IL DILEMMA DEL CIVISMO

La strada che porta alla costituzione di una federazione dei mondi civici, per loro natura dispersi e locali, sarà ancora irta e difficile. Il rapido riposizionarsi dei partiti ad ogni consultazione elettorale, o peggio ad ogni nuovo sondaggio, rende la politica più emotiva, tattica e ancorata al continuo evolversi delle opinioni di un elettorato sempre più fluido e volubile. A questa situazione si aggiunge il malsano groviglio di interessi e opportunismi che caratterizza quasi tutta l’informazione e rende il cortocircuito mediatico-sociale ancora più letale per la democrazia.

La domanda è se davvero il civismo possa essere una risposta a questa crisi grazie alla sua natura più vicina alle comunità e quindi più difficilmente strumentalizzabile. Un gruppo consistente di associazioni e liste civiche raccolte da Alleanza civica del Nord si è data appuntamento a Lecco qualche settimana fa con l’obiettivo di riprendere il percorso federativo momentaneamente sospeso durante la campagna elettorale delle politiche. Il compito di federare che è stato assegnato alla bravissima nuova presidente Laura Specchio sarà tutt’altro che facile per diversi ordini di motivi:

Il primo è di posizionamento politico, ovvero, fintanto che il vessillo civico non godrà di una solidità tale da poter correre da solo o essere il soggetto attorno al quale costruire coalizioni anche a livello sovracomunale, questo rischia di essere ancillare e quindi cavalcato e poi travolto da apparati di partito più organizzati e mossi da un forte istinto di autoconservazione.

Ciascuna coalizione e financo ciascun partito rivendica ormai una vocazione civica o il desiderio di allearsi con qualche formazione civica politicamente affine e gregaria. Stiamo assistendo ad una sorta di Civic Washing dei partiti in crisi di credibilità che confonde gli elettori.

Il discorso politico è sempre meno capace di affrontare temi complessi e indicare soluzioni coerenti per cui tende ad affidarsi a leaders istrionici lontani da una idea di politica partecipata. Il risultato è l’impossibilità di fare sintesi credibili e, per esempio, vediamo come il governo in carica abbia dovuto rivedere e stravolgere completamente le proprie promesse nel giro di qualche ora. La legge di bilancio in corso di approvazione è la dimostrazione della assenza di strategia o di un qualsiasi visione di lungo periodo che tenga unita la maggioranza.

Se avesse vinto il centrosinistra non sarebbe stato diverso considerato il livello di incoerenza del programma elettorale e dei componenti della coalizione. Riguardo ai centristi sono riusciti nel capolavoro di individuare un leader che interpreta diverse personalità e smentisce sé stesso quasi più rapidamente di Salvini. Il tentativo più interessante di rifondazione della politica partitica è sicuramente stato quello delle Agorà democratiche che però non è riuscito, a riprova di quanto stiamo dicendo, a produrre nessuna sintesi dell’ampio dibattito attivato sui contenuti. Oggi lo stesso PD si avvia ad un congresso alla ricerca di un segretario senza che nessuno si sia posto il problema di ripartire concretamente dal prodotto dalle Agorà.

Il civismo può avere spazio all’interno di coalizioni coese e può svolgere il proprio ruolo dove esistano reali spazi di partecipazione nella definizione dei programmi e delle candidature. Nelle recenti elezioni politiche, complice il sistema elettorale, queste condizioni non si sono verificate. Anche oggi, per esempio nel caso delle regionali lombarde, la competizione interna ad una ipotetica coalizione di centro sinistra ha cancellato lo spazio in cui il civismo avrebbe trovato un ruolo consono come collante o come facilitatore del confronto tra il centro riformista e la sinistra. Tale situazione si sarebbe potuta creare con il ricorso alle primarie o con una possibile convergenza su un candidato come Maran che avrebbe tratto profitto dal supporto di una rete civica che lo avrebbe aiutato a presentarsi come candidato capace di emanciparsi dal giogo partitico per farsi portatore di autentiche istanze di innovazione.

Nel contesto sopra descritto credo che per la nascente federazione civica sia possibile farsi spazio solo a condizione di riuscire a convergere compattamente su un candidato, preferibilmente dello stesso schieramento, in tutte le regioni che vanno al voto. Il rischio evidente è che questo percorso produca divisioni più che convergenze.

L’alternativa non può essere ancora una volta astenersi guardando con partecipato distacco l’arena elettorale ma piuttosto dare alla federazione un ruolo più chiaramente organizzativo delegando le scelte politiche alle singole associazioni territoriali più agili e disinvolte.

Questa seconda ipotesi si baserebbe sulla predisposizione di un set di strumenti e di know how da mettere a disposizione di coloro che decidono di dedicarsi alla cosa pubblica in autonomia rispetto ai partiti o che vogliano lanciare delle campagne di impatto sociale. Scuola di politica, network relazionale, capacità di comunicazione, scambio di esperienze, crowdfunding; sono strumenti indispensabili per fare politica oggi e una federazione capace di abilitare e dare visibilità alle mille piccole associazioni selezionando e facendo crescere una nuova classe dirigente sarebbe un ottimo servizio alla democrazia in crisi del nostro paese.

Il coraggio di saper vedere in questo approccio non una rinuncia ma la volontà di marcare la diversità. rispetto a pratiche politiche che sistematicamente tradiscono gli ideali da cui si generano. Pensare una federazione a servizio dei movimenti e non viceversa potrebbe davvero rappresentare la chiave di volta che ci permetterà di non disperdere per l’ennesima volta il potenziale di impegno che miracolosamente la società italiana riesce ancora ad esprimere.


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