Della sua musica hanno scritto, scrivono e scriveranno persone ben più competenti di noi, quindi non ci proviamo nemmeno. Ci interessano, incuriosiscono, divertono invece le notiziole, anche i pettegolezzi gustosi e colorati che insaporiscono la sua biografia.
Un contadino, ecco chi era Giuseppe Verdi. Ricco, non si sa se di diritti d’autore più che di frutta e granaglie. In realtà, certo che lo sappiamo, come vedremo in seguito, perché non c’è dubbio che renda di più un’Aida che un campo di carciofi.
Era davvero figlio di un contadino di Roncole che gestiva un’osteria e il resto del tempo lavorava nei campi. Una delle civetterie del Maestro Verdi fu sempre di raccontare di essere discendente di braccianti umilissimi. Invece i suoi erano piccoli possidenti con un occhio alla cultura, tanto è vero che appena si accorsero del potenziale che avevano fra le mani non fecero finta di niente, anzi lo sbocciare del talento del piccolo genio fu sì miracoloso, ma anche discretamente aiutato in famiglia.
Quello che è abbastanza anomalo per un artista è l’oculatezza con cui il maestro ha sempre saputo calibrare e ottenere compensi adeguati, spesso addirittura straordinari, per le sue due passioni.
La terra: Nel 1844 compra 23 ettari con casa colonica che mette subito a cultura con la sua esperienza personale, ma anche con l’aiuto di mezzadri e lavoranti. Ci aggiunge una casa per i genitori e Palazzo Orlandi a Busseto, dove va a vivere, con Giuseppina, non ancora sua moglie, accompagnato naturalmente da parecchie maldicenze locali, tacitate solo dopo il solito matrimonio riparatore. Nel ’48, dopo un periodo massacrante di lavoro che lui chiama “gli anni di galera”, compra il fondo e le case di Sant’Agata, una proprietà molto più ampia, che continuerà a ingrandire, e qui costruisce la sua casa definitiva, Villa Verdi, dove abiterà per mezzo secolo, ritornandoci appena può. E’ fra i primi a introdurre la coltivazione dei cachi. Si occupa di pioppicultura, di allevamento di cavalli, si interessa di irrigazione, di produzione di vino…
E’ anche vero che quando viaggia non si nega alberghi di lusso, come il Grand Hotel di Milano, dove nel 1901 muore, in cui dispone di camere fisse anche per i domestici e addirittura di una cucina con cuoco personale.
La musica: da bambino suona l’organo in chiesa, ma già riesce a farsi dare un piccolo compenso. Da grande “I Lombardi” ed “Ernani” gli fruttano, insieme, 12.000 lire; “Attila” e “Macbeth” 18.000 lire l’uno. Nel 1860 gli arriva un’offerta di 60.000 franchi più tutte le spese di allestimento dal Teatro imperiale di San Pietroburgo per “La forza del destino”.
Ma il top Verdi lo raggiunge con la commissione del Khedivè d’Egitto per l’Aida, che rimane uno dei contratti più favolosi che un musicista sia mai riuscito ad ottenere. (forse Celine Dion, i Rolling Stones hanno fatto meglio? Mah!). L’unico obbligo è la consegna: gennaio 1871, per l’apertura del Canale di Suez. Tutto il resto è un regalo. I diritti per il mondo intero, Egitto escluso, rimangono a lui; in più riceve un premio di partitura di 150.000 franchi oro, ha la libertà di scegliere i cantanti, l’orchestra, il direttore, il librettista; e soprattutto sa che razza di lancio sia questa operazione: per la fama e i quattrini! (come nota con piacere anche l’editore Ricordi).
Nel frattempo diventa non solo un grande musicista ma anche un simbolo. Non dimentichiamo i suoi non numerosi ma appassionati interventi nella vita politica dell’Italia che sta nascendo proprio allora (per quei pochi che ancora non lo sanno ricordiamo anche la scritta antiaustriaca che copre i muri all’epoca: il famoso Viva V.E.R.D.I. (Viva Vittorio Emanuele Re D’Italia).
Ogni volta che sta per finire un’opera gli spunta puntuale un malanno: un fortissimo mal di gola: come se si fosse stancato a cantare tutte le parti. Dopo la prima, passa.
Verdi ha un solo allievo, di qualche anno più giovane, anche lui figlio di contadini, Emanuele Muzio, che lo segue come collaboratore, scudiero, adoratore, (è lui che dirige la prima di Aida al Cairo) ma non fa in tempo a dedicargli la vita intera: muore dieci anni prima del maestro.
A proposito della bocciatura di Verdi al conservatorio di Milano, da tutti citata come esempio della stupidità delle istituzioni, ci è arrivato un sintetico giudizio dell’esaminatore: “L’allievo Verdi avrebbe bisogno di cambiare posizione della mano, locché, all’età di 18 anni si renderebbe difficile.” Quindi è bocciato come pianista, ma approvato, in un’altra nota, come compositore: “Applicandosi con attenzione e pazienza alla cognizione delle regole del contrappunto potrà riuscire plausibilmente nella composizione”.
Un bel giorno, durante le prove del Nabucco a Parma, proprio all’epoca quando conosce e si fidanza con Giuseppina Strepponi, gli cade di mano il libretto che si apre, guarda caso, sul “Va’ pensiero”. Colpo di fulmine (per Giuseppina e per il testo); il tema sgorga e alla Scala l’opera viene replicata 57 volte di seguito, una cosa mai successa prima.
Siamo al Rigoletto. Per tutto il periodo prima del debutto il tema de La donna è mobile viene provato in camerino, rigorosamente a porte chiuse, perché un’aria così felice potrebbe scivolare fuori, arrivare a orecchie indiscrete e bruciare la sorpresa.
La Traviata fallisce alla Fenice di Venezia per l’immoralità del soggetto, riconosciuta e stigmatizzata non dai critici ma dal pubblico. L’anno dopo trionfa al teatro S. Benedetto, sempre a Venezia e Verdi commenta, seccato: “Tutto quello che avete sentito alla Fenice c’era anche qui al S. Benedetto. Allora fiasco, ora furore. Giudicate voi”
Il debutto del suo ultimo capolavoro, il Falstaff alla Scala è un successo clamoroso con i biglietti venduti a trenta volte il prezzo e tutta Europa presente. Bis su bis e un’ora di applausi. Verdi portato in trionfo quando torna al Grand Hotel dopo lo spettacolo.
Per concludere, sul suo precoce talento c’è una simpatica e sgrammaticata nota dell’artigiano di Busseto che gli aggiusta la prima spinetta: “Fatti di nuovo gratuitamente questi saltarelli e la pedaliera che ci ho regalato vedendo la buona disposizione che ha il giovanetto Giuseppe Verdi, che questo mi basta per essere del tutto pagato”.
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