IL RISCHIO DEL CAOS

PLEIADE INTERNATIONAL AWARD

LUIGI TROIANI

Ringrazio la presidente del Premio, Simona Agostini Ciminieri, e la presidente della giuria, Adriana Pannitteri, per l’onore che mi fanno attribuendomi il premio intitolato alla memoria dell’amico Franz Ciminieri.

Di quella preziosa amicizia voglio richiamare due episodi, che sicuramente la sua compagna di vita, dott.ssa Agostini, ricorderà.

Il primo riguarda la presentazione di un mio libro di poesie alla Federazione unitaria italiana scrittori. Franz non solo fu tra i relatori ma accettò generosamente di esserne co-organizzatore insieme all’editore Rubbettino, attraverso la sua associazione. In quella mia colpa, tra l’altro, coinvolse Simona, che firmò su “Futuro quotidiano” una recensione di quel mio lavoro.

L’altro episodio riguarda la nascita di “Scelgo Europa”.
Parlammo, in quella temperie politica, della necessità di un impegno civico contro il montante populismo di destra e di sinistra. Convenimmo che la scelta decisiva a quel punto riguardava essere o non con le istituzioni di Bruxelles, e che si facesse partire un movimento di base dichiaratamente favorevole alle istituzioni unionali. Gli suggerii il nome “Scelgo Europa” dicendogli al tempo stesso che non avrei potuto partecipare direttamente per i tanti impegni che avevo. Mi disse: “non so se tutti i miei amici mi seguiranno in una scelta così radicale”, al che gli risposi che se amici e sodali si tiravano indietro sull’impegno verso le istituzioni comuni europee, non erano persone adatte al cammino di ulteriore impegno che intendeva intraprendere, perché le cose decisive del futuro sarebbero venute da quello stare o non con le istituzioni di Bruxelles e Strasburgo.

I fatti ci avrebbero dato ragione, come mostrano i drammatici avvenimenti che stiamo seguendo nell’area centro orientale del nostro continente.

La guerra di aggressione russa contro l’Ucraina, nasce sulla questione della vocazione ucraina a divenire membro dell’Unione Europea, e EuroMaidan è il segno di quella scelta, così come della minaccia russa alla democrazia ucraina.

Il cambio di politica a Varsavia nasce anch’esso sulla questione UE. Donald Tusk, già presidente del Consiglio Europeo nel quinquennio 2014-2019, fa – con i suoi alleati – la campagna sul ritorno della Polonia alla casa Ue, dopo l’allontanamento voluto dal governo tuttora al potere. E vince.

Macron è presidente della Francia perché gli elettori, anche chi non aveva particolare simpatia per lui, di fronte alla scelta di votare la candidata delle forze nazionaliste contrarie all’UE, hanno optato per la casa Europa. Potrei continuare con altri esempi, ma non credo serva.

Resto rigorosamente fermo e convinto, su quel principio.

All’epoca della conversazione con Franz avevo pubblicato da poco, presso l’editore Franco Angeli, Regionalismi economici e sicurezza, un libro nel quale affermavo che la teoria del regionalismo cooperativo e il modello che ne derivava, andavano assunti come chiavi con le quali aprire la porta che avrebbe introdotto il mondo a un percorso di sviluppo e di pace, proprio come era successo nella parte centro occidentale del continente a partire dagli anni ‘50 dello scorso secolo. Vi affermavo che pur essendo il regionalismo cooperativo ascrivibile al grande filone dell’idealismo, aveva fatto tesoro della dura lezione del fallimento dell’idealismo tra Prima e Seconda guerra mondiale (i decenni delle grandi sanguinarie dittature, l’aborto della Società delle Nazioni, la perpetuazione del colonialismo, la Seconda guerra mondiale furono tra i suoi frutti avvelenati, lo ricordino sempre i cosiddetti pacifisti intemerati!), accettando salutari correttivi improntati al realismo (la rigidità in materia economica finalizzata in primis ad evitare inflazione devastante, il mercato sociale che non scontentasse troppo il mondo del lavoro, la requisizione dell’agricoltura a livello centrale così da dare certezza alla disponibilità di cibo, la contiguità con la Nato così da scoraggiare ogni potenziale assalitore, etc.).

Con il libro che viene oggi premiato dalla generosità nei miei confronti delle presidenti del Premio e della Giuria, quella teoria viene calata sulla realtà contemporanea, una realtà dove tende a imporsi, un po’ ovunque, la “diplomazia dell’arroganza” per stare al titolo del volume, concludendo che i valori e le buone pratiche dell’Unione possono rivelarsi utili per molte nazioni e regioni del nostro tormentato mondo.

