LA REDAZIONE
Nel 2018, in piena deriva populista, la presidenza della Camera dei deputati e la presidenza del Senato adottano la decisione di cambiare il regime di calcolo contributivo dei vitalizi degli exparlamentari. È trascorso un tempo sufficiente per fare un bilancio veritiero di questa operazione che, nonostante le falsità e le manipolazioni circolate, si è rivelata fallimentare dal punto di vista giuridico, finanziario e dell’equità.
Perché mentire sui “risparmi” ottenuti, che non sono di 40 milioni ma di 10 milioni all’anno per la Camera?
Perché non ricordare che a questa riduzione si è arrivati per decisione unanime dell’Ufficio di Presidenza, presieduto da Roberto fico e su proposta del questore del M5Sin esecuzione della sentenza parziale n. 4/ 2021 del Consiglio di giurisdizione?
Perché pretendere di impegnare l’Ufficio di Presidenza attuale a non discostarsi dalla delibera n.14 del 2018 e a mantenere per il futuro il cosiddetto “ricalcolo contributivo”, quando l’identica delibera 6/2018 del Senato è stata cancellata in via definitiva dagli organi giudiziari del Senato stesso, e la stessa delibera 14/2018 è stata ampiamente rimaneggiata dalle sentenze parziali del Consiglio di giurisdizione della Camera che ne hanno messo in evidenza tutti gli aspetti di illegittimità costituzionale?
Perché non riconoscere che i “risparmi” al Senato sono stati completamente azzerati dal 13 ottobre 2022 e che il risparmio realizzato nel periodo 01 gennaio 2019 – 13 ottobre 2022 ammonta a meno di mezzo milione al mese?
Perché non dire che i vitalizi calcolati con metodo retributivo sono stati aboliti a partire dal 2012 e che è da allora che il sistema previdenziale di Camera e Senato è interamente e coerentemente contributivo?
Perché continuare a raccontare la favola che agli ex-parlamentari si sono applicate le regole che valgono per tutti gli italiani, quando è vero il contrario?
A nessun pensionato italiano è stata mai ricalcolata la pensione in godimento in base a regole diverse da quelle che valevano al momento del suo pensionamento.
A nessun italiano è mai stato applicato, come è successo, invece, agli ex parlamentari, il ricalcolo retroattivo della pensione con metodo cosiddetto contributivo.
Tutte le riforme previdenziali approvate dal Parlamento hanno sempre fatti salvi i diritti acquisiti sulla base delle vecchie regole, per questo la stragrande maggioranza delle pensioni in godimento degli italiani attualmente sono calcolate con metodo retributivo, nonostante la riforma previdenziale contributiva risalga al 1995.
La modifica imposta oggi di un contratto stipulato ieri e con effetti per domani, introducendo regole che ieri non esistevano (retroattività!), non produce giustizia bensì ingiustizia. Lo si vede bene dagli effetti prodotti dalle delibere 14/018 Camera e 6/2018 Senato che hanno prodotto prelievi del tutto irragionevoli e sproporzionati sulla platea dei circa 3000 beneficiari, colpiti nella versione originaria per il 90% con tagli fino a oltre l’80% e colpiti con la versione corretta (sentenze C.Ga. Senato 253/22 e CdG 4/20121 Camera) “soltanto” per il 49% con tagli fino al 50%.
Non a caso nessuno si è azzardato ad estendere l’esperimento fatto sulle cavie ex-parlamentari a altre categorie di pensionati, come pure si suggeriva da parte di tecnici di vaglia negli anni più caldi della propaganda anti-casta.
E’ alla luce di queste considerazioni e della abbondante giurisprudenza della Corte costituzionale in materia di riduzione dei trattamenti previdenziali che il Consiglio di Garanzia del Senato, ha deciso, con la sentenza definitiva di appello n. 272/2023 la cessazione della validità della delibera 6/2018 sul ricalcolo contributivo dei vitalizi maturati prima del 2012, a partire dal 13 ottobre 2022, riconoscendo tuttavia un’efficacia temporanea, con tutti i problemi di iniquità del prelievo che ciò lascia aperto.
Alla Camera, invece, la situazione è bloccata.
Senza alcuna plausibile giustificazione, il Consiglio di Giurisdizione della precedente legislatura, tuttora non sostituito da un nuovo collegio (almeno alla data 31 luglio 2023), non ha adottato l’attesa sentenza definitiva, omettendo così di pronunciarsi sulla legittimità della delibera 14/2018.
La conseguenza di tale omissione è che gli ex deputati ricorrenti, a differenza degli ex senatori, non hanno ancora la sentenza completa di primo grado a cui fare riferimento dopo ben quattro anni e mezzo di attesa.
Il Consiglio di Giurisdizione della Camera, si è reso non solo protagonista di un atto intollerabile di denegata giustizia, ma ha procurato altresì un danno assai grave alla credibilità dell’istituto dell’autodichia, attraverso cui il Parlamento difende la sua autonomia e la sua libertà da ingerenze di altri poteri pubblici e privati.
Se i giudici interni delle Camere non si ispirano, come vuole la Costituzione, ai principi di indipendenza e imparzialità, lasciandosi condizionare da pressioni politiche, a essere messa in discussione è l’autonomia e la credibilità del Parlamento.
Il risultato dell’inerzia del Consiglio di giurisdizione della Camera aggiunge alle ingiustizie prodotte dall’applicazione retroattiva ai vitalizi delle regole del sistema cosiddetto contributivo, anche l’iniquità grave di un trattamento previdenziale degli ex-senatori profondamente diverso da quello degli ex-deputati.
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