Vagano per le città d’arte, girano per chiese e musei, per rovine di passate grandezze. Sono turisti, impacchettati in gruppi, dietro qualcuno che vigila che non si perdano o sollecito a recuperarne i resti se soccombono al sole d’agosto, o al freddo dell’inverno. Si, perché questa nuova umanità non si ferma mai, vaga in tutte le stagioni e in tutti i continenti, ripercorre le strade dei poveri emigranti che andavano e vanno a guadagnarsi il pane, a cercare una diversa vita, a fuggire la miseria e il pericolo. Ma i turisti per calpestare le medesime strade ci pagano sopra. Gli hanno detto che soprattutto se in pensione, è bene che girino il mondo, invece di starsene a casa a poltrire, che spendano a quel mondo i risparmi di una vita. E li convincono a sborsare laute cifre per esaudire questo invito-comando.
E loro pagano e si imbarcano su pullman, treni, aerei, navi, in preda a sciatalgie, diabete e la vasta gamma delle malattie dell’età. Ma anche i medici gli hanno detto che va bene così. Però le navi delle crociere a loro dedicate, con abbondanza, imbarcano il giusto numero di bare, accanto ad assicurazioni per i ricoveri e i malanni intercorsi. Così il ciclo è completo. Forse bisognerebbe impiegare gli anni ancora da vivere per riflettere sull’esistenza, su quella trascorsa, su quello che sarà. Dire e scrivere parole, perché non si perda il senso delle fatiche, dei dolori, della felicità che ci hanno fatto uomini.
Ma no, non è consentito, non è in linea con la modernità. Bisogna stare nell’ingranaggio costruito per noi, per tutti, nel ciclo economico che rende tutti, nessuno escluso pedina necessaria. Non c’è possibilità di liberarsi, la condanna sarebbe l’emarginazione, la follia e la morte. Sino alla fine devi obbedire a quanto gli altri, i pochi che comandano hanno deciso per te. Non te lo impongono con la forza, ti persuadono pervicacemente, con messaggi, immagini, film, fiction, attraverso il famigerato utensile di casa sempre acceso a toglierti l’anima.
Se hai risparmi, che una volta tenevi a casa, devi investirli in banca su titoli che ti convincono a comprare, in maniera diversificata. Parola incomprensibile ai più ma che sa tanto di opportunità per clientele privilegiate, esclusive. Poi, spesso, ti diranno che non è andata bene, ma che ti rifarai la prossima volta. E se non vuoi tenerli in banca, viaggia e spendili così.
Quando tornerai potrai raccontare le meraviglie viste, le emozioni provate, le amicizie costruite, e tutto il resto, per l’invidia di chi è rimasto a casa. Tacerai dei disturbi intestinali, dei cibi approssimativi, dei metabolismi alterati, delle défaillance che la fatica e l’età avranno causato. Non dirai della noia dei musei, dove dopo la prima stanza sentirai le gambe dolenti e gonfie, dove non troverai una sedia per riposarti, e intruppato tra gli altri non riuscirai a vedere bene i quadri di cui capisci poco, perché hai fatto altri mestieri, non hai avuto tempo per studiare l’arte.
E non è vero che l’opera d’arte la capiscono tutti. Però dovrai esprimere consenso e meraviglia e fare domande come quelli davanti a te e intorno alla guida che fanno domande avendo letto qualcosa dell’artista in questione sul Bignami di turno, per fare bella figura e primeggiare con gli zotici che seguono silenziosi, e dai quali lui è altra cosa.
Non c’è speranza per questi nuovi schiavi, servono al Pil delle nazioni. Noi in Italia ci ammortizziamo un pezzetto di debito pubblico. Roma nullafacente ci si arricchisce, con tutte le bettole e i negozi, gli affitti per turisti che hanno occupato le strade, le case, i tetti della città eterna… Penso a Johann Wolfgang Goethe che viaggiò in Italia con un disegnatore al seguito, a ritrarre e scrivere sui monumenti antichi del bel paese. E vagò quando ritornò fu uomo diverso, arricchito nella mente e nell’anima per quanto aveva visto e vissuto nel nostro paese. Era stato un viaggio di liberazione, di ricerca, di confronto del proprio mondo con quello del passato, degli uomini illustri della storia, delle grandi opere che avevano creato. Dopo non fu più lo stesso e la sua opera illuminò la cultura tedesca. Tanto che per tutto il XIX secolo i rampolli delle famiglie nobili e ricche d’Europa facevano del viaggio in Italia il momento fondamentale del loro sviluppo intellettuale e più in generale del loro iter educativo.
