ANDREA PAZIENZA- IL GIOVANE FAVOLOSO

di Michele Trecca

Faccia a faccia – incontri, letture, miti letterari

Narrativa e arte degli anni Ottanta

Non ci siamo mai incontrati, ma sarebbe potuto accadere. Tante volte. Eravamo coetanei e vivevamo in due città vicine. Tu a San Severo, io a Foggia. Non ci siamo mai incontrati, ma io ti ho conosciuto perché di te mi hanno parlato tanto i tuoi amici Enzo ed Enrico e un po’ anche tua madre, con cui ho chiacchierato qualche volta a casa tua insieme ad Enrico. In una di queste brevi conversazioni con inesausta dolcezza una volta lei ha detto che le tue prime parole sono state catta e bia, carta e matita, e che a diciotto mesi hai disegnato un bel tavolo quadrato con tre gambe uguali e una più corta che subito dopo hai allungato abbozzando sulla carta un’aggiunta attaccata con dello spago.

La tua grandezza è stata così manifesta e precoce che non basta a spiegarla l’eredità genetica di tuo padre artista. Sei stato un genio, una singolarità, come i fisici definiscono quei fenomeni naturali che eccedono le leggi ordinarie.

Molte altre cose di te, di quando eri bambino e poi ragazzo, le ho sentite da quelli che allora erano il cerchio magico dei tuoi affetti: i parenti di San Benedetto, la tua tata, gli amici di San Severo, quelli di Calenella, i professori di Pescara e altri e altri ancora. Ho anche ascoltato tue cronache di lavoro e corteggiamenti registrati su cassette Tdk che – secondo me – andrebbero trascritti per farci un Meridiano. La tua arte era a tutto campo.

Fra nostalgia, commozione ed ironia, ma soprattutto rammarico, incolpevole e tacito eppure indomito, queste testimonianze dell’amore che da tanti hai avuto nella tua vita di provincia, lussureggiante di sogni e avventure… di quella tua vita prima degli accecanti bagliori di Bologna, Enzo, Enrico ed io abbiamo scritto più di una volta.  

A Foggia tu ci venivi spesso. Avevi amici e fidanzate. Può anche darsi che qualche volta per strada ci siamo incrociati, in giro di qua e di là, o passeggiando per il corso. Ci saremmo potuti incontrare anche a Pescara, dove tu hai studiato al liceo artistico e io sono andato al mare con i miei ogni estate, per molti anni, quando ero ragazzo come te.

Certo, tu l’estate tornavi a casa e al mare andavi sul Gargano, nella vostra villa di San Menaio, dove qualche anno fa hanno ritrovato nella tavernetta un tuo murale del ’72 di cui si era persa memoria, perché nascosto alla vista da una successiva imbiancatura. Di questo, però, senz’altro ti è giunta notizia, o forse gliel’hai data proprio tu, l’imbeccata… Sai, una notte ti ho sognato mentre su questa faccenda leggevi un articolo importante e con commozione fanciullesca al limite delle lacrime continuavi a ripetere: Ma vi rendete conto? Vi rendete conto?

In verità sul Gargano tu ci andavi pure d’inverno, a fare il Robinson nelle terre estreme con i tuoi amici, oppure fuori stagione, qualche domenica, a caccia con tuo padre e la sua comitiva di buontemponi.

Di sicuro, però, a Pescara ci tornavi anche quando il liceo era chiuso. Le occasioni non ti mancavano fra relazioni varie, concerti e mostre, del resto tu lì dal primo momento sei stato di casa e subito nel giro dell’arte con la galleria Convergenze.

A Pescara non ci siamo mai incontrati in nessuna delle estati della nostra giovinezza ma a Pescara ci ritroveremo adesso, in tarda età perché, appena possibile, ci tornerò per incontrare Enzo che poi mi accompagnerà allo spazio d’arte Aurum, dove in una sala dedicata c’è il grande murale da te dipinto nella stanza di Massimo Carafa a San Severo e che finora io ho visto solo sulla copertina del suo CD, Apaz.

Ci saremmo potuti incontrare anche a Bologna alla manifestazione contro la repressione nel settembre del ’77.

Io c’ero e sicuramente anche tu, anzi, ancor di più tu, che da un paio di anni a Bologna studiavi al Dams, eri pienamente coinvolto nel movimento e già un nome importante fra i militanti delle radio libere, gli artisti e i creativi della città. Di quel movimento bolognese e nazionale, Pier Vittorio Tondelli ha detto che tu sei stato «il cantore, il poeta, l’artista forse più grande».

Sai che c’è? Ora ti racconto una cosa che forse hai dimenticato anche tu. È possibile. Nessuno più la ricordava. È la storia di un video, una pellicola in Super 8 di sette minuti e diciannove secondi. A me ne parlò Enrico. Un giorno mi disse: Vieni a trovarmi, voglio farti vedere una cosa di Andrea che senz’altro ti piacerà. Porta il computer. Andai subito, lì nella sua azienda in campagna alle porte di San Severo.

