BARTOLOMEO EUSTACHIO – quarta parte

Quando Bartolomeo Eustachi rese l’anima a DIO in un tratto della consolare Flaminia compreso tra Nocera Umbra e Fossato di Vico nell’anno del Signore 1574. (Cronaca con qualche elemento di fantasia della morte del grande anatomista.)

E a questo punto della vita del Nostro che accade il fatto che lo condurrà a morte.
Il cardinale Giulio della Rovere era stato colto da infermità mentre si recava nella sua Urbino, un giorno dell’estate del 1574
I suoi servitori, che lo accompagnavano nel viaggio lungo la Flaminia, decisero di fermarsi a Forum Semproni l’attuale Fossombrone nella marca pesarese, per una sosta che consentisse al cardinale di riprendere le forze, e proseguire nel viaggio verso Urbino, non lontano da lì. Però prima di tutto fu mandato un messaggero a Roma, che doveva portare ad Eustachio la richiesta pressante di raggiungere immediatamente Fossombrone.

Eustachio avuta la missiva, per l’affetto e la riconoscenza che aveva nei confronti del suo protettore, decise di partire trascurando il peso dei suoi anni e i disagi del viaggio, in quella calda estate. Il latore del messaggio raggiunse Eustachio intento al lavoro in sala anatomica e con il programma di tornare nel suo studio per apportare modifiche a quanto aveva scritto intorno alla vena azigos in un precedente trattato. La notizia del malore del cardinale e l’invito-ordine di partire immediatamente per raggiungerlo gli fece gelare il sangue. Non stava bene in salute, i dolori alle ossa si erano acutizzati negli ultimi tempi, accompagnati da una profonda astenia che non aveva inficiato la dedizione al lavoro, ma lo aveva reso tremendamente faticoso, al limite della rinuncia, che per altro sapeva impossibile.

Ora quel lungo viaggio di quasi trecento chilometri nella calura estiva lo terrorizza. Doveva raggiungere il cardinale che giaceva ammalato in un convento di religiosi a Fossombrone. Comunque fosse, Eustachio presi i ferri del mestiere organizzò un piccolo seguito di famigli particolarmente nerboruti, idonei a sventare attacchi da parte di briganti, non rari lungo la strada. Bloccavano il passaggio o sequestravano, se non peggio. In cambio chiedevano una tassa per il passaggio. Costume che perdurò a lungo, se Johann Wolfgang von Goethe alla fine del diciottesimo secolo in visita ad Assisi si trovò davanti alcuni brutti ceffi che gli chiesero l’obolo per S. Francesco, la richiesta accompagnata dal gesto delle mani che accarezzavano lo schioppo che tenevano in spalla.

Dunque approntarono una carrozza per il medico e cavalli e muli per gli aiutanti e il bagaglio. Si misero in viaggio in fretta e furia e tanta sollecitudine nel partire era dettata dal timore dell’ira del potente cardinale se non fossero arrivati nel tempo strettamente necessario per il viaggio. Ma non era estranea la devozione che provava per i tanti benefici ricevuti. Presero la Flaminia uscendo dalla porta di piazza del Popolo come è chiamata oggi, a quel tempo piazza di Campo Marzio o forse del Trullo. Ed iniziarono a percorrere l’antica consolare per un viaggio che sarebbe durato alcuni giorni. Passarono sotto il fortilizio di Sacrofano, e da qui per Morlupo e poi Rignano Flaminio e Civita Castellana, dove alcuni viaggiatori che si erano accompagnati a loro presero per la Cassia, diretti a Siena.

Non città nel tratto laziale della strada, queste s’incontrano quando si arriva in Umbria e così raggiunsero Otricoli, poi Narni e Terni. Superata quest’ultima dopo due giorni di viaggio, il gruppo prese la salita del valico della Somma che li avrebbe portati a Spoleto. Ma un grande affanno e prostrazione prese il nostro, da portarlo quasi a perdere i sensi. Lo attribuì al viaggio, al caldo della stagione, e proseguirono. Quando poi furono in prossimità di Foligno il malessere aumentò e si decise che avrebbero passato la notte in città. Erano passati quattro giorni da quando erano partiti da Roma. Altre volte aveva affrontato quel viaggio anche in condizioni climatiche peggiori, soprattutto d’inverno con il vento, il freddo, e spesso la neve.

