PARTE PRIMA
Continuiamo a chiamarla “globalizzazione” per fare finta di conoscerla perfettamente, di non averne paura e di saperla (e potere) governare.
Si tratta, in realtà, della contemporanea e attiva presenza di due fattori giunti a maturazione lungo, e dopo, parecchi anni.
Il primo è la completata “mondializzazione del mercato”.
Non si tratta soltanto della crisi dei protezionismi e dello stesso concetto di mercato nazionale (domestico, come dicono quelli che sanno parlare).
Rappresenta, piuttosto, il completo inserimento nelle funzionalità economiche anche di quelle immense parti di mondo che ne sembravano sino a ieri escluse.
Ciò poteva sinora accadere a causa della arretratezza e della miseria diffusa o dei regimi politici o religiosi che ne governavano il territorio.
Di conseguenza l’Occidente democratico e capitalista “si limitava” ad attuare, ove possibile, forme di super sfruttamento e ad attendere che i valori della democrazia e del liberalismo economico corrompessero anche quei regimi che se ne proclamavano immuni.
Il secondo fattore dirompente consiste nella completa “finanziarizzazione dell’economia”.
È una rivoluzione non soltanto di carattere strutturale (nel senso marxiano della parola) ma capace invece di modificare direttamente valori diffusi, concezioni della vita, forme e organizzazione della socialità.
Il modo capitalistico di produzione aveva preteso di avere definitivamente chiarito e imposto una forma razionale dell’economia e delle società corrispondenti.
Si basava, per semplificare troppo, sull’idea che il Lavoro (in tutte le sue forme) comportasse comunque un aumento del Valore circolante nella società.
Che lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo consistesse nelle ingiuste forme di suddivisione del surplus di Valore costantemente prodotto.
E che, nonostante molte distorsioni, questo modo di produzione avesse bisogno di società (e di forme di socialità) a carattere comunque democratico e tendenti verso un crescente egualitarismo.
L’arricchimento (con il potere che ne deriva) non sembravano più determinarsi in seguito a fattori di carattere autoritario o religioso (tipici del modo di produzione feudale) ma in termini decisamente più chiari e oggettivi.
In essi l’obiettivo di uno sviluppo comune portava (o avrebbe portato prima o poi) a una diffusa condivisione di prospettiva che aveva, per l’appunto, necessità di poggiare sopra un sistema democratico per poter essere trasmessa e perseguita.
La finanziarizzazione dell’economia ha brutalmente distrutto questa idea, che comprendeva in se stessa anche l’idea del socialismo democratico, per sostituirla con la realtà di un mondo in cui alcuni oligarchi guadagnano (e fanno guadagnare) cifre immense a prescindere completamente dai risultati delle loro economiche intraprese.
Sinora, poi, ogni tanto la bolla esplodeva trascinando con sé migliaia di fiduciosi risparmiatori. Nulla però impediva di sognare che il futuro avrebbe superato anche questa periodica distorsione.
Con l’accoppiamento dei due fattori che abbiamo velocemente riassunto si è rotta qualunque forma di continuità fra il lavoro e il risultato economico dello stesso se misurato in termini di successo e di validità del prodotto.
Investire e, di conseguenza, perdere o guadagnare non si giudica più in base al Valore accresciuto del prodotto.
Né dal risultato economico della sua trasformazione in Merce e quindi dall’acquisto effettuato o meno da parte del consumatore finale.
Si è così drammaticamente infranta la percezione di una società che veniva costantemente modificata dal Lavoro e dal Consumo dell’Uomo.
Soprattutto va cancellandosi l’idea che il Lavoro (a qualunque livello di professionalità e specializzazione) dovesse essere utilizzato come criterio di valutazione del singolo individuo come dell’intera società umana.
La comunicazione iperconnessa sta violentemente disperdendo gli ultimi bastioni della precedente chiave di lettura.
Da un lato apprendo che un manager di una azienda in crisi viene premiato con dei compensi fuori dalla percezione umana.
Dall’altro mi convinco che se riesco a trovare un poco di “follower” elettronici non avrò bisogno di lavorare davvero e un poco di quel denaro che mi circola attorno arriverà anche a me.
Sotto la carica della finanziarizzazione mondializzata vacillano gli stessi presupposti “simbolici” della nostra vita.
I concetti di Popolo, di Stato – Nazione, di Cultura e Appartenenza avevano costituito da secoli (forse da millenni) i confini tramite i quali ogni individuo costruiva il suo rapporto con la Realtà.
Anche chi riteneva di opporsi ai valori in quel momento dominanti lo faceva all’interno di quelle cornici che inevitabilmente delineavano il suo personale rapporto con la realtà.
Da qui la crisi auto dissolutiva delle forze politiche preposte a rappresentare ed esprimere le concezioni del mondo e le aspettative dei cittadini.
Karl Marx aveva percepito, come in un incubo, che tutto questo sarebbe avvenuto ma era troppo doloroso per tutta la sua costruzione teorica.
In nessun caso, però, avrebbe potuto prevedere la vastità e la profondità di quel che sta avvenendo nel nostro presente.
Il Capitale contro cui egli cercava di combattere si basava sul riconoscimento della Realtà e sulla conseguente (e non sempre positiva) azione.
Ma noi stiamo per dolorosamente scoprire come i processi in corso stiano conducendoci verso la negazione della nostra stessa esistenza in quanto individui inseriti e operativi nel mondo circostante.
Le conseguenze sui comportamenti sociali sono già inizialmente visibili ma diventeranno in breve tempo esplosive e sempre più pericolose.
Ma di tutto questo, se ci verrà concesso, parleremo la prossima volta.
(CONTINUA NEL PROSSIMO NUMERO N.D.R.)
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