BAROCCO IN BOCCA. ARCHITETTURA DELLA MINESTRA MARITATA.
Il ‘600 accoglie nel suo grembo la Minestra Maritata. L’abbiamo già definito un piatto “Barocco”, e del barocco ha tutti gli elementi. Le verdure bagnate emettono lampi di luce, che emergono, come nei quadri dell’epoca, dalla penombra scura del brodo; come le architetture negano la linearità, così la carne sfilettata e dissolta, e le venature delle verze, si avvolgono a formare ricci e volute, sporgenze e rientranze. E poi lo scopo del sorprendere con diversi colori e sapori, del prepotente amaro del verde scuro, subito compensato dalla dolcezza di un verde chiaro. E, infine, la missione consolatoria del brodo, sapore e profumo unico, figlio della contrapposizione di carni delicate e carni grasse, che trovano nel loro dissolversi un progetto di pacificazione e d’estasi.
È il secolo dei napoletani “Mangiafoglia”; torzi, broccoli, verdure fresche e in brodo sono l’alimento principale del popolo, economico, nutriente e salutare. In quel secolo, nella città di Napoli, si registra anche un grande consumo di carne, che dalle famiglie nobili si diffonde fino al popolo, anche attraverso le feste e le cuccagne, dove gigantesche architetture commestibili venivano saccheggiate dal popolo, per il godimento dei ricchi. Nella “Breve relazione della città e Regno di Napoli” del 1642
Giovanni Orlandi segnala che ogni anno a Napoli si consumano più di centoventimila animali (per ina popolazione di circa mezzo milione di abitanti), 220 mila staia di olio (pari a due milioni e duecentomila litri, cioè a quattro litri e mezzo pro capite), che è poco più della metà del consumo medio attuale italiano. Si consumavano anche enormi quantità di verdure e frutta.
L’importanza della Minestra Maritata è documentata dalle diffuse citazioni letterarie. Nei versi del poema eroicomico La Vaiasseide, del Cortese, si descrivono le capacità culinarie delle Vaiasse (popolane):
Lloro sapeno fare le frittate,
Maccarune e migliaccie da stupire,
Le nobele pignate mmaretate,
Zéppole ed autre cose da stordire,
Agliatae sàuze, e mille aute sapure,
Cose de cannarute (persone ghiotte) e de Segnure.
Ne “Lo Cunto de li Cunti” (Racconto dei racconti) di Giovan Battista Basile, c’è la fiaba de Lo mercante. Il Giovane Cenzo è costretto a fuggire dalla città e ne rimpiange i cibi tra cui la Minestra maritata:
Tienete, ca te lasso, bello Napole mio! Chi sa sev’aggio da vedere chiù, mautune de zuccaro, e mura de pasta reale, dove le prete so’de manna ’n cuorpo, li trave de cannamele, le porte e finestre de pizze sfogliate! …. Dove ’n’autra Loggia, dove alloggia lo grasso, e s’affila lo gusto?… Addio, pastenache e fogliamolle ( biete), addio, zeppole e migliaccie, addio, vruoccole e tarantiello, addio caionze (interiora) e cientofigliole, addio, piccatiglie e ’ngrattinate …. Me parto pe stare sempre vidolo de le pignate maretate, io sfratto da ’sto bello casale; torze meie, ve lasso dereto.
In un altro poema del Cortese Apollo dice al poeta stesso:
io saccio chello ch’aie tu ‘ncore
perché le cose cchiù secrete io spio,
saccio ca tu si muorto, ed allancato (bisognoso di cibo)
pe no bello pignato mmaretato
Tante narrazioni e citazioni descrivono un piatto di grande importanza nell’alimentazione popolare della Napoli del ‘600. Era certo un piatto che attraversava i ceti sociali, con composizione più povere e più opulente.
Antonio Latini, nel suo volume “Lo Scalco alla Moderna” nel 1694, inserisce una ricetta della Minestra Maritata, destinata alle tavole della nobiltà del vicereame spagnolo.
MINESTRA DI FOGLIE ALLA NAPOLITANA
“Benchè io n’abbia fatta mentione, nelli piatti composti m’è parso bene di metterla nelle minestre, per essere questa squisita e molto in uso. Si piglia una gallina e si mette a bollire insieme con la vacca, quando questa sarà più che mezza cotta, acciochè la gallina non si disfaccia; e vi si mettono dentro lingue salate di porco, ma bollite, carne salata che prima sia stata a mollo, una soppressata, un pezzo di filetto, un pezzo di vestresca di porco, ossa mastre, annoglio, un pezzo di lardo battuto con il suo sale, a proporzione; e quando saranno le sopradette robbe cotte, metterai il brodo che raccoglierai dentro un tegame, tagliando le sopraddette robbe in fette e la gallina ancora o cappone; tenendo ogni cosa da parte, metterai nel brodo un terzo della suddetta robba tagliata, e poi v’aggiungerai torzi ripieni cocuzze e cipolle parimenti ripiene di vitella battuta con rossi d’ova, un poco di mollica di pane ammolato nel brodo, passarina, pignoli, a suo tempo, acini d’agresta e il pastume che avrai fatto servirà per riempire tutte le sopraddette robbe con le solite spezierie ed erbette odorifere. Vi potrai anche aggiungere lattura o la scarola ripiena; l’altra carne che sarà restata, l’anderai accomodando con ordine dentro il tegame o in un altro vaso, framezzata con fettarelle di fianchetto ripieno, con zizza prima bollita, salsiccia spaccata per metà; levatele la sua pelle, fette sottili di cascio parmiggiano grattato, fonghi di Genova, prima dissalati e bolliti con ossa mastre, avvertendo che sia il brodo buono, che sarà una minestra di buon gusto, e si potrà fare una qualsivoglia conversazione, che sempre riuscirà gustosa, quando si osserveranno le suddette regole e molte volte io ho fatto portare, queste minestre, in tavola, con tutto il tegame, che riescono di vista, e miglior sapore, e si possono spartire ne i piatti”
Cosa ci racconta questa ricetta. Innanzitutto, inserisce una significativa variante per la quale le verdure sono ripiene di carne battuta, pane ammollato, uva e pinoli e rosso d’uovo. Latini suggerisce attenzione ai differenti tempi di cottura delle carni che vanno messe a cuocere in diversi momenti della preparazione. Infine la “messa in scena”: si suggerisce di portare il tegame in tavola che sarà bello a vedersi, e ancora di più la minestra a gustarsi versata calda direttamente nei piatti dei commensali.
Occorre ricordare, che nel banchetto barocco, il cibo, con le sue forme, i suoi colori, le sue sorprese, entra pienamente nell’allestimento teatrale, partecipando di temi mitologici o epici, evocati da “trionfi architettonici” posti al centro della tavola.
Nel filmato seguente potrete vedere un esempio di queste messe in scena.
SEGNALIAMO