La Vita, se si è attenti, è una dinamica a “stadi”, a forme cioè diversificate nelle modalità di esprimere la propria esistenza. Non si è uguali o fotocopie l’uno dell’altro. Ci possono essere delle leggi comuni che in qualche maniera salvaguardano l’armonia dell’insieme, ma le singole parti sono autonome e obbediscono più che altro al codice della probabilità, che in fin dei conti è un modo come esprimere la propria originale e irripetibile libertà. È proprio in una simile maniera che si sviluppa l’intera Natura con la molteplice varietà delle sue bellezze: quella “Varietas delectat” (=La varietà piace) della quale parlava il grande Cicerone (106 a.C-43 a.C.) in “Ars oratoria” (L. 1. par. 98).
In quale modo ciò concretamente accade? Lo indico sommariamente: c’è una diversità nei minerali, da quelli meno pregiati a quelli più preziosi, dai più oscuri a quelli più luminosi, dai più omogenei a quelli più geometrici, dai più friabili a quelli più massicci (rocce), dai colori uniformi della neve a quelli variopinti delle conchiglie, dalla semplicità di alcuni fiori (margherite, papaveri…) allo splendore delle orchidee o delle magnolie, dai panorami di molte pianure a quelli mozzafiato di alcuni di montagna o di poetici spicchi di mare al tramonto…
Come si può facilmente notare, tutto è ideato da una organizzazione a “stadi”, come all’interno dello stesso atomo si nota una disposizione e interazione perfetta fra nucleo ed elettroni con le numerose altre particelle elementari scoperte in questi ultimi decenni (muoni, fermioni, neutrini, quark…): certamente sono momenti di esistenza molto diversi, ma comunque sempre manifestazioni di una mirabile organizzazione al loro interno.
È di questi ultimi giorni (10 agosto 2023) anche la notizia della luce (fotoni) che si muta in massa (materia) con interventi laser su due elettroni (senza massa) dei quali uno poi diventa positrone (con massa): è quanto accaduto con procedimenti particolari nei laboratori dell’Università della California e in quelli dell’Università di Osaka (Giappone).
Nel macrocosmo, cioè fra le numerose galassie, conosciamo ancora ben poco di quanto accade fra le stelle, i loro eventuali pianeti, la formazione dei buchi neri e quella di buchi bianchi, le quasar, le pulsar, la materia oscura… Su questi argomenti l’Astronomia, la Relatività e la Meccanica Quantistica hanno ancora molto da rivelarci.
Questi vari “stadi” evolutivi si notano, oltre che nella realtà materiale, anche nella stessa vita. A questo punto mi sembra necessario chiarire il concetto di “stadio” e la sua natura.
Dal momento che tutto è in evoluzione, lo “stadio” non è altro che la misura della condizione esistenziale, se vogliamo definirla così, di ogni essere non vivente e vivente e questo fa parte del presupposto che l’Essere non è uguale in tutti e in tutto, per il semplice motivo che ogni diseguaglianza è una potenziale positività che tende a creare diversità e quest’ultima genera Bellezza. Questa è il frutto finale della molteplicità delle cose presenti nell’Universo. Quindi si può dire che in fondo lo “stadio” è una tensione interna alla realtà verso l’equilibrio, cioè verso la Stabilità. Dal punto di vista della considerazione dell’insieme tale equilibrio risulta essere alla fine Armonia, cioè giusta disposizione delle varie parti fra di loro in modo da rendersi visibile non solo come ordine fra di esse, ma anche e soprattutto Fascino da vedere, ammirare e nel quale immergersi per arricchirsi di particolari che vanno poi a comporre e completare il Tutto. In fondo si tratta di una forma di accordo fra più realtà in sé lontane e distinte, che, poste insieme, vanno a realizzare come un “unicum”, che a una vista globale appare e si presenta una meravigliosa e confortevole melodia.
Quando si passa agli Esseri senzienti, e quindi viventi, l’Armonia diventa allora Felicità, intesa come pienezza emotiva e assenza assoluta di dolore.
Cosa è e in cosa consiste tale Felicità, un oggetto prezioso del desiderio ricercato da tutti con una parola ripetuta con frequenza ma quasi mai definita nei suoi termini esatti? Molte sono state le elaborazioni dei vari pensatori nella Storia, che qui mi sembra opportuno e necessario riferire sinteticamente.
