livello internazionale del settore cinematografico e televisivo italiano é comparabile allo stato dell’industria della moda in Italia.
Sicuro, in Italia le produzioni e le creazioni stilistiche continuano ad andare avanti, solo che provengono da societá ora in mano a compagnie non italiane.
La conseguenza di queste stato di cose é che queste produzioni vengono poi commercializzate all’estero da societá non italiane con una prioritá secondaria rispetto a quelle prodotte dalle case madri. Ed ecco come la cultura italiana non viene piú esportata, fatta eccezione per la cucina, nonostante societá come Galbani, Locatelli, Invernizzi, Parmalat e Cirio-Bertolli siano ora di proprietá di gruppi non italiani.
Vediamo i dati.
Alla fiera Tv di MIPCOM Cannes, la principale fiera per i contenuti audiovisivi del mondo, sotto l’ombrello dell’Italian Trade Agency (ITA), vi erano 50 societá di produzione e distribuzione provenienti dall’Italia. Fuori del padiglione ITA, con i loro spazi espositivi vi erano Mondo TV, Rainbow, Rai e Mediaset.
Questi ultimi due, purtroppo, non avevano molti nuovi contenuti da vedere all’estero perché i diritti di distribuzione sono in mano a societá non italiane, cioé ai produttori dei programmi che hanno mandato in onda, con consociate in Italia.
Queste sono principalmente
Fremantle (tedesca),
Banijay (francese),
Beta Film (tedesca) Federation (francese),
ITV (inglese) e
Mediawan (francese).
Per risparmiare sui costi di sfruttamento, le reti TV italiane cedono di diritti di vendita all’estero. Cosa che, ad esempio, due societá ancora in mano ad italiani, come Publispei e Rainbow, non fanno neppure quando producono programmi per il servizio streaming di Netflix. Queste preferiscono cedere i diritti di sfruttamento a minor prezzo, ma tengono i diritti di vendita all’estero.
Poi, il sistema dei contributi statali italiani aiuta la produzione ma non la distribuzione, quindi le societá non italiane beneficiano per la produzione di contenuti che poi vendono alle reti TV italiane. Cosa diversa dal modello turco, che beneficia la distribuzione a livello internazionale di contenuti turchi, ma non la produzione. Inoltre, per beneficiare del 60% dei contributi statali, i distributori turchi devono promuovere solamente le produzioni realizzate da societá turche.
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