Ho letto con vivo interesse l’intervista del direttore alla figlia di Felice Ippolito che ci riporta, tra l’altro, ad un tema di vitale importanza per la transizione ecologica: il nucleare.
Di nucleare si è parlato molto in questi mesi, articoli su articoli in cui si è accennato ad un “ritorno” al tema sono stati redatti, complice la crisi energetica che ha investito l’Europa a seguito dello scoppio della Guerra in Ucraina, e delle diverse preoccupazioni che ruotano intorno alle Rinnovabili, tra cui l’intermittenza nella fornitura di energia, e l’immaturità dei sistemi di stoccaggio stagionale e giornaliero.
Un altro punto che è stato affiancato al tema nucleare è l’indipendenza energetica dell’Italia. Anche se, a dire il vero, si tratta di un’illusione, visto e assodato che l’uranio, in particolare in Europa, è abbastanza scarso, e quel poco disponibile, non sarebbe in grado di supportare un aumento dei consumi da pare dei reattori, con la conseguenza che bisognerebbe importarlo da paesi esteri. Attualmente, i maggiori produttori di uranio sono il Kazakistan, la Namibia, il Canada e L’Australia. Due paesi autoritari e due democrazie liberali, dunque. Se continuiamo questa lista, si nota un aumento delle autocrazie, con Uzbekistan, Cina, il Niger e La Russia.
Vista da questa prospettiva, non finiremmo che cadere in altre relazioni tossiche, con altrettanti paesi poco democratici che possono ricattarci energeticamente, non il massimo per l’indipendenza energetica.
In Italia invece, il nucleare ha rappresentato e rappresenta ancora oggi, un settore di eccellenza non sottovalutabile, Definita dalla World Nuclear Association come un paese pioniere di questa tecnologia.
Istituendo già nel 1946 un organo preposto allo studio della fattibilità e dello sviluppo di questa fonte energetica, ovvero il “CISE” (Centro Informazioni, Studi ed Esperienze). Nel 1952 invece, fu istituito il Comitato Nazionale per la Ricerca Nucleare (CNRN) per lo sviluppo e la promozione dell’energia nucleare, riorganizzato nel 1960 in Comitato Nazionale per l’Energia Nucleare (CNEN, oggi ENEA).
La costruzione del primo reattore, avvenne a Latina nel 1958, si trattava di un modello “Magnox” raffreddato a gas. L’anno successivo, iniziò presso le sponde del fiume Garigliano, in Campania, la costruzione di una seconda centrale, composta da un unico reattore “ad acqua bollente” abbreviato in “BWR” (Boiled Water Reactor) della compagnia inglese General Electric, di potenza equivalente a 150 Mw. In questo periodo, l’Italia si apprestava a diventare una delle prime dieci potenze in termini di potenza nucleare (civile) installata, rimanendo sul podio per alcuni anni a seguire. Si noti tra le altre cose, la prolifica collaborazione tra aziende estere e il governo italiano.
Nel 1961, iniziò a Trino Vercellese la costruzione del terzo reattore, questa volta “ad acqua pressurizzata” “PWR” (Pressurized Water Reactor) nella centrale poi denominata come “Enrico Fermi” il grande fisico italiano, padre dell’energia nucleare. Il reattore era della Compagnia Americana “Westinghouse”, All’epoca L’ENEL ancora non era stata istituita, quindi, aziende terze si occuparono dell’ordine e della costruzione di queste centrali per conto del governo.
L’ENEL venne istituita a Roma l’anno successivo, nel 1962, e nel 1966 annunciò un ambizioso programma di costruzione di centrali nucleari, puntando a 12.000 Mw entro il 1980. L’anno successivo Enel decise di procedere con la quarta centrale nucleare del Paese. Nel 1969, dopo aver ricevuto offerte per versioni più avanzate delle tre tecnologie esistenti, Enel ordinò un BWR da 850 Mw da una partnership GE/Ansaldo. Fu scelto il sito di Caorso, situato vicino alla città di Piacenza in Emilia-Romagna, e il contratto fu firmato nel marzo 1970. La costruzione iniziò nello stesso anno e la prima accensione fu nel maggio 1978. Fu l’ultimo reattore nucleare avviato in Italia.
Nel frattempo, nel 1967, una partnership tra il CNEN (Comitato Nazionale per l’Energia Nucleare) e l’ENEL, porta allo sviluppo di una versione italiana del reattore canadese “CANDU” che sta per (CANadian Deuterium Uranium). Venne chiamato “Cirene”, ma a causa di problemi tecnici, non entrerà mai in funzione, nonostante l’ANSALDO ne ordinò un prototipo per la centrale di Latina.