Il video è venuto fuori per caso, mi raccontò quella volta Enrico nella grande stanza adattata a studio, faccia a faccia con quel tuo schizzo a penna in cui ritrai il gruppo degli amici di allora come il Quarto stato in versione Sturmtruppen. L’hanno trovato due miei amici mettendo ordine fra vecchie cose, disse Enrico. Non sanno come sia arrivato a loro. Né quale sia la provenienza o chi l’abbia girato. Anche io – aggiunse Enrico – non ne so nulla. Mai visto prima. Posso solo fare qualche ipotesi, ma molto vaga e senza riscontro.

Inutile che ti dica della mia emozione quando facemmo play sul file in cui era stata convertita la pellicola.

Il video è dei primi mesi del ’77. Ci sei tu che esci dalla casa di via Emilia Ponente, prendi il tram e vai in centro e in piazza Maggiore. Ti fermi davanti alle lapidi dei Caduti della Resistenza, poi vai a una buca delle Poste e spedisci qualcosa. Quindi, come fossi d’un tratto libero e felice, scavalchi con un agile balzo la siepe di una bassa recinzione della zona pedonale e vai al Dams. Sali al primo piano e con assorto affetto osservi da una finestra il dispiegarsi di un corteo in partenza per rivendicare il diritto delle donne all’aborto.

Il video è girato benissimo, con grande padronanza, ed è una narrazione compiuta, fluida ma ben scandita nei suoi diversi momenti, arricchita inoltre da non casuali dettagli in primo piano (gli stivaletti sempre cari, per esempio) e grandangolo sul contesto della gente, del flusso delle macchine… che fissa in maniera inequivocabile il momento storico.

Poi naturalmente ci sei tu che in ogni espressione, azione e movimento in quei sette minuti e diciannove secondi mostri un quieto e assoluto dominio di quella situazione creativa. I tuoi occhi, lieti e pensosi, non guardano: catturano il mondo nella sua intimità per alimentare il fuoco vivo di un’opera aperta su tutto l’orizzonte della Storia. C’è, infatti, il passato con le sue ricordanze (i Caduti della Resistenza) e c’è il presente in divenire (l’avvio del corteo) che guardi dall’alto per poterlo rappresentare nella sua verità. Come stavi facendo proprio allora con le prime strisce di Pentothal. Non era maggio, ma un mese comunque odoroso e tu, giovane favoloso, così solevi menare il giorno in quel di Bologna.

Smaltita la botta emotiva, lo dissi subito ad Enrico, poi l’ho anche scritto e ne sono sempre più convinto, ed ora ti chiedo conferma: quella che tu imbuchi è la falsa, mitica, lettera di raccomandazione di Umberto Eco a Oreste Del Buono, che tu hai sempre detto di esserti inventato per accreditarti e di aver realmente scritto e inviato alla redazione di Milano ma che il direttore di Alter e di Linus ha sempre sostenuto di non aver mai visto. Con quel video hai voluto fissare un momento decisivo della tua vicenda artistica. Forse il più importante in assoluto. Quello in cui, consapevole della tua forza, chiedi udienza al mondo, smanioso di dare prova di te. Come quando Leopardi scrive a Pietro Giordani, e tu lo fai con l’upgrade della beffa, secondo lo spirito di quel tempo di indiani metropolitani. Ti ricordi? È andata così?

Quel video ebbe su di me la stessa forza d’urto emotiva di quando anni prima, in visita con Enrico, tua madre ci mostrò quel piccolo lavoro del ’71 (50×70, pennarello) sgargiante di colori come una tela pop con al centro la scritta Andrea Pazienza is dead. Avevi sedici anni, allora, e con esatta premonizione raffigurasti la tua morte al culmine del successo sublimandola nell’arte con un’esplosione di luce per contrastare la plumbea tristezza del momento e la disperazione dei volti cari, fra cui quello di tuo padre.

Scrissi allora – e ne sono ancor più convinto oggi – che un artista sente intorno a sé il proprio destino come un profumo, lo conosce con la chiarezza ambigua d’un oracolo e quindi – al tempo stesso – lo precorre e lo insegue perché sa che nel suo compimento è la propria ragione d’essere.

I grandi non si negano alla vita ma lasciano che essa gli esploda dentro. Non ci siamo mai incontrati, ma sarebbe potuto accadere. Tante volte. Anche a Roma, a giugno dell’Ottantotto. Sì, proprio quel mese e quell’anno lì. Tu sei stato a Roma, pochi giorni prima di quel sedici scritto in ogni tua biografia. Sei arrivato da Montepulciano per consegnare dei lavori e forse per cercare, e comunque trovare, ciò che poi ti ha ucciso. Io sono stato a Roma tutto quel mese per fare il commissario d’esame in un liceo.

Certe volete penso, metti che da ragazzi ci fossimo incontrati a Foggia, a Pescara o a Bologna e che fossimo diventati amici prima, molto prima che ti conoscessi grazie ad Enzo e ad Enrico e che in qualche modo fossimo rimasti in contatto… Può essere pure che venendo tu a Roma ci saremmo visti. Lo so, tu avevi preso il largo con la tua arte e le tue inquietudini, io invece ero felicemente incagliato in una navigazione sottocosta ma, sai, nessun folle volo recide mai certe radici comuni della stessa terra e spesso bastano queste per stare bene insieme, almeno un po’, giusto il tempo di ricordare qualcosa di bello, darsi una spinta e scansare una merda.

(4 – continua)


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