“Visse tutta la vita sopra le righe, e poi morì per un foruncolo”. È la lapide che andrebbe scolpita sulla tomba di Aleksandr Skrjabin.
È un pianista compositore che parte galoppando all’inseguimento romantico di Chopin, ma poi il suo destriero si azzoppa e lui si ritrova sconcertato nell’atonalismo, guadagnandosi sulla Grande Enciclopedia Sovietica il podio di “Compositore più amato e nello stesso tempo più detestato di tutta l’Unione”. E anche la dichiarazione che “Nessuno fu più famoso in vita e pochi furono così rapidamente ignorati dopo la morte”.
Nasce a Mosca e giovanissimo già studia con Nicolaj Zverev che ha come allievo anche Rachmaninoff e, spesso a casa sua come ospite, Ciaikovskij. Insomma, nell’ambiente ci si trova a sguazzare subito.
Ha mani piccole; diventa lo stesso un abile pianista ma si sente inferiore al suo compagno Rachmaninoff che invece le mani le ha enormi e allora fa la stessa stupidaggine commessa a suo tempo da Schumann. Si sottopone a un esercizio massacrante: nel suo caso eseguire tutte le 32 sonate di Beethoven senza fermarsi mai. Naturalmente si procura un danno ai tendini, che il suo medico dichiara irreversibile, ma che, dopo un po’ di tempo per fortuna rientra.
Finiti gli studi di composizione e rifiutato il diploma per fare un dispetto al suo professore, Aleksandr si dedica all’insegnamento, sposa una pianista, ha sette figli; poi lascia lei, Mosca, i bambini, la cattedra di pianoforte al Conservatorio e parte per un giro di concerti in Europa con una studentessa con la quale ha un altro figlio, Julian, un bambino prodigio che annega a undici anni dopo aver composto opere sorprendentemente raffinate e mature.
A questo punto torna a Mosca.
Si inventa una tastiera da cui il pianista può proiettare su uno schermo un fascio di luce del colore corrispondente (per lui) alla nota suonata e la fa costruire per l’esecuzione della sua composizione “Prometeo”.
A questo proposito Rachmaninoff riferisce nella sua autobiografia una accesa conversazione fra Skrjabin e Rimskij-Korsakov, dalla quale emerge un ovvio ostacolo al progetto: la probabilità, anzi la certezza che musicisti diversi troveranno sempre associazioni diverse fra suoni e colori. Per esempio, mentre il Re è per tutti e due gli interlocutori marrone, il Mi bemolle è rosso per Skrjabin, blu per Rimskij-Korsakov. E allora come ci si può intendere tra suoni e colori? Infatti l’idea non farà molta strada.
Fra le tante cervellotiche certezze Skrjabin ha anche quella che un giorno il calore distruggerà la Terra. Nel frattempo annaspa in un confuso vortice di pensieri che lo sballottano dall’arte totale e dalle teorie superomiste di Nietsche alla teosofia, al misticismo e al cosmismo. Progetta la rigenerazione dell’umanità in una missione cosmica di evoluzione e trasformazione attraverso la spiritualità e la tecnologia.
Insomma è certo di avere il compito di salvare l’essere umano con la sua arte e questo risultato pensa di raggiungerlo con il suo “Mysterium”, un’opera multimediale della durata di una settimana fatta di suoni, danze, luci, profumi sul tema del giudizio universale, da mettere in scena in una struttura appositamente costruita ai piedi dell’Himalaya.
L’esecuzione non ci sarà mai, ovvio. Alla fine tutti d’accordo, amici e nemici, con la definizione di Horowitz: “Un folle ipocondriaco pieno di tic, incapace perfino di stare fermo a sedere”.
A 43 anni, al culmine della sua carriera, ammirato dal pubblico per le sue doti di pianista e per la visionarietà della sua musica, Skrjabin dà l’ultimo concerto che ha un immenso successo, a proposito del quale ricorda di avere corso un grosso rischio: “Durante l’esecuzione dimenticai completamente che suonavo per il pubblico…di solito dovevo controllarmi attentamente per non perdere la padronanza di me stesso”.
Una mattina, mentre si spunta i baffi, nota sul labbro superiore un foruncolo. Non ci fa troppo caso, ma qualche giorno dopo gli viene un po’ di febbre, l’infiammazione aumenta, il foruncolo diventa una pustola, poi un’ulcera. La temperatura sale a 41, si tenta un’incisione, ma ormai la setticemia gli ha infettato il sangue e in un paio di giorni Skrjabin è spacciato.
Quello che per qualsiasi altro uomo sarebbe stato un semplice fastidio, per lui è diventato una condanna a morte.