Il valico della Somma si era rivelato ostile, quasi insormontabile, ben più aspro e pericoloso del Passo appenninico di Scheggia, nonostante quest’ultimo attraversasse la catena montuosa più alta dell’Italia centrale. Comunque la notte trascorse benefica in una locanda situata nei pressi dell’attuale porta romana, gli ridette un po’ di energia e permise di riprendere il viaggio. Lo stato di benessere del risveglio durò poco e quando arrivarono a Nocera, le forze lo abbandonarono di nuovo. quasi del tutto. A quel punto i famigli si rivolsero alle autorità del posto, che disposero il ricovero di Eustachio in un imprecisato ospitale della zona. Aveva lasciato scritto che alla sua morte lo avrebbero dovuto trasportare nella chiesa più vicina. Lo ricordò a coloro che gli stavano vicini nel ricovero di quell’ultimo viaggio sulla Flaminia, la strada che aveva percorso infinite volte e che non avrebbe mai pensato sarebbe stato il luogo della sua dipartita. Però si trovava vicino alla via Prolaquense, detta anche Septempedana, dal nome latino di S. Severino, la sua città natale. Così prima di spirare guardò in quella direzione. Una tradizione locale racconta che i suoi decisero di trasportare il corpo nella città natale, nella chiesa di S. Domenico, dove sarebbero i suoi resti.

Dunque per la stanchezza del viaggio, per la calura di quei giorni, per il risvegliarsi dei sintomi di una salute compromessa, con i quali combatteva da tempo, Eustachio trovò la morte percorrendo la Flaminia in un luogo imprecisato dell’Umbria, verosimilmente da individuare in un tratto che va individuato tra la città di Nocera Umbra e la località di Fossato di Vico. Era il 27 agosto del 1574.
Ne abbiamo testimonianza da Girolamo Rossi di Ravenna che nel 1581 scriveva: “ Magari vivesse ora quell’uomo illustrissimo , medico eccellente, Bartolomeo Eustachi di San Severino, a me amico con grande benevolenza, il quale, con grande danno per la medicina, negli anni precedenti, tutto contratto per l’artrite, poiché doveva curare Giulio della Rovere, grande cardinale urbinate, nostro arcivescovo, del quale egli stesso si occupava che richiedeva un medico, tutto contratto per l’artrite morì sulla strada da Roma a Fossombrone”……
Particolare dolore manifestò il Pini che lo celebrò con parole di grande stima e affetto, quando dette alle stampe l’indice delle opere del nostro: “ finché visse mai fu abbastanza lodato il filosofo e medico eccellente , mio precettore , per consiglio ed esortazione del quale non ho mai voluto la forza di portare a termine questo Indice di tutti gli scritti che restano di Ippocrate, specialmente quando , a quei tempi , il mio amatissimo precettore , con somma sventura per la medicina morì; da questo successe che io privato di un così grande signore , di un così grande maestro, quasi dimenticandomi di me stesso abbandonai completamente ogni studio.”
I medici del collegio di Roma tributarono al collega le celebrazioni di rito.

Così finì la vita di Bartolomeo Eustachio che il Nostro sentiva di non scansare a lungo se il mese di luglio di quell’anno aveva fatto testamento presso il notaio Curzio Saccoccia De Sanctis. In questo testamento si confermò che era nato a S. Severino nelle Marche, nominò suo successore il figlio legittimo Ferdinando che probabilmente non aveva figli e dunque lasciò i suoi averi ai figlioli delle quattro sorelle, ai pronipoti di Michelina Eustachi già maritata nella nobile famiglia Ardizi di Pesaro ed infine a Pier Matteo Pini. Nominò esecutori testamentari il cardinale di Urbino e lo stesso Pini. Al Pini lasciò tutti i suoi libri, latini, greci ed ebraici, argenti, una somma di denaro e soprattutto i suoi scritti e i disegni con le tavole anatomiche intagliate su rame.

Al cardinale una coppa d’argento indorata e volle che il suo corpo fosse avvolto in un lenzuolo e sepolto nella chiesa più vicina al luogo della morte “avendo amato sempre lo stato umile e fuggita l’apparenza”. Dopo la sua morte crebbe la fama e i suoi libri furono presto esauriti tanto che il Lucchini fu costretto ad una ristampa già nel 1574 e quindi nel 1577 e di nuovo nel 1653
E successivamente il famoso Boerhaave ne ordinò un’altra ristampa a Leyda nel 1707 per la qual cosa ebbe pubblico encomio da parte degli eruditi di Lipsia che sottolinearono l’importanza di Eustachio da annoverare tra i grandi ingegni d’Italia insieme a Falloppio, Caffiero, Colombo, Acquapendente e alcuni altri. Ma oltre a Boerhaave, altri illustri studiosi declamarono lodi al Nostro: Riolano, Giorgio Schenchio, Isbrando de Diemerbrteck e infiniti altri che lo definirono anatomico sommo, e il suo nome da porre accanto ai grandi del passato: Vesalio, Ippocrate e Galeno.

Fig. 6 Illustrazione del condotto faringo-timpanico conosciuto come Tromba di Eustachio

Commenti

Una risposta a “BARTOLOMEO EUSTACHIO – quarta parte”

  1. Avatar Soragni Barbara
    Soragni Barbara

    Interessante.

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