Platone (328-438 a.C.) nel trattato “Repubblica” sostiene che la Felicità consiste nella pratica della Virtù, il cui raggiungimento è però possibile solamente in uno Stato ideale, nel quale la comunità è retta dai filosofi (definibile con sofocrazia o noocrazia).
Aristotele (384-322 a.C.) nella sua opera “Etica Nicomachea” ritiene che la vera felicità consiste nella pratica di uno “stile di vita” (Eudaimonia), esercitando cioè alcune virtù come il Coraggio, la Tolleranza, la Liberalità, la Magnificenza, la Pazienza, la Veridicità, l’Arguzia, la Vergogna e la Giustizia. Quasi tutte oggi queste virtù sembrano essere assenti!
Epicuro (341-270 a. C.) elogia la moderazione e la temperanza come mezzi per vivere bene nel nostro contesto terreno (aponia o assenza di turbamenti dell’animo e atarassia o assenza di dolore fisico). Nella famosa “Lettera a Meneceo” spiega che l’uomo non deve temere quattro cose: gli dei, in quanto questi ultimi non si interessano alle vicende umane; la morte perché quando ci siamo noi essa non c’è e quando la stessa c’è non ci siamo più noi; la mancanza del piacere, perché la felicità è sempre alla portata di mano; il dolore fisico, perché se è acuto, allora o è provvisorio oppure porta alla morte, mentre se è lieve, allora è sopportabile. Secondo il filosofo è solo nel soddisfacimento dei bisogni naturali e necessari (nutrimento e riposo) che l’uomo può dire di avere una vita felice. Queste sue teorie furono poi riprese dal Naturalismo e durante il Rinascimento.
L. A. Seneca (4 a.C.- 65 d. C.) nel “De vita beata”, seguendo lo Stoicismo, afferma che la Felicità è la condizione interiore di chi vive secondo giustizia, dominando le passioni e soprattutto l’ira (nel “De ira”) sapendosi accontentare di quello che ha.
Sant’Agostino (354-430) ripone la pienezza della Gioia nella Fede, quando scrive ne “Le confessioni” (1, 1.5): “Signore il nostro cuore è inquieto fino a quando non riposa in Te”.
J. Locke (1632-1704) pensa che solo in uno Stato di diritto ci può essere una Felicità, senza precisarne la natura.
Th. Hobbes (1588-1679) nel “Leviatano” crede che la vera Felicità è solamente un continuo progredire del desiderio da un oggetto a un altro, garantendolo nella Storia, perché fa parte del diritto naturale.
A.Schopenhauer (1788-1860) nell’opera postuma “L’arte di essere felici” fondamentalmente si dimostra molto scettico e pessimista, quando afferma che il piacere e la felicità sono illusioni, mentre reali sono unicamente “la sofferenza e il dolore”, dei quali purtroppo il soggetto ha piena coscienza e non può opporvisi.. L’unico scorcio “ottimista” è che nonostante la felicità non esista, si può almeno cercare di ridurre l’infelicità.
Nella Dichiarazione d’Indipendenza degli Stati Uniti d’America del 4 luglio 1776 si legge che “(…) tutti gli uomini sono creati uguali; che essi sono dal Creatore dotati di certi inalienabili diritti, che tra questi diritti vi sono la Vita, la Libertà e il perseguimento della Felicità; (…)”.
Per F. Nietzsche (1844-1900) essere felici significa divenire capaci di tendere a realizzare la “forza vitale” attraverso il superamento delle avversità e la creazione di modelli di vita originali.
Secondo Ortega y Gasset, (1883-1955), filosofo e sociologo spagnolo, la Felicità vi è quando la “vita proiettata” e la “vita effettiva” coincidono, cioè quando si veridica una corrispondenza fra ciò che desideriamo essere e ciò che siamo in realtà.
Slavoj Zizek (1949), filosofo e politologo sloveno, sostiene che la Felicità è una questione di opinione e non di verità, anche se negli esseri umani regna l’insoddisfazione, perché in realtà non sanno cosa desiderano. “Il problema”, afferma,” è che non sappiamo ciò che vogliamo davvero. Quello che ci rende felici è non avere quello che vogliamo, ma sognarlo”.
L’Esistenzialismo radicale di J.P.Sartre (1905-1980) e A.Camus (1913-1960) opta per un mondo dove non esiste alcun “senso” per vivere.