ALEKSANDR SKRJABIN 1872 – 1915
“Visse tutta la vita sopra le righe, e poi morì per un foruncolo”. È la lapide che andrebbe scolpita sulla tomba di Aleksandr Skrjabin.
È un pianista compositore che parte galoppando all’inseguimento romantico di Chopin, ma poi il suo destriero si azzoppa e lui si ritrova sconcertato nell’atonalismo, guadagnandosi sulla Grande Enciclopedia Sovietica il podio di “Compositore più amato e nello stesso tempo più detestato di tutta l’Unione”. E anche la dichiarazione che “Nessuno fu più famoso in vita e pochi furono così rapidamente ignorati dopo la morte”.
Nasce a Mosca e giovanissimo già studia con Nicolaj Zverev che ha come allievo anche Rachmaninoff e, spesso a casa sua come ospite, Ciaikovskij. Insomma, nell’ambiente ci si trova a sguazzare subito.
Ha mani piccole; diventa lo stesso un abile pianista ma si sente inferiore al suo compagno Rachmaninoff che invece le mani le ha enormi e allora fa la stessa stupidaggine commessa a suo tempo da Schumann. Si sottopone a un esercizio massacrante: nel suo caso eseguire tutte le 32 sonate di Beethoven senza fermarsi mai. Naturalmente si procura un danno ai tendini, che il suo medico dichiara irreversibile, ma che, dopo un po’ di tempo per fortuna rientra.
Finiti gli studi di composizione e rifiutato il diploma per fare un dispetto al suo professore, Aleksandr si dedica all’insegnamento, sposa una pianista, ha sette figli; poi lascia lei, Mosca, i bambini, la cattedra di pianoforte al Conservatorio e parte per un giro di concerti in Europa con una studentessa con la quale ha un altro figlio, Julian, un bambino prodigio che annega a undici anni dopo aver composto opere sorprendentemente raffinate e mature. A questo punto torna a Mosca.
Si inventa una tastiera da cui il pianista può proiettare su uno schermo un fascio di luce del colore corrispondente (per lui) alla nota suonata e la fa costruire per l’esecuzione della sua composizione “Prometeo”.
A questo proposito Rachmaninoff riferisce nella sua autobiografia una accesa conversazione fra Skrjabin e Rimskij-Korsakov, dalla quale emerge un ovvio ostacolo al progetto: la probabilità, anzi la certezza che musicisti diversi troveranno sempre associazioni diverse fra suoni e colori. Per esempio, mentre il Re è per tutti e due gli interlocutori marrone, il Mi bemolle è rosso per Skrjabin, blu per Rimskij-Korsakov. E allora come ci si può intendere tra suoni e colori? Infatti l’idea non farà molta strada.
Fra le tante cervellotiche certezze Skrjabin ha anche quella che un giorno il calore distruggerà la Terra. Nel frattempo annaspa in un confuso vortice di pensieri che lo sballottano dall’arte totale e dalle teorie superomiste di Nietsche alla teosofia, al misticismo e al cosmismo. Progetta la rigenerazione dell’umanità in una missione cosmica di evoluzione e trasformazione attraverso la spiritualità e la tecnologia.
Insomma è certo di avere il compito di salvare l’essere umano con la sua arte e questo risultato pensa di raggiungerlo con il suo “Mysterium”, un’opera multimediale della durata di una settimana fatta di suoni, danze, luci, profumi sul tema del giudizio universale, da mettere in scena in una struttura appositamente costruita ai piedi dell’Himalaya.
L’esecuzione non ci sarà mai, ovvio. Alla fine tutti d’accordo, amici e nemici, con la definizione di Horowitz: “Un folle ipocondriaco pieno di tic, incapace perfino di stare fermo a sedere”.
A 43 anni, al culmine della sua carriera, ammirato dal pubblico per le sue doti di pianista e per la visionarietà della sua musica, Skrjabin dà l’ultimo concerto che ha un immenso successo, a proposito del quale ricorda di avere corso un grosso rischio: “Durante l’esecuzione dimenticai completamente che suonavo per il pubblico…di solito dovevo controllarmi attentamente per non perdere la padronanza di me stesso”.
Una mattina, mentre si spunta i baffi, nota sul labbro superiore un foruncolo. Non ci fa troppo caso, ma qualche giorno dopo gli viene un po’ di febbre, l’infiammazione aumenta, il foruncolo diventa una pustola, poi un’ulcera. La temperatura sale a 41, si tenta un’incisione, ma ormai la setticemia gli ha infettato il sangue e in un paio di giorni Skrjabin è spacciato.
Quello che per qualsiasi altro uomo sarebbe stato un semplice fastidio, per lui è diventato una condanna a morte.
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