I poveri allora non viaggiavano, era un lusso dei ricchi, dei privilegiati. Loro, i poveri, nascevano e morivano dove la sorte li aveva messi, o se lasciavano la casa, era per fame e disperazione o per andare a morire nelle guerre che i padroni e i signori si inventavano ciclicamente. Ora che viaggiano tutti bisognerebbe riscoprire almeno in parte le motivazioni che muovevano i privilegiati di un tempo, farne occasione di riscoperta di sé, di riflessione sulla vita trascorsa, di nuove certezze. Togliere ai viaggi la valenza esclusiva di vacanza, sì anche quella, ma inserita in un contesto più nobile, lontano dalla categoria del bene di consumo.
C’è un simbolo iconico che riassume certi aspetti del nostro discorso. Le mastodontiche navi ad infiniti ponti, veri grattacieli dei mari che solcano il canal grande a Venezia per far vedere la città ai turisti naviganti. Da poco tempo non più e questo può essere segno di tempi migliori.
SEGNALIAMO
Dire e scrivere parole, perché non si perda il senso delle fatiche, dei dolori, della felicità che ci hanno fatto uomini. Ma no, non è consentito, non è in linea con la modernità. Bisogna stare nell’ingranaggio costruito per noi, per tutti, nel ciclo economico che rende tutti, nessuno escluso pedina necessaria. Non c’è possibilità di liberarsi, la condanna sarebbe l’emarginazione, la follia e la morte. Sino alla fine devi obbedire a quanto gli altri, i pochi che comandano hanno deciso per te. Non te lo impongono con la forza, ti persuadono pervicacemente, con messaggi, immagini, film, fiction, attraverso il famigerato utensile di casa sempre acceso a toglierti l’anima. Se hai risparmi, che una volta tenevi a casa, devi investirli in banca su titoli che ti convincono a comprare, in maniera diversificata. Parola incomprensibile ai più ma che sa tanto di opportunità per clientele privilegiate, esclusive. Poi, spesso, ti diranno che non è andata bene, ma che ti rifarai la prossima volta. E se non vuoi tenerli in banca, viaggia e spendili così.
Quando tornerai potrai raccontare le meraviglie viste, le emozioni provate, le amicizie costruite, e tutto il resto, per l’invidia di chi è rimasto a casa. Tacerai dei disturbi intestinali, dei cibi approssimativi, dei metabolismi alterati, delle défaillance che la fatica e l’età avranno causato. Non dirai della noia dei musei, dove dopo la prima stanza sentirai le gambe dolenti e gonfie, dove non troverai una sedia per riposarti, e intruppato tra gli altri non riuscirai a vedere bene i quadri di cui capisci poco, perché hai fatto altri mestieri, non hai avuto tempo per studiare l’arte. E non è vero che l’opera d’arte la capiscono tutti. Però dovrai esprimere consenso e meraviglia e fare domande come quelli davanti a te e intorno alla guida che fanno domande avendo letto qualcosa dell’artista in questione sul Bignami di turno, per fare bella figura e primeggiare con gli zotici che seguono silenziosi, e dai quali lui è altra cosa. Non c’è speranza per questi nuovi schiavi, servono al Pil delle nazioni. Noi in Italia ci ammortizziamo un pezzetto di debito pubblico.
Roma nullafacente ci si arricchisce, con tutte le bettole e i negozi, gli affitti per turisti che hanno occupato le strade, le case, i tetti della città eterna… Penso a Johann Wolfgang Goethe che viaggiò in Italia con un disegnatore al seguito, a ritrarre e scrivere sui monumenti antichi del bel paese. E vagò quando ritornò fu uomo diverso, arricchito nella mente e nell’anima per quanto aveva visto e vissuto nel nostro paese. Era stato un viaggio di liberazione, di ricerca, di confronto del proprio mondo con quello del passato, degli uomini illustri della storia, delle grandi opere che avevano creato. Dopo non fu più lo stesso e la sua opera illuminò la cultura tedesca. Tanto che per tutto il XIX secolo i rampolli delle famiglie nobili e ricche d’Europa facevano del viaggio in Italia il momento fondamentale del loro sviluppo intellettuale e più in generale del loro iter educativo.
I poveri allora non viaggiavano, era un lusso dei ricchi, dei privilegiati. Loro, i poveri, nascevano e morivano dove la sorte li aveva messi, o se lasciavano la casa, era per fame e disperazione o per andare a morire nelle guerre che i padroni e i signori si inventavano ciclicamente. Ora che viaggiano tutti bisognerebbe riscoprire almeno in parte le motivazioni che muovevano i privilegiati di un tempo, farne occasione di riscoperta di sé, di riflessione sulla vita trascorsa, di nuove certezze. Togliere ai viaggi la valenza esclusiva di vacanza, sì anche quella, ma inserita in un contesto più nobile, lontano dalla categoria del bene di consumo. C’è un simbolo iconico che riassume certi aspetti del nostro discorso.
Le mastodontiche navi ad infiniti ponti, veri grattacieli dei mari che solcano il canal grande a Venezia per far vedere la città ai turisti naviganti. Da poco tempo non più e questo può essere segno di tempi migliori.
SEGNALIAMO