Volendo partire da tutte queste riflessioni, alcune spesso molto vaghe e contradditorie fra di loro, penso che occorra andare un po’ più a fondo al problema posto dalla domanda. A mio parere, essenzialmente e generalmente la Felicità è simmetria organizzata, realizzazione nelle connessioni fra le varie interazioni, assenza di vuoto, una diffusa e percepibile sensazione di musicalmente gradevole. L’unica particolarità è che essa cambia espressione e colore nei vari Esseri, non viventi e viventi. Non in tutti cioè è uguale, perché esiste una pluralità di sfaccettature o di voci tutte distinte fra di loro, per non dire originali, che fanno dell’intero Creato una orchestra sinfonica unica che produce meraviglia, stupore e incanto.
Cominciando dalla materia, per esempio, che a suo modo vive e comunica al suo interno, la Felicità si esprime, se la si vuol tradurre in linguaggio umano, con la molteplicità delle sue combinazioni sia a livello elementare, come rilevato nella Meccanica Quantistica (capacità informativa a livello elettronico anche a distanza rilevante con l’entanglement, effetto tunnel con la produzione di energia sul piano probabilistico…), ma anche con l’attività propria delle forze deboli e di quelle forti e sul piano macroscopico con la gravitazione universale e l’elettromagnetismo. In tutte queste forme di scambi è come se ci fosse una tendenza irresistibile, libera e non quantificabile a fare in modo che fra la materia cosiddetta inerte esista una propensione (inspiegabile!) a un tipo particolare di dialogo.
Con ciò non si vuole affermare che ci sia un’anima a governare la materia, ma, se poi tanto inerte non è, vuol dire che nel “movimento” o nella spinta energetica che esso produce un qualcosa di stranamente e ancora incomprensibilmente vitale deve pur esserci.
Questo probabilmente lo si scoprirà nel futuro con la ricerca scientifica, anche se si tratterà di una modalità del tutto diversa di vitalità. Si può parlare in questo “ordine” materiale di Felicità? Può darsi, se tradotto in termini umani.
Quando si entra nel mondo vegetale il discorso cambia, perché il dialogo, per così dire, diventa più visibile e, sotto certi aspetti, anche più godibile sul piano emotivo. Infatti in esso predominano alcuni particolari fondamentali sempre variegati, distinti e originali, quali i colori nella loro policromia e nel gioco delle loro forme, come fossero prodotte in maniera sincronica e ordinata dalle mani di un Artista, gli odori che si distinguono a distanza e i profumi che emanano le loro foglie, per non parlare del sapore gustoso dei loro frutti, con la profonda Bellezza di questo Giardino dell’Essere, dinanzi alla quale il Tempo si ferma, gli occhi si illuminano di luce e si estasiano, il cuore batte con più gioia.
E la “missione” degli alberi per la cura e salvezza quasi materna dell’intero pianeta? Tutto questo mondo vegetale è Felicità per sé, ma soprattutto per chi lo osserva. Ha bisogno solo di essere tutelato e ringraziato per quello che compie a favore della Vita. C’è poi da aggiungere che esse (piante e fiori) interagiscono fra di loro comunicandosi informazioni anche se a livello chimico, ma sanno rapportarsi anche con gli umani perché rispondono molto bene pure fisicamente agli stimoli-carezze da questi dati.
C’è da dire poi che la Felicità che in qualche modo si trasmettono collaborando fra loro, forse la maggiore è quella rasserenante che donano agli umani, perché di fronte allo Splendore di una Natura rigogliosa e in fiore non si può che rimanere affascinati, rapiti e come in contemplazione ammirata per tanta Magnificenza.