L’Italia quindi, per tutti gli anni 60 e 70, continuò a sviluppare nuovi prototipi di reattori, e a collaborare con altri paesi europei e non, per costruire la propria flotta di centrali, rimarcando la sua posizione di spicco in questo settore di eccellenza.
Nonostante questo, sempre negli anni 70, inizia a crescere nel paese un sempre più forte sentimento antinucleare. Il tema diventa identitario per alcune formazioni politiche, tra cui i Verdi e forze della sinistra radicale. Questo sentimento, si tradurrà in proteste e mobilitazioni verso la fine degli anni 70 e inizio 80, in concomitanza con uno dei primi incidenti memorabili dell’industria nucleare; “Three Mile Island” avvenuto negli Stati Uniti nel 1979.
Nel mentre, in Italia continua lo sviluppo del settore. In Piemonte, Lombardia e Puglia si pensa di costruire tre nuovi reattori da 1000 Mw l’uno, incentrati sulla tecnologia di Westinghouse e facenti parte del piano nazionale per l’energia nucleare il “PUN” (Piano Unico Nucleare). Parallelamente, l’ENEL decide di far costruire due nuove unità da 900 Mw presso Montalto di Castro, un paese rivierasco della Maremma Laziale. la costruzione della centrale iniziò nel 1982, ma a causa delle opposizioni locali, il progetto non fu mai ultimato. Montalto di Castro, rappresenta un altro motivo di unione e rafforzamento per le formazioni antinucleariste, si ricorda infatti che associazioni come Legambiente sono nate proprio in concomitanza con queste proteste. A tal proposito si riporta una battuta di Gianni Mattioli, all’epoca esponente del Comitato per il Controllo delle Scelte Energetiche.
“ritenevamo anzi che il ritardo italiano in questo campo fosse uno dei prezzi pagati dal nostro Paese alla divisione internazionale del lavoro, che aveva portato allo smantellamento del settore delle grandi macchine elettroniche. Una sera dell’autunno ’76, alla fine di una riunione convocata per mettere a punto la posizione di Democrazia Proletaria insieme a Massimo Scalia e a Paolo Degli Espinosa, un tecnico del CNEN, Paolo ci disse “Me ne vado a letto, domattina presto devo andare a convincere i contadini di Montalto di Castro che la centrale è una buona cosa”.
Tornato da quell’incontro aveva perso molto del suo ottimismo filosofico. “La popolazione di Montalto – ci raccontò – quel reattore proprio non lo vuole, credo ci siano dei problemi sanitari”.
Da allora, per alcune settimane ci buttammo a studiare decine di documenti sul tema e ci accorgemmo che i dubbi dei contadini di Montalto erano condivisi da fior di medici e di biologi. Fu così che maturammo la nostra scelta contro l’atomo.”
Il destino vuole che al posto della centrale di Montalto, fu costruito un altro impianto, questa volta policombustibile, alimentato prevalentemente da olio pesante e carbone. Quest’ultima entrerà di rado in funzione, rappresentando uno dei più grandi sprechi di denaro pubblico nella storia della prima repubblica, si contano circa 6000 miliardi di lire spese (oggi circa 15 miliardi di euro) a fronte di circa 6400 ore di funzionamento, meno di un anno.
Possiamo identificare il 1986 come l’anno dell’inizio del declino del nucleare italiano, e non solo. È L’anno dell’incidente di Chernobyl, la storica centrale alimentata da quattro reattori di tipo RBMK-1000, che a seguito della fusione parziale di due dei quattro noccioli, causò la fuoriuscita di ingenti quantità di radiazioni, che grazie ad una sfortunata concomitanza di venti favorevoli, si diffuse sopra l’Europa. È un periodo particolarmente sentito dalla popolazione ancora oggi, visto che i governi, all’ora impreparati a fronteggiare questo tipo di eventi, si fecero prendere da reazioni emotive e poco razionali, imponendo, quelli che si dimostreranno come degli inutili divieti al consumo di determinati alimenti (latte, verdure, prodotti provenienti dall’Unione Sovietica e perfino funghi).
L’ironia della sorte, vuole che un mese prima dell’incidente, il parlamento italiano approvò un nuovo piano energetico, sulla traccia del vecchio PUN, che conteneva l’utilizzo dell’energia nucleare e ne richiedeva addirittura un aumento della capacità installata.