Non vi è “diplomazia dell’arroganza” nel territorio dove sventola la bandiera con il campo blu e le stelle dorate dell’Unione.
Se ci fosse, l’Ue chiuderebbe i battenti un istante dopo, perché significherebbe che il virus del nazionalismo aggressivo sarebbe tornato ad ammorbare le nostre contrade, nonostante le terribili lezioni delle due guerre mondiali.
Perché “il nazionalismo è la guerra” per stare al testamento politico che il presidente François Mitterrand consegnò al Parlamento Europeo, consapevole del cancro che lo stava portando alla tomba.
“Le nationalisme c’est la guerre!”.

Vi è però tutto un mondo esterno alla bolla irenica Ue, che sta diventando obiettivamente sempre più complicato da preservare in un’epoca nella quale siamo circondati da guerre o minacce aggressive su tre dei quattro lati del nostro confine. Dal che la necessità del cambio di registro politico-strategico e socio-economico dei 27.

È uno dei ragionamenti sviluppati nel mio libro, partendo dalla constatazione che se da un lato la materia “Relazioni Internazionali” o International Politics che dir si voglia, entra in scena per la prima volta in ambito accademico, in una facoltà del Galles subito dopo la Prima Guerra Mondiale proprio come studio che ricerca le cause e le frequenze della guerra al fine di creare le condizioni per evitarle, deve da subito confrontarsi con le guerre di aggressione che continuavano nonostante la “Società delle Nazioni e il suo imperativo al disarmo”, facendo propria una legge fondamentale che regola i rapporti fra gli stati anche contro il desiderio di pacificazione planetaria che anima, credo tutti noi: per fare la guerra basta un solo che la scateni, alla pace si arriva quando almeno due avversari sono pronti a sedersi al tavolo delle trattative.

Il libro spiega perché il metodo multilaterale sia preferibile al bilaterale, ma anche che il multilateralismo cosiddetto “mutilato”, può fare più danni dello stesso bilateralismo.

Al tempo stesso sostiene che se agli stati compete regolare le questioni nazionali, solo a una comunità internazionale organizzata con poteri cogenti rispettosi dei rapporti di forza esistenti competano decisioni a carattere globale, come il riscaldamento climatico, il controllo delle armi nucleari e batteriologiche, le pandemie, le migrazioni globali, la cattiva distribuzione dei beni comuni e umani come il cibo, la sanità, l’istruzione.

Gli stati nazionali come li conosciamo hanno ampiamente mostrato di non essere in grado di dare ai problemi globali le risposte necessarie. Indispensabile riflettere su un meccanismo che riesca a farlo, visto che la statolatria, sotto questo profilo, ha caricato l’umanità di una infinità di lutti e disastri, dai quali, anche nella contemporaneità, non sa come poter uscire. La consapevolezza dei limiti della forma stato nazionale può essere una bussola che orienti verso nuove soluzioni.

Proprio dalla crisi dello stato nella contemporaneità – segnalata dal crescere delle ingiustizie e delle povertà, dal numero delle dittature degli autoritarismi e delle democrazie malate, delle guerre e dei conflitti in corso che assommano a ben 170 – parte questo mio libro, evocando per gli stati la figura virgiliana dei Rari Nantes in gurgite vasto dell’Eneide. Mi è sembrata l’appropriata rappresentazione dell’attuale naufragio degli stati come li abbiamo conosciuti sino alla vigilia della cosiddetta globalizzazione.

Già monopolisti di un territorio e di una popolazione, gli stati sono ora dispersi nel grande caos della contemporaneità (guardate cosa un non stato come Hamas e un non stato come Wagner conducono operazioni sul terreno contro il principio stato) globalizzata, inadeguati rispetto agli strumenti della contemporaneità come la finanza globale, le pubbliche opinioni sobillate dai social media, i prodotti altamente tecnologici dei cyber attacchi e della guerra elettronica in genere, per non dire del terrorismo, degli stupefacenti, della criminalità globale.

Giocando sulle parole, ho scritto che gli stati sono passati dalla tentata solidarietà a quella della solitarietà, dove ciascuno stato si sentirebbe chiamato a spicciarsela soprattutto per proprio conto., basando i comportamenti sugli interessi delle proprie élites, o clan.

Peccato che nell’eventuale naufragio, gli stati possono trascinare nel gorgo il sistema internazionale che ha operato, nel bene e nel male ma ha operato, e dato soluzioni ai problemi, dai trattati di Vestfalia sino al primo dopo-sovietismo.

Da qui il rischio del caos generato dall’anarchia o dalla semi-anarchia del sistema internazionale. Al rischio di semi-anarchia e al disordine vigente occorre certamente dare soluzione, e l’Ue è chiamata a fare la sua parte. Sarà uno dei temi centrali della vicina campagna elettorale per le elezioni del Parlamento Europeo.


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