NON POSSIAMO NON DIRCI EBREI

Si deve partire da una consapevolezza di cui dovremmo essere orgogliosi, se appena ne fossimo coscienti.

L’Italia è l’unico Paese, l’unica Nazione, in Europa a non avere mai espulso dal suo territorio le comunità ebraiche.

Questa presenza è accertata da oltre 2300 anni e ha sempre visto le comunità praticare la propria fede religiosa, seguendone i precetti, senza mai entrare in contrapposizione con le Istituzioni e i poteri che ne discendevano.

Ciò anche nei momenti in cui esse venivano perseguitate o comunque limitate nei diritti.

Dall’800 in poi il riconoscimento degli Ebrei nella Nazione che si veniva costituendo è stato esplicito ed assoluto. La partecipazione ebraica al Risorgimento italiano è stata determinante sia in termini direttamente operativi che nella dimensione culturale.

Alla fine della guerra, dopo la vergogna delle leggi razziali adottate dal Regime Fascista, diversi porti italiani ospitarono le navi in partenza per la Palestina, allora sotto mandato britannico, che portavano profughi e sopravvissuti da tutta Europa.

L’Italia venne chiamata “La Porta di Sion” ma la stragrande maggioranza degli appartenenti alle nostre comunità rimase in Italia, da Italiani ed Ebrei come erano da migliaia di anni.

Nel succedersi degli anni molti diversi fattori hanno creato ed alimentato questa specificità italiana nel rapporto con il Giudaismo.

Iniziarono i Romani che considerarono l’Ebraismo “religio licita” e autorizzarono gli Ebrei a praticare la loro ritualità anche negli aspetti che riguardavano le norme altrimenti coperte dalla legislazione ufficiale.

Operò in questa direzione il complesso atteggiamento della Chiesa di Roma che combinò in un unico contesto il riconoscimento della comune origine dal Vecchio Testamento con i momenti di aggressione e di prevaricazione.

Il Vaticano non tentò mai di espellere gli Ebrei dai territori che governava. Ambiva a proclamarsi “verus Israel” e a riportare al Cattolicesimo quell’iniziale riconoscimento che si era concretato, sul Monte Sinai, nelle Tavole della Legge a cui anche la Chiesa diRoma si atteneva.

La stessa organizzazione dei Ghetti in molte città italiane ebbe anche il senso di proteggere il Popolo Ebraico, garantendone i diritti e la vita.

Alla dissoluzione del potere temporale del Vaticano, a partire dai primi dell’800, le Comunità Ebraiche fornirono gran parte dei gruppi dirigenti che lottarono per la nascita della nostra Nazione.

E così gli Ebrei costituirono una percentuale assai alta dei volontari di Giuseppe Garibaldi e toccò al giovane capitano Giacomo Segre sparare la prima cannonata a Porta Pia il 20 Settembre 1870.

Si disse che lo poteva fare perché non temeva la scomunica papale.

Il Risorgimento e il successivo sviluppo della Nazione Italiana videro una partecipazione ebraica straordinaria.

Attorno a Ernesto Nathan, che verrà definito il miglior sindaco di Roma, la cui famiglia ospitava e proteggeva l’esule Giuseppe Mazzini si snodano i nomi che ancora oggi designano le strade principali delle nostre città: Artom, Guastalla, Manin, Sidney Sonnino, e così via.

Ma accanto alla presenza politica e militare vi è una osmosi ancora più profonda e significativa fra il popolo italiano e quello ebraico.

Essa passa attraverso l’arte e la cultura.

Passa per Firenze dove Pico della Mirandola studia freneticamente la Cabala Ebraica alla ricerca di quella connessione fra numeri e lettere che oggi ci sembra destinata a comandarci attraverso gli algoritmi.

Passa per la scelta di Michelangelo Buonarroti che si ritrae, nella Cappella Sistina, nei panni del capo dei Leviti, i difensori del Tempio di Gerusalemme.

Passa per gli affreschi della Sala dei Papiri in Vaticano dove Mosè e Pietro si affiancano rispettosamente l’un l’altro. A uno le Tavole, all’altro le Chiavi.

E così via, in una carrellata senza fine.

Insieme a loro, la cultura e l’arte; anche qui i nomi scorrono ma hanno tutti trasferito il loro profondo essere ebrei nelle opere e negli scritti.

Umberto Saba e Giorgio Bassani, Italo Svevo e Leone Ginzburg, Primo Levi e Pitigrilli, e (di nuovo) avanti così.

I nomi si confondono nella mente. Da Hugo Pratt a Gillo Pontecorvo, da Amedeo Modigliani a Antonietta Raphael, sino ad arrivare a mio suocero che mi accoglie ogni giorno all’ingresso in casa dal suo “Ritratto di giovane ebreo” di Andrea Becchi.

La aveva in vita la “faccia da ebreo” e la ha anche nel quadro.

Ma aveva anche la cultura, la passione per la libertà, il rispetto dei valori “da ebreo”.

Eccoci al punto più cruciale e doloroso.

Abbiamo un Popolo, che ha una Religione, una Lingua e una Cultura comune.

Perché non dovrebbe avere anche una Nazione e uno Stato visto che li ha avuti e ne è stato cacciato?

Perché non dovrebbe essere “risarcito” di molti secoli di persecuzioni e di alcuni tentativi (non solo nazisti) di estinzione totale?

Perché non si dovrebbe restituire loro la onorabilità che un falso come “I protocolli dei savi di Sion” ha compromesso (su iniziativa della polizia zarista) e continua ad essere stampato e diffuso nei territori islamici e nella Cina comunista?

Perché dovrebbero rinunciare a una visione che ha anche un fondamentale risvolto religioso?

È un passaggio essenziale.

Giovanni Paolo II, entrando nel Tempio, disse loro: “Siete i nostri fratelli prediletti e, in un certo modo, si potrebbe dire i nostri fratelli maggiori.”

Dobbiamo estendere questo messaggio anche a tutti gli aspetti dello scambio profondo che ci lega da millenni con la cultura e l’identità Ebraica.

Dobbiamo sapere di essere “anche” ebrei e che quando una organizzazione criminale, che sfrutta e opprime il Popolo Palestinese, li attacca e cerca di cancellarli dal mondo sta iniziando a fare anche a noi la stessa cosa.

È la nostra cultura, la nostra idea di libertà che viene umiliata e uccisa. Loro siamo noi, protetti soltanto da una distanza che diventa ogni giorno più breve.

Il nome Italia viene, sembra accertato, da un termine greco con cui si designavano i Vituli.

Ma, oltre 2000 anni fa, gli Ebrei in fuga dalla loro Patria chiamavano il nostro territorio I Tal Ya che significa “l’isola della rugiada felice”.

Mica male, eh?


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Commenti

2 risposte a “NON POSSIAMO NON DIRCI EBREI”

  1. Avatar Morari G. Giuseppe
    Morari G. Giuseppe

    L’Africa è grande c’è spazio per tutti.Non è un monopolio degli arabi, basta mettersi daccordo .

  2. Avatar Annamaria Santariga
    Annamaria Santariga

    Shalom