Un altro “stadio” della Felicità è quello che è proprio dei cosiddetti animali, molte volte considerati come nemici, selvatici, primitivi, aggressivi guidati solo dagli istinti. E invece non è così per una serie di ragioni fatte notare da sempre dalle persone sensibili, ma soprattutto in questi ultimi tempi dagli studiosi di Etologia. La loro tendenza fondamentale è quella di muoversi verso la ricerca del benessere fisico, cioè verso la propria sopravvivenza, cosa del resto che accade anche presso gli umani. Ovviamente in questa ricerca qualcuno può essere anche danneggiato (come preda), anche se bisogna dire che nei progetti del Creatore era che gli animali dovessero cibarsi unicamente dei “frutti della terra” (Libro della Genesi cap. 1, vss. 30). L’esempio deleterio dell’aggressività umana ha cambiato radicalmente la loro natura, diventando a loro volta anche essi violenti verso i propri simili. Un altro aspetto che sottolinea la qualità della loro Felicità è l’essere accettati in un gruppo (branco), anche se questo comporta l’osservanza di alcune gerarchie, quali, per esempio, quella dell’anzianità, della uniformità nelle scelte e nelle azioni, nel riconoscimento del dominio di chi comanda, di una azione comune quando decisa dal gruppo (es. nel volo degli uccelli in stormi o fra i pesci: definiti come cosiddetti ”sistemi complessi”). Tutto questo conferisce all’animale una certa sicurezza ma anche la difesa da eventuali estranei allo stesso. La Felicità va oltre, perché implica una serie chiamiamole di carezze che fra di loro pure si scambiano, specialmente se allevati insieme sin da piccoli dall’Essere umano. La produzione di ossitocina e di endorfine avviene anche in loro e, a loro modo (Biodiversità), sanno amare ed essere amati. Di esempi mirabili di questi interscambi ce ne sono tanti e tutti toccanti: la Felicità allora si riveste di fedeltà e questa di altruismo puro fino a dare anche la propria vita senza chiedere mai nulla, una esperienza molto rara fra gli umani.
Passando all’ esercizio della Felicità fra gli Esseri umani, sono da precisare alcune cose. La prima è quella di chiarire la dinamica interna ai loro “stadi”, le loro reciproche relazioni, la natura e l’essenza di questa particolare Felicità.
Nell’uomo le distinzioni esistenziali e operative possono essere ricondotte a tre: la Fisicità, la Mente e l’Anima (Pura Energia). È dalla sapiente organizzazione fra questi “stadi” il prevalere del grado di qualità della Felicità che si sviluppa nella persona. Avere attenzione e cura unicamente del corpo e delle sue funzioni mortifica moltissimo la sostanza dell’essere o meno felici. Il motivo è che la materia (il corpo) è soggetta alla legge della precarietà e del limite e poi della fine, sicché non si può far risiedere solo in essa la fonte o l’origine dell’essere contenti: ovviamente se intervengono nel frattempo anche le malattie il discorso si complica ulteriormente.
Lo stesso deve dirsi se il tutto si riduce alla sola Psichicità (la Mente). Questa, infatti, pur essendo una parte nobile dell’Essere umano, si presenta comunque limitata nelle sue potenzialità conoscitive per una serie di ragioni: la precarietà delle sue fonti (i sensi), l’estrema soggettività nella elaborazione dei dati provenienti dalla sensazione-percezione, l’influenza di fattori emotivi che vanno non poche volte a interferire e ad alterare la nitidezza delle informazioni, l’affermazione esagerata dell’Ego quando questo prende il sopravvento sulla pacatezza e oggettività dell’analisi e la concreta diversità delle menti (creative, manipolative, a grappolo, astratte, concrete, chiuse in sé, aperte all’altro, contemplative, dedite agli affari, diplomatiche, affabulatorie, fantasiose…).
In sé e da sola, dunque, la Mente non può definirsi “felice” e tutta la storia della cultura (Filosofia, Letteratura in Italia soprattutto con G. Leopardi, la Scapigliatura, I. Svevo. C. Pavese, E. Montale e tanti altri, Musica, Cinema, Arte…) insegna molto a questo riguardo in quanto a esperienza di incomunicabilità, di inquietudine e più spesso di vero e proprio pessimismo anche radicale.
La medesima osservazione è da farsi sull’Anima quando essa, in maniera autonoma, intende affrontare la vita prescindendo dagli altri due “stadi”. Il rischio dietro l’angolo è un insieme di estremismi: assolutismi, fondamentalismi, terrorismi, feticismi, persecuzioni e negazione o distruzione del contrario, particolarismi esasperati con frequenti lotte e non invece, come dovrebbe essere, l’Universalismo nelle visuali e soluzioni dei problemi. Di quale Felicità si può parlare allora in queste Anime che troppo spesso vanno a costruirsi il loro “Dio a propria immagine e somiglianza”, cioè al servizio del loro potere personale o di gruppo? Sarebbe un Dio di natura consumistica, cioè un vero e proprio non-Dio non certamente fautore di bene, di luce e di crescita umana in spiritualità. Anche qui la Storia con le sue tante sanguinose guerre di religione, inquisizioni, deviazioni etiche e roghi ha, purtroppo, molto da ricordare e da insegnare.
