E’ MORTO OTELLO PROFAZIO, UN GIGANTE DELLA CULTURA POPOLARE
Piu’ di 50 anni fa conobbi Otello Profazio e fu uno degli incontri più importanti della mia vita. Istintivamente io ero legato a quel mondo popolare e contadino che il miracolo economico e l’industrializzazione si stavano portando via. Eravamo negli anni in cui Pier Paolo Pasolini poeticamente lamentava, nei suoi straordinari scritti “corsari”, la scomparsa delle lucciole.
Io, anche per le mie origini famigliari, sentivo vivo e forte il legame di sangue con la terra e con quel mondo popolare che andava scomparendo. Fu proprio Otello Profazio a ridare un senso culturale a queste mie sensazioni. Con lui scoprii i canti di lavoro, i canti d’amore, i canti di festa, i canti di protesta di quelle che noi di cultura di sinistra chiamavamo le classi subalterne.
Otello mi colpì perché faceva i dischi come si fanno i libri, fin dalla copertina perché fu il primo in Italia a fare dischi a tema. E fu tra i primi in Italia a parlare di storia patria vista dal Sud, rivelandoci questi canti che sono vera espressione del sentimento popolare che passavano dagli entusiasmi per Garibaldi, per il re Vittorio Emanuele, canti che irridono al re Borbone e poi i canti della delusione, della rabbia per le promesse non mantenute e per gli ideali traditi.
Quando Otello decise di dedicare uno dei suoi dischi libri a questa storia (l’Italia cantata dal Sud) si procurò una presentazione preziosissima di Carlo Levi, l’autore di Cristo si è fermato a Eboli e mi chiese di curarlo e poi mi chiese di accompagnarlo in numerose presentazioni: io raccontavo la storia e lui cantava.
Fu quella la prima collaborazione memorabile con Otello. Ne verrà subito dopo un’altra ancora più importante ed organica: la direzione della Collana Folk della Fonit Cetra di cui lui era magna pars.
Dopo il Risorgimento, l’esigenza di “fare gli italiani”, dopo aver “fatto l’Italia”, fece passare in secondo ordine (spesso nell’oblio) le culture, la storia, le tradizioni, le stesse lingue locali.
Negli anni Settanta ci fu un tentativo di riscoprire, e di riproporre, il grande patrimonio musicale regionale (sarebbe meglio dire: locale), attraverso un movimento che durò quasi tutto il decennio e che fu quello del Folk revival, che ebbe ricercatori in tutte le regioni italiane e soprattutto artisti che conquistarono la ribalta nazionale.
Tra questi, oltre a Profazio in prima fila che aveva iniziato il suo lavoro di ricerca fin dagli anni del Liceo, c’erano Rosa Balistreri, il Duo di Piadena, Caterina Bueno, il Canzoniere internazionale, Dodi Moscati, Matteo Salvatore, Roberto Balocco, il Canzoniere Veneto con Luisa Ronchini, Graziella Di Prospero, Maria Carta, Giovanna Daffini (i canti delle mondine), la Nuova Compagnia di Canto Popolare di Roberto De Simone, gli Aggius, I Galletti di Gallura, Maria Monti, Nanni Svampa, Gipo Farassino e tanti altri.
La collana Folk della Fonit Cetra nacque da una di quelle combinazioni fortunate che capitavano in quegli anni. Fu il professor Giuseppe Lamberto, uno di Cuneo, che aveva fatto il partigiano con Duccio Galimberti e che era stato nominato direttore generale della casa discografica, a cui voleva dare una svolta culturale, a offrirmi questa grande opportunità.
Consigliato anche da Profazio, mi impegnai a raccogliere tutti i grandi protagonisti del Folk revival che a quei tempi spuntavano come funghi in giro per l’Italia e che Otello era il primo a conoscere.
Questa opera colossale posso dire di averla realizzata in collaborazione con Otello, fra una cordale litigata e l’altra. Le discussioni e le liti sono spesso, oserei dire sempre, il sale delle collaborazioni creative.
La collana visse per una decina di anni, durante i quali produsse un centinaio di dischi-libri, un grande patrimonio culturale che consegnammo alla cultura italiana e che ora è andato disperso e perduto, perché la Fonit Cetra fu venduta a una multinazionale che ha condannato quelle opere a una sorta di damnatio memoriae.
Ogni tanto viene fuori qualcuno che riscopre quei canti che appartengono alla cultura popolare italiana e li ripropone come musica etnica. A me la cosa fa tanto ridere, oltre che arrabbiare non poco. Per fortuna che c’è ancora Otello che continua, rara avis, a mantenere viva e a riproporre quella cultura. Ora Otello non c’è più ma ci lascia un grande patrimonio di canti e di storie che lui ha elaborato, classificato e raccolto.
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