Nel 1987, a fronte degli eventi inattesi oltre la cortina di ferro, si aprì un dibattito interno sull’opportunità di continuare a utilizzare o meno la tecnologia nucleare nel mix energetico. La sentenza fu affidata a una commissione di scienziati e ingegneri nucleari, i lavori si svolsero nella “conferenza per l’energia nucleare” a Roma.
La commissione esaminò i piani e diede un parere favorevole all’utilizzo del nucleare nello scenario italiano. Tuttavia, l’allora governo di Giovanni Goria non fu dello stesso parere, l’incidente di Chernobyl aveva scatenato una reazione da parte della popolazione che la politica non poteva ignorare, l’onda emotiva e la paura si diffusero in Europa e nell’occidente della guerra fredda. Si aprì un dibattito su quello che era l’utilizzo militare del nucleare civile, riecheggiava nell’aria la paura delle armi atomiche. E non poteva rimanere inosservata, la relazione tra armi nucleari e sviluppo dell’industria nucleare civile, bastava osservare la Russia e gli Stati Uniti, due grandi potenze nucleari (6000 testate ciascuno), che facevano un grande uso di energia nucleare. La stessa centrare di Chernobyl, aveva un doppio scopo, ovvero produrre il Plutonio adatto alla costruzione di ordigni atomici. Questa in seguito sarebbe stata una delle ragioni della sua intrinseca insicurezza.
Tornando a noi. Il governo Goria, quindi, decise di indire un referendum popolare, su richiesta del Partito Radicale, per stabilire cosa farne dell’industria nucleare italiana. In realtà, il referendum non era esclusivamente incentrato sul tema nucleare, vi erano altri quattro quesiti, che elencherò di seguito:
-Responsabilità civile dei magistrati
-quesito sulla commissione inquirente
-quesito sui contributi agli enti locali che ospitano centrali nucleari
-quesito sul divieto di partecipazione dell’Enel a impianti nucleari all’estero
Per i quesiti incentrati sull’energia nucleare si riporta:
contributi agli enti locali che ospitano centrali nucleari: “Volete che venga abrogato il compenso ai comuni che ospitano centrali nucleari o a carbone?”
quesiti sulla partecipazione dell’ENEL a impianti nucleari all’estero: “Volete che venga abrogata la norma che consente all’Enel (Ente Nazionale Energia Elettrica) di partecipare ad accordi internazionali per la costruzione e la gestione di centrali nucleari all’estero?” in entrambi i quesiti sul nucleare, ci fu uno schiacciante 80% di consensi, esplicativo dell’effetto che l’incidente di Chernobyl aveva avuto sulle masse.
Seguendo i risultati del referendum, nell’87 furono chiuse le centrali di Latina e interrotti i lavori per la costruzione della centrale in Piemonte presente nel PUN, interrotti anche i lavori a Montalto, dove al posto della centrale nucleare (quasi completa), fu costruita una centrale convenzionale, come riportato sopra.
Nel 1990, si spensero gli ultimi due reattori a Caorso e Trino Vercellese, e chiusi gli impianti per il ciclo del combustibile nucleare.
Nel 1999 viene costituita la Sogin ( Società Gestione Impianti Nucleari) come impresa statale per rilevare gli asset nucleari di Enel ed ENEA e curarne lo smantellamento. Doveva anche assumersi la responsabilità di tutte le scorie nucleari e quindi del decommissioning.
Nel 2011, un altro importante evento sconvolse l’industria nucleare. Si trattava di Fukushima-Daiichi, una centrale situata sulla costa orientale del Giappone, investita da un violentissimo terremoto di magnitudo 9, abbastanza forte da creare uno tsunami di 16 metri d’altezza, e capace di oltrepassare le difese frangi flutti antistanti alla centrale. L’acqua entrò, allagando i locali dei generatori diesel di emergenza, facendo di conseguenza spegnere i meccanismi di pompaggio che garantivano una temperatura controllata nel nocciolo. La temperatura aumentò, e il nocciolo entrò in fusione parziale. La temperatura aumentò a tal punto che le molecole di acqua si scinsero in ossigeno e idrogeno, quest’ultimo un gas estremamente reattivo, che a contatto con l’ossigeno scatenò un’esplosione violentissima, capace di rompere il vessel del reattore e spargendo nel circondario una quantità letale di radiazioni.
Tuttavia, bisogna specificare che i morti dichiarati a Fukushima, a oggi ammontano a 1, un operatore della centrale morto per avvelenamento da radiazioni. I famosi 15.000 morti sono in realtà dovuti al terremoto di magnitudo 9 che si abbatte pochi minuti prima. La zona fu comunque evacuata, e ad oggi per precauzione non è stata ancora resa di nuovo abitabile, anche se i livelli di radiazione sono equivalenti al fondo naturale.
