La Crypta Balbi è un museo di scultura, storia e artigianato interessantissimo ma poco frequentato, dove è esposto (anche se in maniera piuttosto maldestra) il più bel capitello che ci sia mai caduto sotto gli occhi.
In un recente paginone di Repubblica si annuncia un progetto di restauro milionario e il ripensamento dell’intera struttura, che dovrebbe portare alla creazione di baretti e ristorantini, insieme ad aree di sosta, incontro e riflessione; insomma tutte quelle civili comodità che per ora in questo, come in quasi tutti gli altri musei di Roma, non ci sono; infatti spesso una visita perde la sua piacevolezza e diventa una via crucis.
Chissà perché, hanno deciso di farci un dispetto. Vuoi sederti un attimo a riposare? Mai: in piedi e trottare! Vuoi confortarti con qualcosa di caldo? In castigo: niente cappuccino! La cultura è fatica. Giusto ogni tanto, vicino ai gabinetti, c’è qualche macchinetta a gettone per farsi passare la sete.
Andiamo al Maxxi, un museo più moderno, dove qualche giorno fa abbiamo deciso di punirci con una capatina alla mostra di pittura e scultura di un certo Bob Dylan (che secondo noi farebbe bene a limitarsi all’altra sua attività).
Il bar c’è, e anche bello, ma guai a pensare di ordinare qualcosa di più interetssante che un solitario tramezzino. Chissà perché un’attività di ristorazione dentro un museo non è pensata come un esercizio che deve, e può, funzionare bene, fornendo al pubblico merce di buona qualità, guadagnando il giusto come avviene nel resto della città. Anche questo è un dispetto.
E le fioriere per strada? Qualunque tipo di pianta, anche la più tosta, ingiallisce e poi muore in poco tempo. Che strano: evidentemente i giardinieri non si ricordano che, se non innaffiate, le piante fanno questa fine; anche, appunto, le più toste.
Dispetto ai nostri danni, ai danni della città, delle istituzioni (qui siamo al Senato) e anche ai danni loro, dei giardinieri, che le tasse comunque gliele trattengono sullo stipendio; ma, è chiaro, questo pensiero neanche gli passa per la proverbiale anticamera del cervello.
Stanno sistemando gli scavi di Torre Argentina per renderli accessibili in futuro. Cosa ci sarebbe di più divertente (e innocuo per l’ordine pubblico) di potersi affacciare alla balaustra e osservare i lavori dall’alto?
Niente, il Comune ha deciso di farci un altro dispetto: tutto è nascosto da un telone alto un paio di metri, imperforabile perfino con quella chiave puntuta che tutti noi abbiamo attaccata al mazzo che portiamo in tasca.
Ma quale segreto c’è da proteggere? Perché un passante benintenzionato non può guardare? E infatti in questa tristissima immagine (siamo in pieno giorno e in pieno Centro Storico di Roma) quello che potrebbe essere un divertente balcone sull’archeologia e un punto di incontro di cittadini interessati o di turisti curiosi diventa uno spazio sprecato, occupato da un monopattino, due persone distratte sedute di spalle, un netturbino al lavoro e basta.
Sconsolati entriamo in una delle tante chiese di Roma. Sono quasi tutte barocche, alcune barocchissime; e che musica ci arriva dagli altoparlanti nascosti dietro le colonne? Un arcaico canto gregoriano che più medievale non si può, altro che barocco. Dispetto della Curia? del Vaticano? del parroco?
In compenso se ce ne andiamo a zonzo per il Palatino, palcoscenico della memoria di Roma antica, il commento sonoro, che arriva anche qui da fonti nascoste nei prati, è affidato a squisite frivolezze vivaldiane che richiamano le loro brave atmosfere settecentesche, decisamente fuori epoca rispetto ai marmi e alle colonne imperiali. Dispetto.
Forse in realtà non c’è cattiva volontà da parte delle istituzioni o dei privati. Allora ci tocca dar la colpa alle pessime abitudini della città, alla mancanza di cultura; magari, peggio, alla diffusa stupidità di chi decide e sceglie.
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