IL CAVALIER SERPENTE

Al nostro tavolino del bar, tutte le mattine c’è “La Repubblica”, che ci tiene compagnia insieme al cappuccino e ci dà le informazioni politiche e culturali del giorno.

Con alcune impennate che il cappuccino ce lo fanno gustare meglio.

Così oggi 9 dicembre, che bei titoli! Finalmente qualcuno, non uno qualsiasi: il presidente del FAI, che manifesta a chiare e grandi lettere una posizione ragionevole, non faziosa, non catastrofista, semplicemente ragionevole.

Sono anni che ripetiamo, certo con minore autorevolezza, ma con lo stesso buon senso, le stesse cose.

Ed essendoci sentiti negli stessi anni rimproverare dai parrucconi di nostra conoscenza per le nostre idee ragionevolmente moderne, abbiamo deciso di fare (e farvi fare) un bel salto all’indietro, cercando di ricostruire, con un solo esempio, ma di peso, quello che poteva essere allora lo stesso tipo di atmosfera vecchieggiante.

Da sempre ci affascinano i quadri della paesaggistica romantica del sette-ottocento, e poi le fotografie seppia del primo novecento con le immagini della campagna romana, e sullo sfondo quella serie di archi barbuti di felci, estesi fino all’orizzonte.

Cosa ci può essere di più profondamente intrecciato con la natura di questi ruderi, di più gratificante per gli occhi e per l’immaginazione, di più evocativo della grandezza imperiale, e soprattutto di più classicamente radicato nella tradizione confermata dal tempo?

Eppure tutto questo è stato modernissimo. Venti secoli fa.

Eccoci, appunto venti secoli fa, di fronte a queste romantiche rovine, oggi; in realtà fastidiosi manufatti industriali, allora.

Li sentiamo protestare, esattamente come adesso, gli ambientalisti dell’epoca, contro quelle moderne barriere, ingombranti e volgari, che gli costipavano il panorama e facevano calare il valore degli iugeri quadrati; e i fattori imprecare contro quegli archi che gli spaventavano i maiali e facevano seccare il latte alle capre, che impedivano la vista dei colli vicini e con la loro altezza bloccavano il ponentino rinfrescante del pomeriggio.

Naturalmente senza un pensiero sulla moderna utilità dell’acqua per tutti, che dava alla città le terme, le fontane, l’igiene e il benessere.

Si tratta in fondo di una considerazione banale, ma non per questo meno vera: quello che è bello (e in questo caso bello è sempre uguale a funzionale) se non è distrutto da qualche fanatico sopravvive nei secoli e rimane bello.

Per caso questa turbina eolica è meno elegante di un arco dell’acquedotto Claudio?

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