A questo evento, seguì il secondo referendum sul nucleare, indetto dal quarto governo Berlusconi su richiesta di Italia dei Valori e “2 si per l’acqua bene comune”, questo perché si richiedeva la consultazione popolare anche per l’acqua pubblica. Il Quesito sul nucleare fu promosso da Italia dei Valori, ex partito del PM Antonio di Pietro. E si richiedeva “l’abrogazione delle nuove norme per la produzione di energia elettrica nucleare”, vinse anche qui con ben il 94% dei consensi.
Le “nuove norme” erano state approvate precedentemente dal governo Berlusconi per cercare di far ripartire l’industria nucleare in Italia entro cinque anni dalla messa in vigore del decreto, e per affrancarsi dalla dipendenza del petrolio da parte dei paesi del medio oriente.
Prospettive Future del nucleare in Italia.
Ad oggi l’azienda che si occupa del energia nucleare in Italia è la partecipata SOGIN, recentemente commissariata dal governo Draghi per accelerare i processi di decommissioning. La Sogin balzò alle cronache nel gennaio del 2021, quando pochi giorni dopo l’avvento del nuovo anno, divulgò sui giornali nazionali di maggior importanza la “CNAPI” ovvero la “Carta Nazionale delle Aree Potenzialmente Idonee”. Idonee a cosa? Vi potreste chiedere, idonee alla costruzione del deposito nazionale, una struttura di fondamentale importanza per lo stoccaggio dei rifiuti radioattivi prodotti dallo smantellamento delle ultime centrali nucleari italiane, ormai spente da decadi. Il deposito può ospitare rifiuti a bassa o media attività, anche se sarà provvisto di una sezione per custodire rifiuti ad alta attività per pochi anni, in attesa che venga localizzato e costruito un deposito “geologico”, che possa ospitare questi rifiuti per centinaia di migliaia di anni.
Attualmente i nostri rifiuti radioattivi sono ospitati in Francia e Inghilterra. Il problema è che custodire questi rifiuti in paesi stranieri, ha un costo particolarmente elevato per la collettività, e si pone anche il problema legato alla scadenza dei contratti stipulati con questi paesi, i nostri rifiuti nucleari non potranno rimanere all’estero in eterno. Ecco perché è di vitale importanza parlare del deposito nazionale, visto peraltro, che il neo-governo di Giorgia Meloni, sembra voler puntare, come il precedente governo Berlusconi, a questo tipo di tecnologia per far fronte alla transizione energetica.
I siti localizzati da Sogin sono in tutto 67, distribuiti sulle seguenti regioni: Piemonte (8), Toscana-Lazio (24), Basilicata-Puglia (17), Sardegna (14) e Sicilia (4). Per approfondire il tema, consiglio di consultare il sito depositonazionale.it, dove con molta premura sono inserite tutte le informazioni legate ai costi e alla sicurezza del deposito, oltre che le motivazioni inerenti alla sua costruzione.
Il Futuro nucleare dell’Italia quindi, si gioca attualmente sulla costruzione del deposito nazionale, per consentire in modo quanto mai ottimale a uno sviluppo futuro di tale tecnologia, oltre che consentire in modo veloce ed efficiente lo smantellamento delle vecchie centrali esistenti.
Per quanto riguarda le centrali, è molto probabile che sul lungo termine (2030-2040) si assisterà a un nuovo risorgimento nucleare, data l’importanza strategica di questa tecnologia per decarbonizzare il settore industriale “pesante” e in generale il settore energetico. Attualmente è la sola tecnologia (insieme al geotermico chiaramente) in grado di prendere il posto delle centrali a combustibili fossili, e di garantire un baseload (carico di base) abbastanza stabile al sistema elettrico nazionale.
Sarà molto importante per l’azione politica creare consenso attorno a questa fonte energetica, convincendone della sua bontà e soprattutto della sua sicurezza.
Piccola postilla finale, sul rischio di proliferazione delle armi atomiche: “L’Italia è parte del Trattato di non proliferazione nucleare (TNP) dal 1975 come stato non dotato di armi nucleari. È membro sia dell’Euratom che del gruppo dei fornitori nucleari. Nel 1998 ha firmato il Protocollo addizionale relativo ai suoi accordi di salvaguardia con l’Agenzia internazionale per l’energia atomica.”
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