Allora dove risiede la vera fonte della Felicità? Essa è soprattutto nell’equilibrato legame e negli scambi di apertura fra i tre “stadi”, come a dire che essi non possono essere isolabili, ma rapportarsi e riconoscersi a vicenda, cercando di armonizzare le varie domande fra di loro nel rispetto del loro valore e della relativa importanza per la completa dignità del vivere. Questo vuol dire “ordine dinamico” e attenzione a ciò che veramente conta, vale e quindi merita precedenza nelle scelte. L’effetto esterno più visibile è l’accensione di uno stato di positiva Risonanza Emotiva con la conseguente sensazione di una profonda Pace spiritual-psico-fisica. Non potendo il durevole cedere al transitorio, occorrerebbe allora predisporre con intelligenza “serena” i reciproci servizi, cercando di conoscere bene le differenze e il funzionamento dei singoli tre “stadi” (Fisico, Mentale, Animico): i bisogni Fisici sono sempre importanti ma non “esclusivi”, quelli Mentali controllano e guidano le scelte relative al fisico e alle emozioni, quelli Animici o Spirituali (riferibili magari al contatto con la Trascendenza) danno il “sapore ultimo” all’Insieme, che, così illuminato, ridiventa Uno che conduce al Tutto. Fra di loro queste forze dovrebbero sempre amalgamarsi e saper “convivere e integrarsi insieme” o come si dice:”Una Fede (Anima) senza la Scienza (Mente) è zoppa e una Scienza senza la Fede è cieca, come un Corpo senza ambedue è morto”.
La Felicità alla fine è la risultante terminale di una condizione di “benessere o ben-essere” avvertita nella Persona con la formazione dell’Armonia, che poi è Bellezza e Attrazione, cioè Gioia, Piacere e Raffinata Sensibilità. In altre parole essa diventa chiara percezione di assenza del vuoto, che di per sé è sofferenza, e Presenza di un Quid seppur misterioso che riempie e avvicina all’Uno e viene percepito dalla coscienza come Perfezione di forme gradevoli di un mosaico (Formgeschichte) al quale irresistibilmente tende ogni esistenza.
In conclusione quella che definisco “Felicità Compiuta”, non complessa ma semplice e chiara, consiste concretamente nel saper vivere con Saggezza in Accordo con se stessi, con gli altri, con la Natura (animali, piante, bellezza circostante) e l’intero Universo: proiettati verso l’Immenso, verrebbe a realizzarsi così la Grande Sintesi della Co-esisetnza fra Bene, Amore e Verità! A questa non ci sono alternative o sostituzioni di natura illusoria (droga, alcol, ricerca sfrenata di divertimento, fuga da sé e dagli altri…), che possono produrre solo disagio, dolore e alienazione, e spesso, anche criminalità. Purtroppo “Experientia docet!”
Giunti a questo punto non ci sarebbe niente altro da aggiungere perché se non si riesce o non si vuole capire il motivo del proprio “Essere nel Tempo e al di là di Esso” vuol dire che si è smarrita totalmente la consapevolezza del “senso” del personale vivere e in questo caso forse era meglio “non essere mai nati” per non costituire un potenziale danno per sé e per gli altri.
Concludo con un pensiero di Siddharta Gautama o Buddha (566-486 a.C.): “Non c’è strada che porti alla felicità. La felicità è la strada”. Come a dire: è una continua conquista della “Montagna incantata” (Thomas Mann) o, come paradossalmente sostiene il filosofo inglese John Gray (1948), non ci sarebbe alcun bisogno di trovare a ogni costo una ragione per essere felici? Chissà! Eppure la sua ricerca esiste, è viva e in ogni realtà è avvertita anche profondamente, perché non si è né lingue parallele né metafore del vivere!
SEGNALIAMO
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2 risposte a “GLI STADI DELLA FELICITÀ”
Il prof. CAMPANOZZI è un maestro, nell’ambito dello studio e della ricerca, a indicarci, con una rassegna del pensiero filosofico e scientifico ,come la condizione della felicità e dell’infelicita’ da sempre accompagni l uomo nel proprio divenire sociale .
Una pregiata e certosina esposizione, sia in chiave letteraria che scientifica, della felicità. Un’eccellente cronistoria. Complimenti!